In pochi giorni sono arrivate dichiarazioni interessanti per capire dove andrà l’Europa e, di conseguenza, l’Italia nei prossimi mesi. Prima un’intervista a Christine Lagarde, Presidente della Bce, poi le audizioni del suo omologo alla Fed, Jerome Powell, al Senato e al Congresso degli Stati Uniti, infine la presentazione, da parte di Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, delle linee guida fiscali per il 2024 approvate dalla Commissione europea.



Abbiamo fatto il punto con Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss.

Cominciamo dalle parole di Jerome Powell.

Le audizioni al Senato e al Congresso sono servite a far conoscere la valutazione della Fed sui recenti sviluppi congiunturali dell’economia americana. Considerando che a gennaio sono stati creati più di mezzo milione di posti di lavoro e il tasso di disoccupazione è sceso al minimo storico degli ultimi 53 anni sotto il 3,5%, che la spesa per consumi è aumentata di circa il 2% dopo due mesi di contrazione, che i salari continuano a crescere, così come l’inflazione di fondo che tende a essere particolarmente vischiosa, Powell ha spiegato che non vi sono elementi che lascino intravedere che la politica monetaria sia, ad oggi, eccessivamente restrittiva.



E, dunque, ci sarebbe spazio per nuovi rialzi dei tassi…

Chiaramente il percorso di addolcimento nell’aumento dei tassi di interesse, appena avviato nelle scorse settimane, lascerà il posto a rialzi più consistenti. Nell’arco dei prossimi dieci giorni, con la diffusione dei dati sulle nuove assunzioni e sull’inflazione di febbraio sarà più chiaro il quadro in base al quale i membri del Fomc prenderanno le loro decisioni nel meeting del 22 marzo, ma le aspettative di mercato sono di un aumento di mezzo punto. Di conseguenza, il tasso terminale che veniva prima stimato tra il 5% e il 5,5% si sposterà almeno tra il 5,5% e il 6%. Intanto, i mercati si sono già mossi: i tassi a breve sono già aumentati, anche se quelli a lunga scadenza rimangono sostanzialmente invariati.



In precedenti interviste ci aveva spiegato che i mercati si aspettavano che la Fed avrebbe cominciato a diminuire i tassi già dalla fine dell’anno e di questo ne avevano beneficiato anche i titoli di stato italiani. Questo quadro è destinato a mutare?

È estremamente probabile che sia così perché, a fronte di sviluppi del quadro inflativo meno favorevoli del previsto, le banche centrali reagiranno con ulteriori rialzi e innalzeranno la loro stima del tasso terminale. Questo rischia di avere un impatto ancora più significativo per i Paesi ad alto debito come l’Italia.

Cosa ci dice quel che sta accadendo negli Stati Uniti rispetto alla situazione dell’Eurozona?

La dinamica dell’inflazione di fondo dell’Eurozona è, in parte, simile a quella americana. Gli ultimi dati relativi a febbraio confermano che sta salendo da diversi mesi, muovendosi in controtendenza rispetto all’indice generale dei prezzi comprensivo dei prezzi dell’energia che sta, invece, lentamente diminuendo. Nella stima fornita dall’Eurostat per il mese di febbraio, l’inflazione di fondo è pari al 5,6%, in aumento rispetto al 5% registrato lo scorso ottobre quando l’indice generale dei prezzi aveva registrato il picco. Nel medio lungo periodo è l’inflazione di fondo che domina gli sviluppi dell’indice generale dei prezzi che, a sua volta, definisce il target della Bce. Ed è presumibile che il Consiglio direttivo reagirà a questa dinamica nella riunione della prossima settimana, in cui sarà anche disponibile la nuova batteria di previsioni macroeconomiche.

Cosa dobbiamo aspettarci da queste previsioni?

Principalmente due cose per l’economia dell’Eurozona: prospettive di crescita migliori delle attese e l’assenza di una recessione nel 2023; infine, un’inflazione di fondo più vischiosa di quanto ci si aspettasse.

A proposito di previsioni sull’inflazione, nei giorni scorsi è emerso che in Olanda è stato commesso un errore di misurazione (dovuto ai prezzi dell’energia) che potrebbe aver portato a una sovrastima anche dell’indice dei prezzi dell’Eurozona su cui la Bce basa le sue scelte. Cosa ne pensa?

L’Olanda pesa solo per il 6% sull’indice dei prezzi dell’Eurozona, quindi un errore di calcolo nella definizione della dinamica inflativa di questo singolo Paese non cambia, in modo significativo, il quadro di tutta l’Eurozona. Si tratterà naturalmente di capire se anche in altri Paesi è stato commesso lo stesso errore di stima. Detto questo, sappiamo che la dinamica dei prezzi energetici, reale o misurata, ha già da tempo intaccato quella di altre componenti dell’indice generale, avviando l’aumento dell’inflazione di fondo che rappresenta la variabile che ora viene attenzionata con particolare forza dalla Bce.

Nei giorni scorsi Christine Lagarde ha rilasciato un’intervista a un quotidiano spagnolo in cui ha anche invitato le banche a rinegoziare i mutui dei propri clienti…

Le risposte erano ovviamente più focalizzate sulla situazione spagnola, ma è stata espressa una posizione di più generale interesse per l’Eurozona. Sostanzialmente la Lagarde ha lanciato tre messaggi. Il primo riguardante la comunicazione, rivelando un malcelato fastidio per la tendenza da parte dei singoli membri del Consiglio direttivo a esternare le loro posizioni a mezzo stampa e richiamandoli in qualche modo all’ordine, sottolineando anche il suo ruolo di Presidente di quell’organo che guida le deliberazioni sulle decisioni di politica monetaria. È chiaro, però, che in un momento come questo in cui, da un lato, assistiamo a dinamiche inaspettate e, dall’altro, stiamo attraversando un periodo di incertezza senza precedenti, è normale che i membri del Consiglio direttivo vogliano condividere con il più grande pubblico il proprio impianto intellettuale.

Quali sono gli altri due messaggi lanciati dalla Presidente della Bce?

Uno è un richiamo al sistema bancario, rientrante nel più generale quadro della trasmissione della politica monetaria cui la Bce attribuisce estrema importanza, visto che i tassi attivi delle banche si sono prontamente adeguati ai rialzi dell’Eurotower, mentre c’è della vischiosità su quelli passivi, che sono poi quelli che vengono riconosciuti ai depositanti. L’altro messaggio è rivolto ai Governi, ricordando loro l’onere di gestire le conseguenze sociali della strategia di disinflazione della Bce. La politica di alti tassi di interesse ha, infatti, implicazioni distributive e i Governi, tramite la politica fiscale, sono chiamati a intervenire a favore delle categorie più colpite.

C’è, quindi, la richiesta di cambiare la tipologia di sostegni a famiglie e imprese finora utilizzati?

È chiaro che le politiche fiscali iper-espansive degli ultimi anni nell’Eurozona non possono continuare a esserlo indefinitamente. Quindi, la Lagarde propone di mantenere una bussola orientata alla prudenza e tuttavia erogare misure di supporto in modo più mirato così da mitigare l’impatto dell’inasprimento macroeconomico sulle categorie più deboli. I sostegni vanno resi, pertanto, più mirati, più chirurgici. Ciò vale soprattutto per i Paesi che hanno un alto debito e hanno minore spazio di manovra fiscale.

L’Italia dovrà arrivare a breve a una scelta di questo tipo visto che a fine mese scadono i sostegni contro il caro energia.

Esatto. Proprio su questo il Governo italiano si sta muovendo sempre nell’ambito di un approccio, mi pare, incentrato sulla prudenza, ma anche sul cambiamento.

Da che punto di vista?

Dopo aver riformato in modo non traumatico il Reddito di cittadinanza, l’Esecutivo ora è alle prese con la riforma fiscale, che da un lato implica l’abbassamento delle aliquote Irpef per il ceto medio, ma dall’altro richiede un riordino delle cosiddette tax expenditures che si sono stratificate nel corso degli anni, così da efficientare il sistema fiscale, ma anche promuovere una maggiore equità.

Il risultato finale potrebbe essere una diversa distribuzione del carico fiscale più che una sua riduzione complessiva.

Realisticamente l’Italia non si trova nella condizione di poter diminuire in modo significativo il carico fiscale, ma può renderlo più efficiente e più equo, spostandolo verso coloro che sono maggiormente in grado di assorbirlo e renderlo più trasparente con il riordino delle tax expenditures. Si tratta di una riforma su cui sta lavorando il viceministro Leo e su cui dovremo aspettarci dei risultati a breve.

Infine, una domanda sulle parole di Gentiloni e Dombrovskis di ieri. È stato spiegato che le raccomandazioni della Commissione europea per i singoli Paesi saranno formulate sulla base della spesa primaria netta, e questo dovrebbe avvantaggiare l’Italia, ma è stato anche detto che occorre mantenere la massima prudenza sul debito pubblico. Cosa ci chiederà l’Ue?

Sia l’Italia che l’Ue condividono lo stesso obiettivo nel lungo termine – la sostenibilità fiscale, nel contesto di un’economia in crescita. Nel breve, ritengo che questa sia un’opportunità per la Commissione di inaugurare un approccio più equilibrato, valutando il ruolo di investimenti e di politiche di crescita inclusiva oltre ai tradizionali indicatori fiscali. Lo vedremo alla prova dei fatti.

Complessivamente cosa ci attende?

Rispetto agli anni passati, ci sarà un faro sui progressi nell’attuazione del Pnrr. Dati gli interessi convergenti tra Roma e Bruxelles anche in questo caso, mi auguro che l’Ue possa stimolare un dibattito ancora più serrato sulla rapida implementazione del Piano che è tra i principali obiettivi di questo Governo.

(Lorenzo Torrisi)

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