È passata ormai una settimana, ma le scelte prese dalla Bce nel corso dell’ultimo Consiglio direttivo dell’anno, in particolare sul rialzo dei tassi di interesse, rischiano di continuare a far discutere a lungo, visto che oltretutto la prossima riunione è in programma a febbraio. “La decisione non è in realtà veramente europea”, ci dice Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano.



Cosa intende dire?

Che si tratta di un allineamento, guidato, ormai si può dire a livello mondiale viste le mosse delle altre principali banche centrali, dalla Federal Reserve. Il fatto è che la Bce continua a rimanere purtroppo inchiodata sulla politica monetaria americana, che ha obiettivi che sono relativi a un contesto di dinamica economica che non è quella europea. Tra l’altro credo sia fondamentale ricordare un aspetto non secondario.



Quale?

Il voto di midterm è ormai alle spalle ed è, quindi, assolutamente certo che la politica economica americana sia già proiettata verso le presidenziali del 2024. Dimenticarlo sarebbe un peccato mortale, perché inseguendo la lepre sbagliata rischiamo di andare a sbattere contro un muro. È chiaro che se gli Stati Uniti si muovono nel modo giusto ne possiamo beneficiare anche in Europa per via delle relazioni economiche esistenti, ma non sappiamo esattamente che tipo di politiche vogliono attuare dall’altra parte dell’Oceano.

Dove tra l’altro l’inflazione, nemico che in Europa si vuol contrastare, visto lo specifico mandato della Bce, è di natura diversa.



Completamente diversa. È vero che seguendo le scelte della Fed si evitano divari sui tassi che possono portare a spostamenti di capitale, con conseguenze anche sui cambi valutari, ma occorre ricordare che la banca centrale americana ha un duplice mandato (stabilità dei prezzi e piena occupazione) e che la dinamica del tipo di inflazione presente in Europa non è purtroppo governabile come stanno cercando di fare negli Stati Uniti, dove pure si teme un rallentamento dell’economia. Se continuiamo a seguire la politica americana, in Europa rischiamo quindi molto dal punto di vista della crescita.

Crede che ci sia quindi troppo ottimismo da parte della Bce riguardo i rischi di recessione, visto che per l’Eurotower se arriverà sarà “relativamente breve e poco profonda”?

Questo tipo di previsioni vanno prese veramente cum grano salis, perché la situazione geopolitica che sappiamo essere sempre più influente sulla dinamica dei prezzi dell’energia è in continuo movimento, non sempre prevedibile. Il 2023 avrà un inizio improntato di sicuro alla cautela, perché non è chiarissimo che andamento avrà la dinamica politico-economica. Anche per questo probabilmente la Bce ha pensato di procedere con rialzi dei tassi di mezzo punto e non di maggior entità.

Ha appena citato l’importanza della dinamica dei prezzi energetici; il price cap sul gas approvato a inizio settimana dall’Ue non sembra poter contribuire a un suo rallentamento con effetti benefici sull’inflazione…

Questo accordo va valutato per quello che è. Dato che siamo in un quadro conflittuale, in una situazione del genere l’errore principale che si possa fare è agire troppo presto o troppo tardi. Capisco che trovare il momento esattamente giusto non è sempre facile, ma la decisione sul price cap arriva troppo tardi e anche con una modalità che non sembra collimare con l’obiettivo dell’idea originaria che è stata e ancora oggi viene rivendicata dall’Italia.

Lo si può forse considerare come un passo verso un’unità di intenti, ma non una soluzione della crisi energetica: su questo piano va fatto ancora molto a livello europeo e in tempi rapidi.

Assolutamente. Alla luce anche dello scandalo Qatargate, la situazione è veramente fragile a livello europeo e andrebbe quindi riaffermata una posizione credibile e robusta, altrimenti ci saranno solo pannicelli caldi che non porteranno a un’inversione di rotta. A meno che non si cerchi, come molti auspicano, una bella recessione prima di farlo. Io credo che si stia giocando col fuoco e che occorra guardare con intelligenza a quel che si avvicina e con maggior attenzione alla situazione europea, che non è così florida come vorremmo: occorre focalizzarsi sulla dinamica reale dei Paesi europei per evitare che si accentuino i segnali divergenti.

Quale pensa possa essere il rischio maggiore per l’Italia in questo momento?

Credo che sia fondamentale agire rapidamente per la messa a terra del Pnrr, perché per noi resterà cruciale la questione del rapporto debito/Pil. Non dobbiamo poi dimenticare che tra poco si entrerà nel vivo delle discussioni per la riforma del Patto di stabilità e crescita e tutti gli occhi saranno puntati sui nostri conti pubblici. Dobbiamo quindi presentarci ben attrezzati e dimostrando che siamo compliant, cioè che stiamo facendo quello che abbiamo promesso di fare. Questo è il biglietto da visita migliore da presentare al tavolo dei negoziati.

(Lorenzo Torrisi)

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