“Faremo tutto quel che è necessario per sostenere un forte mercato del lavoro a mano a mano che realizziamo ulteriori progressi verso la stabilità dei prezzi”. Sarebbe bello se giovedì prossimo Christine Lagarde ripetesse con parole sue quel che ha detto Jerome Powell all’annuale seminario della Federal Reserve a Jackson Hole. E sarebbe perfetto se la presidente della Bce rilanciasse la chiara e secca analisi del suo collega al vertice della Banca centrale americana: “Quattro anni e mezzo dopo l’arrivo del Covid-19 le distorsioni economiche stanno svanendo – ha esordito Powell –. L’inflazione si è ridotta in modo significativo. Il mercato del lavoro non è surriscaldato e le condizioni sono ora meno anguste di quelle che prevalevano prima della pandemia. Le strettoie dell’offerta si sono normalizzate. E il bilanciamento dei rischi per il nostro mandato è cambiato”.
Non c’è dubbio che il quadro generale nel quale i banchieri centrali debbono inserire la loro politica monetaria sia oggi profondamente diverso. La conseguenza logica delle parole di Powell, il suo “whatever it takes”, è che martedì 17 il consiglio della Fed potrà compiere una inversione di rotta facendo scendere il tasso di riferimento almeno di un quarto di punto portandolo al 5-5,25%. La Bce un primo taglietto lo ha già deciso a giugno e giovedì potrebbe aggiungerne un altro portando il tasso di riferimento al 4%. Lagarde ha sempre detto che bisogna guardare ai dati di fondo, ebbene l’inflazione ad agosto è scesa al 2,2%, in compenso l’economia dell’area euro si sta rapidamente avvicinando alla crescita zero (negli Usa sfiora il 3%) e il tasso di disoccupazione è al 6,5% (negli Usa al 4,3%). Dunque ci sono tutte le condizioni per un allentamento della politica monetaria.
In un sondaggio della Reuters condotto tra il 30 agosto e lo scorso giovedì, 64 economisti su 77 prevedono un taglio dello 0,25% giovedì prossimo e un altro di nuovo a dicembre. Ma la stessa Reuters interpellando fonti della Bce scrive che il consiglio è ancora diviso tra falchi e colombe. I primi, i guardiani dell’inflazione, temono che l’aumento dei salari nell’Eurozona blocchi la discesa dei prezzi, soprattutto nei servizi. Il paradosso è che tra questi falchi c’è la Bundesbank e i salari crescono più della media proprio in Germania, dove la recessione è già arrivata, in conseguenza sia dei rinnovi contrattuali sia dei sostegni governativi. Le colombe, tra le quali si colloca la Banca d’Italia, al contrario temono che sia l’inflazione a scendere addirittura sotto il target del 2% a causa di una domanda interna sempre più debole. A quel punto il costo del denaro troppo alto finirebbe per diventare un fattore recessivo.
Piero Cipollone, membro del comitato esecutivo della Bce, in una intervista a Le Monde pubblicata mercoledì scorso, ha parlato di “un rischio reale che la nostra posizione possa diventare troppo restrittiva. Dobbiamo garantire che l’inflazione converga verso il nostro obiettivo senza frenare inutilmente l’economia, perché abbiamo disperatamente bisogno di investimenti e crescita in Europa”. Le decisioni verranno prese riunione per riunione, ha aggiunto, tuttavia “i dati finora confermano la nostra direzione di marcia e spero che ci consentiranno di continuare a essere meno restrittivi”. Ciò ha alimentato ancor più le attese dei mercati e di tutti gli operatori economici.
Per l’Italia una riduzione che di qui a fine anno porti verso il 3% il tasso di riferimento è fondamentale. Il prodotto lordo italiano nel secondo trimestre è cresciuto dello 0,2% rispetto al trimestre precedente quando era salito dello 0,3%. Nel secondo trimestre del 2023 c’era stato un calo dello 0,4%, poi è tornato il segno più, ma siamo andati avanti a 0,1-0,2%. Continua l’aumento degli occupati, ma il tasso di disoccupazione resta al 6,8%. Se alla fine la crescita quest’anno si attestasse allo 0,8% il debito pubblico rispetto al Pil salirebbe di quattro punti percentuali: affinché si arrivi a quella stabilizzazione, che è obiettivo del governo e del processo di aggiustamento da negoziare con la Commissione europea, il Pil dovrebbe superare un punto percentuale con una inflazione vicina ai due punti. Spazi nel bilancio pubblico per spingere la crescita non ci sono, la politica di bilancio è bloccata, solo la politica monetaria potrà darci una mano.
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