Fibrillazioni all’interno del Governo perché forze politiche che, tutto sommato, hanno raccolto percentuali piuttosto basse di voti dal corpo elettorale si illudono di crescere (alle regionali in Lazio e Lombardia e soprattutto alle europee del 2024) coltivando gruppuscoli come i balneari, i tassisti e simili. L’attenzione che partiti e movimenti dedicano a queste fibrillazioni distraggono dal vero rischio del 2023: che l’Italia si trovi scoperta e senza rete alla prossima crisi finanziaria internazionale (se ci sarà). Come avvenne nel 2011.
Qual è il pericolo di una crisi finanziaria nei prossimi mesi? Il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia mondiale andrà in recessione nell’anno in corso: la contrazione inizierebbe in Europa (in particolare in quella Gran Bretagna che, bene o male, ne è ancora il motore finanziario). Un’analisi/sondaggio dell’Università di Chicago e del Financial Times conclude che l’85% degli economisti intervistati ritiene che gli Usa saranno in recessione nella seconda metà dell’anno. Una sfumatura differente quella di JPMorgan Asset Management: la contrazione ci sarà, ma alle fine dell’anno le quotazioni azionarie saranno mediamente più elevate di quanto non siano adesso. Su linee analoghe Goldman Sachs e la Deutsche Bank (che guarda soprattutto al mercato finanziario europeo): ci sarà una contrazione, particolarmente dell’azionario, in primavera-estate, ma una ripresa in autunno. La Deutsche Bank, in particolare, con un’accuratezza che desta sospetto, sostiene che a fine 2023 l’indice Standard & Poor’s 500 esporrà un aumento del 17%.
Ritengo queste stime eccessivamente ottimistiche per varie ragioni. In primo luogo, sono state in gran misura elaborate prima che le maggiori autorità monetarie negli Usa e in Europa cambiassero rotta e passassero dal Quantitave easing a un Quantitative tightening già forte negli Stati Uniti, ma che sta cominciando a mordere anche in Europa (e, in forme differenti, si avverte in Oriente). In secondo luogo, molti comparti dell’azionario hanno prezzi (rispetto ai rendimenti) molto elevati rispetto alle medie degli ultimi lustri, particolarmente per le azioni dei comparti ad alta tecnologia che promettono forti rendimenti nel futuro (non tanto prossimo). In terzo luogo, in Europa, e soprattutto in Italia, c’è poca contezza del confronto-scontro tra Casa Bianca e Congresso su quello che potremo chiamare “lo scostamento di bilancio” negli Usa, ossia l’aumento dell’autorizzazione all’indebitamento per fare fronte alle esigenze del bilancio del Governo federale.
È un confronto molto duro che, anche nell’arco di poche settimane, potrebbe causare una crisi: il debito pubblico americano è su una traiettoria di forte aumento, mentre il deficit pubblico è già salito al 18,6% del Pil, il livello più elevato dal 1945. Il trend ha spinto il debito federale degli Stati Uniti a superare il picco della Seconda guerra mondiale, il 106% del Pil, ora si situa al 125%. Se i repubblicani, che controllano il Congresso, non otterranno assicurazioni di una politica di bilancio restrittiva, non consentiranno un ulteriore aumento di indebitamento e di debito, con la conseguenza che – come avvenuto altre volte, l’ultima nel 2011 (Presidenza Obama) – le attività dell’amministrazione federale subiranno un arresto (chiusura degli uffici e quant’altro) sino a quando non si arriverà a un accordo. Con ripercussioni pesantissime sui mercati finanziari. Non solo Usa.
Il Segretario al Tesoro americano ha avvertito che il Governo non sarà in grado di onorare il suo debito entro giugno a meno che il Congresso non aumenti il limite di prestito legale. Janet Yellen ha detto che, a partire da giovedì, la Pubblica amministrazione federale dovrà iniziare a utilizzare i fondi accantonati per pagare le bollette. È necessario aumentare il tetto del debito da 31,4 trilioni di dollari per evitare un default sovrano.
In Europa, l’Italia è uno dei Paesi a maggior rischio nell’eventualità di una crisi finanziaria internazionale a ragione dell’alto stock di debito pubblico e della fine di vari “sportelli” privilegiati che la Banca centrale europea ha messo in atto durante la pandemia. Sarebbe senza rete.
Cosa fare? Una “finanziaria bis” molto prudente, pochi ritocchi al Piano nazionale di ripresa e resilienza, aumento della concorrenza per stimolare la produttività, ratifica dell’accordo rivisto del Meccanismo europeo di stabilità (ed essere pronti a utilizzarlo, in caso di necessità).
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