È difficile spiegare la velocità della crisi del Governo italiano e i tempi fulminei dell’uscita del presidente del Consiglio senza tenere conto dello scenario che si sta delineando. Se la crisi dell’esecutivo viene letta assumendo una “normale” crisi economica da cui deriva l’ennesima crisi degli spread in Europa si resta senza spiegazioni vere. C’è una crisi economica e finanziaria sotto cui se ne nasconde un’altra di cui non si parla.
La Federal Reserve sta alzando i tassi a ritmi serrati per provare a contenere l’inflazione. La liquidità si prosciuga, scoppiano le bolle e questo movimento si fa sentire nella periferia, l’Europa e i suoi Paesi più fragili, molto più che al centro, gli Stati Uniti, dove ha sede la banca centrale che emette la valuta di riserva globale. A queste crisi si sommano le tensioni geopolitiche che mettono in crisi le catene di fornitura globale. Questa è una novità che trascende le crisi finanziarie degli ultimi 20 anni, ma che potrebbe in qualche modo essere gestita. Se questa è la crisi che si avvicina, Draghi, con i suoi ottimi rapporti dentro l’Europa, con la Bce e con gli investitori, potrebbe evitare che l’Italia venga lasciata sola nella crisi prossima ventura. Draghi assicurerebbe il supporto della Bce e potrebbe convincere gli investitori a non lasciare il Paese.
Certo, l’Italia deve rafforzare la sua economia e ristrutturare la spesa pubblica e la burocrazia, ma in questo processo è fondamentale non venire schiacciati da una crisi economica e dei mercati. Draghi, quindi, avrebbe delle leve e potrebbe guidare l’Italia.
Questa però non è la “vera” crisi che si avvicina. Sotto la crisi di cui si parla, l’inflazione, il rallentamento della domanda, i rialzi della Fed, c’è un’altra crisi di cui non si parla perché non c’è una soluzione. La crisi taciuta è quella energetica, con i prezzi del gas che in Europa rimangano insostenibili nonostante i mercati comincino a incorporare la recessione. Senza il gas russo l’Italia deve togliere riscaldamento ed elettricità ai suoi cittadini e spegnere le imprese. Le sponde a cui l’Italia si è rivolta per sostituire il gas di Mosca sono politicamente instabili e comunque oggi vendono una risorsa per cui abbondano le richieste. L’Europa è un partner tanto affidabile quanto più abbandona la rivoluzione verde, perché tutti preferiscono clienti di lungo periodo a clienti di breve e i Paesi produttori chiedono impegni a lungo termine per far fronte a investimenti miliardari.
La crisi energetica non si risolve stampando euro, né dirottando la liquidità dei mercati facendo o dicendo le cose giuste. La crisi energetica che incombe sull’industria italiana minacciandone la sopravvivenza è irrisolvibile nel breve-medio periodo anche dal miglior banchiere centrale della storia. La benevolenza degli investitori non arriva a finanziare un Paese che rischia di spegnere il suo motore industriale, il motore che negli ultimi 30 anni ha tenuto in piedi un Paese con la spesa pubblica fuori controllo in almeno il 50% del suo territorio. Le competenze “finanziarie” di Draghi fanno sempre comodo e farebbero comodo a settembre, ma non possono risolvere la crisi energetica provocata dalle sanzioni che si risolve soltanto trovando gas, petrolio e gigawatt a buon mercato. A settembre qualcuno dovrà dettagliare un piano di risparmi che va molto oltre quello che gli italiani stanno immaginando sotto l’ombrellone.
L’Italia dovrebbe cominciare a concepirsi come un Paese in via di sviluppo che ha bisogno di gas e petrolio a basso costo come l’India. L’Italia invece continua a concepirsi come un Paese ricco che può permettersi la transizione energetica con il debito su Pil al 150% e le imprese a rischio chiusura e che può permettersi guerre e boicottaggi per il rispetto dei diritti umani in Europa e nel Mediterraneo contemporaneamente. La narrazione che è stata venduta fino a oggi, mentre l’Italia faceva il falco sulle sanzioni e commentava con sufficienza la titubanza tedesca, è un antidolorifico destinato a finire a settembre se e quando bisognerà chiedersi dove cercare il gas perduto e se non si trovano i necessari “risparmi”.
La rapidità inusuale della crisi di governo e delle dimissioni è spiegabile solo avendo presente questa seconda crisi, che non ha una soluzione “monetaria” o “finanziaria”. Ci si deve poi chiedere chi possa farsi carico di spiegare cos’è successo e di dire che l’Italia si ritrova al dopoguerra: un Paese in via di sviluppo che ha bisogno di tutto e soprattutto di trovare il modo di far andare le sue imprese a costi competitivi; un Paese che non può permettersi il caviale dei pannelli solari e dell’eolico offshore con i loro costi e soprattutto con le loro catene di fornitura che partono dalla Cina e dall’Africa subsahariana con impatti ambientali tanto violenti quanto taciuti. L’Italia aveva una florida ed eccellente filiera di imprese nel settore degli idrocarburi: dall’estrazione alla trasformazione. Vi si rimetta mano. Gli idrocarburi si possono usare infinitamente meglio che negli anni 70.
La crisi energetica che arriva e l’operazione verità che prima o poi bisognerà fare farebbero venir voglia di scappare alla velocità della luce a tutti, soprattutto se si è contribuito a crearla. Non ci sono bacchette magiche o linee rosse con la Bce o con la Casa Bianca. L’Italia è entrata in guerra convinta di dover pagare uno e non cento e di potersi permettere ancora tutto. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Anche questa volta.
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