Le previsioni e le raccomandazioni arrivate negli ultimi giorni dal Fondo monetario internazionale e dalla Commissione europea non lasciano intravvedere un quadro confortante per l’Italia. “Siamo in una crisi internazionale strisciante e in Europa l’unità politica ed economica che si è avuta sia a seguito dello scoppio della pandemia che nella fase iniziale del conflitto in Ucraina sembra non poter durare molto”, ci dice Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
E questo non è certo un buon segnale per l’Italia.
Dato che la situazione è difficile per tutti, lo è certamente anche per noi. E in Europa siamo, insieme alla Germania, tra i Paesi che soffrono di più. Le prospettive, quindi, non paiono particolarmente favorevoli.
Nei documenti della Commissione europea e del Fondo monetario viene posta particolare enfasi sulla necessità per il nostro Paese di assicurare una politica di bilancio prudente, con attenzione alla spesa corrente e al livello del debito pubblico. Questo ci può penalizzare?
Certo che ci può penalizzare, perché quello di cui abbiamo bisogno è lavoro e crescita. Se le analisi di Ue e Fmi rappresentano degli inviti a essere più efficienti e innovativi, allora ben vengano. Ma se invece dovessero limitare crescita e lavoro, allora ci ritroveremmo in una situazione che abbiamo già sperimentato e di cui conosciamo anche gli esiti disastrosi. Tra l’altro si corre il rischio di non cogliere un particolare non indifferente.
Quale?
La Francia ha un debito su Pil ormai abbondantemente sopra il 100%. Nessuno, però, in questo momento ha qualcosa da ridire nei confronti di Parigi. Italia e Francia sono tra i Paesi fondatori dell’Ue, quindi se esiste una volontà europea essa non può fare a meno della Francia come dell’Italia. Il problema è che corriamo il rischio di ripetere gli errori di dieci anni fa.
Si corre questo rischio da parte europea?
Da parte nostra, come conseguenza magari di una malintesa visione europea.
Se nessuno dice qualcosa alla Francia sui suoi conti pubblici, mentre l’Italia viene richiamata a essere prudente sul deficit significa che ci sono figli e figliastri in Europa?
Esattamente. Questo non vuol dire che occorra mettersi a fare i conti in tasca alla Francia, ma semplicemente che bisogna prendere atto che siamo in un contesto economico nel quale non si può immaginare che tutti i Paesi abbiano le finanze pubbliche come quelle della Germania. Sembra che l’Italia sia destinata a pagare indefinitamente per il debito pubblico che si è creato principalmente negli anni ’80.
L’errore è quindi da ambo le parti: l’Europa non dovrebbe, vista la situazione attuale, essere puntigliosa sui conti; l’Italia non dovrebbe autolimitarsi in questo frangente rispetto alle indicazioni su deficit e debito, tanto più che il Patto di stabilità è stato sospeso per un altro anno.
Ribadisco quelle che devono essere le stelle polari delle politiche economiche: crescita e lavoro, soprattutto per i giovani. Bruxelles dovrebbe avere una visione europea, il che vuol dire avere ben chiaro che questi anni terribili che stiamo attraversando non sono una prerogativa italiana, ma europea, e agire di conseguenza. Se, però, come dicevo all’inizio, l’unità politica ed economica degli ultimi due anni svanisce, a venir meno di fatto è l’Europa.
È chiaro il suo riferimento al Next Generation Eu, che però il ministro delle Finanze tedesco Lindner considera un’opportunità unica, nel senso di non ripetibile.
Occorre essere molto chiari: il Next Generation Eu non può avere una scadenza esatta, io ritengo che possa cessare la sua azione solo quando la situazione economica si sarà normalizzata in senso positivo. Quindi, se quello di Lindner vuol essere un invito a non perder tempo ben venga, ma se invece rappresenta un principio, allora si tratta di un principio stupido.
Lei ha detto che le stelle polari per le scelte di politica economica devono essere crescita e lavoro. Concretamente cosa significa?
Essere attenti ad alcune categorie, specie i giovani che cercano lavoro e non lo trovano, muoversi per creare un ambiente favorevole alle cosiddette famiglie consumatrici, che sono fondamentali per utilizzare al meglio il potenziale del Paese, che è molto elevato, per la crescita e per il lavoro. Non abbiamo bisogno solo, come viene ripetuto da più parti, di attrarre investimenti dall’estero, ma di essere i primi attori della nostra crescita. Quando gli altri dall’esterno vedranno che siamo capaci di crescere bene, con un buon lavoro, magari saranno tentati di venire a investire.
L’alto potenziale per la crescita e per il lavoro di cui ha parlato da cosa lo si vede?
Lo cogliamo molto efficacemente da una misura che viene utilizzata meritoriamente in Europa che si chiama “labour slack”, ovvero la differenza tra la domanda di lavoro desiderata e quella effettivamente disponibile. Si tratta sostanzialmente di domanda di lavoro insoddisfatta e l’Italia ne ha un livello in Europa secondo soltanto a quello della Spagna, ma superiore persino a quello della Grecia: abbiamo un esercito di persone che potenzialmente vorrebbe lavorare, ma non può farlo.
Sembra intanto che la Bce possa aumentare i tassi sia a luglio che a settembre, e forse di mezzo punto. Tutto questo cosa vuol dire?
Che la Bce sta seguendo, grosso modo, le mosse della Fed, anche se con qualche mese di ritardo, cercando di guadagnare tempo. Per certi versi è un bene che l’Eurotower agisca, perché il cambio tra euro e dollaro si è avvicinato molto alla parità e questa non è certo una buona notizia, perché il petrolio si paga in dollari e c’è quindi il rischio di alimentare l’inflazione, che è il problema numero uno in questo momento.
C’è, tuttavia, il rischio che le mosse della Bce possano aggravare la situazione anziché migliorarla?
Certo, il rischio c’è. È giusto alzare i tassi per cercare di frenare l’inflazione, ma bisogna dosare bene questo rialzo, occorre un fine tuning per evitare di aumentare le probabilità di una recessione.
Non è che c’è una certa prudenza del Governo sui conti pubblici, anche per capire come si muoverà la Bce?
La cautela è importante, ma bisogna anche evitare di ripetere gli errori del passato.
(Lorenzo Torrisi)