L’accelerazione dell’inflazione, passata dal +3,9% di dicembre al +4,8% di gennaio, comincia a destare qualche preoccupazione anche a palazzo Chigi, come segnala una fonte citata da Repubblica, per gli effetti che può avere sul Pil dopo un 2021 chiuso con una crescita del 6,5%. Come spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «il fenomeno è da monitorare perché può avere un impatto sulla dinamica dei consumi delle famiglie nel corso del 2022. E i consumi rappresentano i due terzi circa del Pil. Tra l’altro le imprese italiane finora sembrano aver scaricato meno di quelle di altri Paesi i rincari sui consumatori. Occorre senz’altro sostenere le famiglie e i settori più in difficoltà, ma oltre che dall’inflazione io sono preoccupato da altre variabili macro che potrebbero portare a un afflosciamento della crescita acquisita, pari al 2,4%, che abbiamo ereditato da un ottimo 2021. Tra l’altro ho fatto una simulazione riguardante la crescita effettivamente realizzata lo scorso anno.



Cosa intende per crescita effettivamente realizzata?

Quella depurata dalla crescita ereditata dall’anno precedente (nel 2021 era stata pari al 2,5%). La crescita effettiva italiana dello scorso anno è stata pari al 3,9% ed è stata la più alta tra i Paesi del G7 e quelli europei. Basti pensare che in Svezia è stata del 3,6%, negli Usa del 3,5%, in Francia del 2,9%, in Spagna del 2,1%, in Canada dell’1,7% e in Germania dello 0,6%. Abbiamo stupito tutti con questa crescita e adesso bisogna stare attenti, anche dal punto di vista dell’immagine, della nostra reputazione, a non vedere il Pil afflosciarsi nel 2022. Purtroppo, oltre che con l’inflazione, abbiamo a che fare anche con i rincari del gas e le tensioni in Ucraina e con le difficoltà del turismo. Dobbiamo quindi stare molto attenti a giocare le nostre carte in termini di politiche economiche.



Ha qualche suggerimento in merito?

Credo che il Governo debba trovare il modo di assicurare la soluzione ponte il più possibile ingegnosa per neutralizzare i rincari del gas per le imprese energivore: per quanto rappresentino una quota non enorme all’interno della produzione industriale complessiva, è chiaro che se dovessero rallentare in maniera importante si avrebbe un impatto molto forte. In parte questo rallentamento è in atto e non a caso l’indice PMI manifatturiero di gennaio è sceso. Occorre poi sostenere il settore dei servizi turistici, un settore sano che continua però a essere penalizzato dagli effetti della pandemia. Si tratta di assicurare una soluzione ponte per fare in modo che non si perdano pezzi e non si creino dissesti in questo comparto che, quando ripartirà, potrà dare un contributo importante al Pil. Non possiamo, in buona sostanza, ridurre il potenziale di crescita. Occorre anche un intervento su Industria 4.0.



Che tipo di intervento?

Oggi abbiamo una situazione paradossale per cui i macchinari ordinati entro il 31 dicembre 2021, per poter godere pienamente dei bonus fiscali di Transizione 4.0, devono essere consegnati entro il prossimo 30 giugno. Siccome però molte aziende produttrici stanno facendo fatica a trovare la componentistica, soprattutto elettronica, necessaria c’è il rischio che non riescano a consegnare nei tempi stabiliti. Allo Stato una proroga dei termini di sei mesi non costerebbe nulla. Un altro provvedimento di rilevanza straordinaria, specialmente se l’economia privata dovesse subire un rallentamento rispetto al magnifico trend del 2021, riguarda il rispetto dei tempi e l’efficacia degli interventi previsti nel Pnrr. Per spiegarmi meglio, faccio un esempio che credo sarebbe utile divulgare.

Prego.

C’è un fatto statistico rilevantissimo riguardante il ritmo di crescita del Pil nel corso dell’anno che credo sia poco noto. Se il primo trimestre parte forte, infatti, imposta da solo quasi tutto il resto dell’anno. Se invece la spinta è tutta nell’ultimo trimestre, l’impatto sul Pil di quell’anno è ridotto e molto più spostato su quello dell’anno successivo. Ora, immaginiamo che l’economia privata, per i fattori di cui abbiamo parlato prima (caro gas, inflazione, limitazioni dovuta al Covid), nei quattro trimestri del 2022 non cresca più, si fermi cioè ai livelli del quarto trimestre del 2021. Immaginiamo anche che lo Stato abbia a disposizione risorse capaci di far crescere il Pil di un paio di punti percentuali e che possa cominciare a utilizzare queste risorse (che qui immaginiamo per esemplificare ripartite equamente tra i quattro trimestri dell’anno) sin dal primo trimestre. Se lo Stato cominciasse a spendere sin dal primo trimestre, considerando che la crescita acquisita del Pil è già del 2,4%, il 2022 si chiuderebbe con un +4,4%. Se invece, cominciasse a spendere soltanto nel quarto trimestre la quota trimestrale di investimenti prefissata, cioè un +0,5% di Pil (senza recuperare il ritardo con un’improbabile spesa aggiuntiva), la crescita del 2022 sarebbe solo del 2,9%. Chiaramente poi il 2023 inizierebbe con una crescita acquisita dell’1,5%.

I due casi sono chiari, ma qual è la differenza di fondo tra i due?

La differenza fondamentale è che per un Paese come l’Italia, che ha una cattiva reputazione economica, ma che ha sbalordito il mondo con la crescita del 2021, riacquistando fiducia sui mercati e presso le istituzioni internazionali – fattore cruciale per il nostro debito pubblico -, proseguire con una crescita altrettanto forte nel 2022 sarebbe importantissimo, perché se invece il Pil si “sgonfiasse”, scendendo come nel secondo caso al +2,9%, si darebbe l’impressione che l’Italia non è cambiata e che la crescita del 2021 è stata solo un fuoco di paglia. È poi evidente che mantenere la crescita del Pil a un alto livello aiuterebbe la traiettoria discendente del rapporto debito/Pil. È dunque importantissimo usare le risorse del Pnrr e cominciare a spenderle il più in fretta possibile per avviare le opere pubbliche.

Bisognerebbe allora non rivedere il Pnrr come paventato da Giovannini la scorsa settimana…

Si può essere perfezionisti finché si vuole nell’adeguarsi alle circostanze e alle variabili, ma, secondo me, i ministri dovrebbero partire dalle considerazioni che abbiamo testé fatto e arrivare alla conclusione che il tempo scorre, gennaio è passato, e abbiamo meno di due mesi per trasformare in crescita concreta del Pil il possibile impatto di queste risorse. Io arrivo a dire che se non si potesse fare una spesa con il Pnrr, occorre inventarsene una di qualche altro tipo, perché altrimenti non c’è quella partenza del Pil nel primo trimestre che è fondamentale per l’Italia più che per qualunque altro Paese. Spero lo capiscano anche i partiti della maggioranza.

Per queste spese e per gli interventi che ha auspicato a sostegno di imprese energivore e turismo, crede sia necessario uno scostamento di bilancio?

Gli scostamenti di bilancio e il loro ammontare sono variabili su cui si possono fare affermazioni serie avendo davanti tutti i dati con una precisione che solo al Mef si può avere. Io dico soltanto che occorre comprendere che la variabile principale alla base di qualunque ragionamento relativo agli scostamenti di bilancio: se il Pil non cresce come atteso, cioè del 4%, cosa che si può fare, come visto, con un po’ di spesa pubblica, tanto più che temiamo che l’economia privata non sia più lanciata come prima, anche gli scostamenti di bilancio assumono tutt’altra dimensione. Un conto è farli avendo chiaro come potrebbe andare realmente il Pil, un conto è farli tenendo fermo un +4% di Pil artificioso, lasciando nel frattempo scivolare la spesa del Pnrr a fine anno. Con quel che questo potrebbe comportare per la crescita reale dell’economia.

(Lorenzo Torrisi)

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