Dopo un anno di navigazione, il Governo italiano incontra i flutti che annunciano la tempesta. La crescita si è fermata, è tornata l’emergenza migranti, è cominciata una conflittualità interna destinata a durare almeno fino alle elezioni europee nel giugno prossimo, alcune operazioni internazionali sulla carta intelligenti come la “strategia africana” sono naufragate sugli scogli della Tunisia il cui presidente Kaïs Saïed vuole incassare 200 milioni dall’Ue e due miliardi dal Fondo monetario internazionale usando come arma di ricatto i barchini della disperazione. Ma nel momento in cui Giorgia Meloni deve presentare la Legge di bilancio – la sua Legge di bilancio perché quella dell’anno scorso era stata stilata con il pilota automatico innescato da Mario Draghi – agli ostacoli interni s’aggiungono quelli che provengono dall’Unione europea. Roma sembra entrata in confusione, ma nemmeno Bruxelles e Francoforte hanno le idee molto chiare.



Cominciamo alla Banca centrale europea: ha scelto un nuovo aumento dei tassi portandoli al 4,5% perché l’inflazione è ancora troppo alta. La decisione è stata presa a maggioranza, con una crescente opposizione nel consiglio della Bce. Christine Lagarde ha lasciato capire che forse farà una pausa, ma ha aggiunto che i tassi resteranno alti a lungo. Quanto alti e quanto a lungo? Che succede se e quando l’inflazione scende? Nelle stesse previsioni di Francoforte l’anno prossimo i prezzi dovrebbero avvicinarsi all’obiettivo del 2%, ebbene anche in tal caso i tassi resteranno tanto elevati? È solo l’ultimo dei messaggi contraddittori che vengono dalla Presidente e non aiutano certo i Governi (non solo quello italiano) i quali si preparano a impostare la politica fiscale per il 2024. Governi essi stessi divisi con la Germania che sostiene la stretta monetaria e si prepara a tenere il deficit pubblico tra il 2% e il 2,5% del Pil nonostante la sua economia sia in stagnazione. Questo almeno è l’annuncio del ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, vedremo se i partner del Governo, verdi e socialisti, saranno d’accordo. Nemmeno sulla nuova emergenza migranti si riesce a trovare quanto meno un minimo comune denominatore, tra i ricatti dei Governi sovranisti e le ritorsioni di quelli europeisti. Mentre appare sempre più evidente che il nocciolo duro dell’Unione, il nucleo franco-tedesco, è a rischio spaccatura.



I Governi nazionali non saranno nemmeno aiutati dalla confusione sui parametri europei. Un accordo sulla riforma del Patto di stabilità non c’è ancora. Se verranno ripristinate le vecchie regole saranno guai per i Paesi che hanno un deficit oltre il 3%, cioè quasi tutti a eccezione della Germania con la Francia attualmente al 5% e l’Italia che, secondo alcune stime, veleggia inconsapevole addirittura verso il 7%.

Se davvero fosse così, Giancarlo Giorgetti dovrebbe varare una stretta micidiale, pari a quattro punti di Pil. Ma anche se quest’anno il deficit chiuderà al 4,5% previsto, il taglio sarà considerevole. Con un’intesa sulla riforma presentata dal commissario Gentiloni, i Governi avrebbero più margini per ridurre il disavanzo, tuttavia quelli con un debito troppo alto dovranno ridurlo di una certa quota annua (almeno un punto percentuale secondo la proposta tedesca). Tutto questo sarà oggetto di una complessa trattativa, ogni Governo dovrà discutere con la Commissione di Bruxelles, c’è da attendersi liti a non finire per stabilire i parametri stessi di riferimento, che cosa davvero contribuisce all’indebitamento, come calcolare le spese per eventi eccezionali, gli aiuti all’Ucraina, i sostegni alla transizione energetica.



Non solo: con i tassi a questi livelli, il costo sarà più elevato mettendo in pericolo la sostenibilità stessa. Se poi l’inflazione scenderà, l’indebitamento che si calcola in termini monetari, non reali, peserà di più, non si potrà cioè trarre vantaggio dalla svalutazione. Comunque la si giri, l’Italia deve compiere sforzi finanziari consistenti, mentre in cassa non c’è rimasto abbastanza per sostenere non solo la miriade di promesse dei partiti (si parla di oltre 40 miliardi di euro), ma nemmeno gli obiettivi ben più modesti previsti a primavera con il Documento di economia e finanza.

Aspettiamo la Nadef, la nota di aggiornamento che dovrebbe essere presentata al Parlamento entro mercoledì 27 settembre, ma c’è da dubitare che nel frattempo la confusione europea si sarà diradata, molto più probabile è che s’aggiunga alla confusione italiana. Nel corso della sua ultima assemblea da Presidente della Confindustria, venerdì scorso, Carlo Bonomi ha chiesto che il Governo si concentri su tre obiettivi: sostegno agli investimenti, riduzione della spesa pubblica improduttiva e soprattutto taglio del cuneo fiscale, gli industriali vorrebbero 17 miliardi, il governo ne ha promessi dieci, ma per ora non ci sono. E gli annunci a favore dei redditi più bassi, delle pensioni anticipate, della flat tax, della riduzione dell’Irpef? Per il momento sono rumori che s’aggiungono alla cacofonia d’autunno.

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