Il Decreto aiuti-bis approvato la scorsa settimana dal Governo inizierà, dopo la pausa estiva, l’iter parlamentare per la conversione in legge. E con il pacchetto di interventi del valore complessivo di 17 miliardi, evidenzia Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, l’Esecutivo ha di fatto «effettuato un’azione completa di politica economica, senza aspettare la fine dell’estate». Ciò comporta delle conseguenze per chiunque succederà a Mario Draghi a palazzo Chigi.



Cosa pensa del Decreto aiuti-bis?

Si possono prendere in considerazione due aspetti. Il primo è che Draghi ha utilizzato sostanzialmente tutte le risorse a disposizione, per metterle largamente nelle mani degli italiani. Questo vuol dire che il Governo che verrà dopo, che verosimilmente non sarà pienamente in carica prima della metà di novembre, non avrà molti margini di manovra per reperire altri fondi per la Legge di bilancio.



Qual è invece il secondo aspetto da prendere in considerazione?

Draghi ha effettuato un’azione completa di politica economica, senza aspettare la fine dell’estate, mettendo in conto che l’autunno sarà un periodo più difficile e che la rapidità di spesa delle famiglie può essere maggiore rispetto a quella della Pubblica amministrazione. Le speranza del Governo è che quando gli italiani riceveranno i soldi in più in busta paga o con la pensione o i 200 euro una tantum nel caso dei lavoratori rimasti esclusi a luglio, li spendano, alimentando la domanda per consumi, cresciuta già molto negli ultimi mesi con la ripresa del turismo, così da evitare la recessione che tutti si aspettano nel mondo, o perlomeno attutirne l’impatto.



Per questo allora le risorse sono concentrate sui redditi medio-bassi, fino a 35.000 euro l’anno?

Certamente. L’obiettivo è cercare di fare in modo che le risorse alimentino i consumi e non i risparmi, la cui quantità è in larga parte sufficiente, in certi casi eccessiva. Probabilmente si alimenteranno i consumi di Natale, ma per capire se la ricetta può funzionare occorrerà anche vedere l’andamento dell’inflazione, perché aldilà dei prezzi energetici è verosimile che, a causa anche della siccità, ci saranno aumenti allo scaffale per i prodotti agroalimentari, che non potranno essere totalmente assorbiti dalla distribuzione.

Draghi a settembre metterà a punto la Nadef e dovrà per forza di cose rivedere la stima sul Pil per il 2023, dato che nel Def era pari al +2,3%, e conseguentemente anche il deficit/Pil quantificato al 3,9%. Dunque, in vista della Legge di bilancio, ci sarà davvero poco margine per il nuovo Governo.

Direi che la Legge di bilancio viene sostanzialmente scritta in queste settimane nei fatti, perché quando arriverà il nuovo Esecutivo potrà anche registrare, come accaduto nelle scorse settimane, delle entrate superiori alle previsioni, ma non avrà grandi risorse a disposizione. Il Governo Draghi lascerà quindi una sorta di bozza di Legge di bilancio su cui la nuova maggioranza, qualunque essa sia, avrà poco tempo per dibattere. Ci saranno certamente cambiamenti, significativi a livello di impatto sull’opinione pubblica, ma non sostanziali. E bisognerà anche tenere presente che il Pnrr che ci obbliga a determinate spese per investimenti.

Per il 2023 la crescita viene vista ormai sotto l’1%. Quale potrà essere il modo migliore per contrastare il rallentamento dell’economia?

Non esiste un modo migliore, nel senso che saremo trascinati largamente dall’andamento dell’economia globale. In questo momento sembra che dovrà avere un rallentamento significativo. Non sappiamo ancora se questo significherà recessione. Noi potremo tenerci a bordi di una recessione grazie alla nostra struttura produttiva, che ci consente di fare un po’ di tutto, dato che non siamo concentrati su pochi settori, e di essere più flessibili sul fronte decisionale per via delle piccole dimensioni della maggioranza delle aziende.

Non bisognerà dimenticare il ruolo della Bce, sarà un po’ il convitato di pietra: in base agli acquisti che farà dei titoli di stato italiani potrà aggravare o meno la nostra situazione.

Non abbiamo nessuna certezza sulla quantità di titoli italiani che la Bce comprerà nei prossimi mesi. Questo pone un’altra pressione sul Governo: non potrà fare tutto quello che vorrà. Date le dimensioni del nostro debito pubblico, si potrebbero avere conseguenze sullo spread non certo positive.

Di fatto, quindi, il nuovo Governo si ritroverà a fine anno con una Legge di bilancio già fatta e su cui avrà pochi margini di intervento, ma anche nel 2023 non potrà avere molta autonomia sulla politica fiscale se vuole ricevere il supporto della Bce…

È così. Politica energetica, Pnrr, Legge di bilancio e scelte della Bce condizionano di fatto il nuovo Governo.

(Lorenzo Torrisi)

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