La reazione dell’Ue all’emergenza economica generata dalla pandemia è stata rapida, efficace e perfino sorprendente in base alla sua architettura centrata sulla priorità del rigore. La Bce ha fornito immediatamente la liquidità che serviva agli Stati e alle banche. La Commissione ha sospeso le regole limitative. Il Consiglio intergovernativo ha deliberato aiuti massivi e differenziati in base al fabbisogno. Ma fino a quando durerà questa Europa espansiva?
L’idea è che duri fino a che le nazioni raggiungano il Pil 2019 dopo la caduta pesante del 2020. Al momento le previsioni portano questo obiettivo al 2022, stimando che nel 2021 vi sarà, mediamente, un recupero di circa il 50-60% – l’Italia meno – alla condizione che l’impatto pandemico si esaurisca nel 2021 stesso. Ma Ue ed Eurozona torneranno al rigore nel 2023?
Da un lato, la sospensione delle regole e, soprattutto, l’indebitamento dovranno necessariamente trovare limiti. Dall’altro, il riassorbimento completo dell’impatto 2020, considerando anche quello recessivo sul mercato globale, difficilmente potrà avvenire prima del 2025. Inoltre, prima della pandemia, l’economia europea era in fase stagnante, squilibrata e vulnerabile alla selezione tecnologica con rischio di aumento della disoccupazione, sintomi di un modello che frena la crescita.
Pertanto è ipotizzabile che nel periodo 2023-2025 non vi saranno le condizioni per un ritorno all’architettura tradizionale dove ogni nazione deve arrangiarsi da sola nel rispettare parametri “idealistici” di ordine economico. Infatti, Francia e Germania, timorose che il loro primato diarchico sulla regione venga compromesso da impoverimenti che poi alimenterebbero movimenti anti-europei, hanno spinto la sospensione del rigore. Così come la Bce ha sempre aggiunto a ipotesi limitative dei suoi programmi d’emergenza la disponibilità a continuarli se servisse.
Ma non sarà un pasto gratis per l’Italia con alto debito e poca crescita. L’Ue attutirà le richieste condizionanti di rigore, ma richiederà “condizionamenti qualitativi” che aumentino l’efficienza economica, delle regole e gestioni. Tale condizionamento sul modello è più pesante di quello solo finanziario. Pertanto la politica italiana dovrebbe predisporre già da settembre una riforma interna di efficienza sistemica, vera, prima che le venga imposta da fuori.