Questa settimana l’euro ha perso terreno rispetto al dollaro e la soglia della parità potrebbe essere raggiunta già in estate. Per Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, la svalutazione della moneta unica rispetto al biglietto verde dipende “dal convincimento dei mercati circa il fatto che le politiche monetarie si stanno differenziando sulle due sponde dell’Atlantico. Gli Stati Uniti hanno un’inflazione meno sotto controllo di quella europea. Quest’ultima dipende principalmente da fattori esterni, mentre la prima ormai anche da fattori interni, visto che è stata giustamente usata la leva fiscale con politiche molto espansive che sostenessero la domanda per scongiurare un ritorno in recessione. Questo fa sì, quindi, che la Fed sia molto più preoccupata della Bce ed è plausibile che alzerà maggiormente i tassi. I mercati l’hanno capito: per questo il dollaro si apprezza rispetto all’euro”.



Così, però, aumenta il rischio di importare ulteriore inflazione visto che le materie prime, soprattutto energetiche, costeranno di più per via di un euro svalutato…

È vero, e questo deve portarci a chiederci cosa farà la Bce di fronte a questo contesto: seguirà le orme della Fed o no?

Secondo lei cosa farà l’Eurotower?



Bisognerebbe chiederlo a Macron e a Draghi. Tutti pensano che la Bce sia indipendente, ma non è così. Come ricordava già Milton Friedman, una banca centrale alla fine fa sempre quello che le chiede la politica. 

Perché ha citato Draghi e Macron?

Il recente viaggio in treno a Kiev dei leader di Italia, Francia e Germania è stato a mio avviso importante perché ha riportato il nostro Paese al tavolo dove si prendono le decisioni importanti per l’Europa. In questo momento, però, la Germania è in difficoltà, quindi non si può non guardare sia all’ex banchiere centrale, sia a chi guida il Paese che esprime l’attuale presidente della Bce.



Cosa chiederà la politica alla Bce?

In Italia si andrà a votare tra non molto e c’è un populismo crescente dovuto a insoddisfazione in Francia, quindi i politici sono molto attenti. Per molti questa congiuntura assomiglia alla crisi degli anni 80 dovuta ai rialzi petroliferi. Allora, soprattutto negli Stati Uniti, si rispose con un’imponente stretta monetaria al fine di debellare l’inflazione. Questo comportò un forte aumento della disoccupazione con conseguenti proteste sociali. Oggi l’Europa non può assolutamente correre il rischio, in un momento di debolezza istituzionale e politica così forte, di seguire lo stesso percorso. Quindi, alla Bce non verrà chiesto di abbattere l’inflazione a costo di una maggiore disoccupazione. E questo, come dicevo prima, è di fatto già prezzato dai mercati nell’andamento del cambio euro/dollaro. La crescita dei prezzi comunque non è una cattiva notizia.

Da che punto di vista?

Anzitutto sul piano delle finanze pubbliche. Se la Bce non attuerà una politica restrittiva, come io spero e come credono i mercati, il rapporto debito/Pil tenderà automaticamente a diminuire, particolarmente nei Paesi più indebitati come il nostro. 

Perché?

Perché con l’inflazione alta, il Pil nominale salirà e quindi il rapporto debito/Pil diminuirà e non di poco. 

Non salirà anche il numeratore per via dell’aumento della spesa per interessi sul debito?

Non salirà tanto, perché la spesa per interessi dipenderà dalle mosse della Bce sui tassi e stiamo appunto dicendo che non ci sarà una stretta molto forte. Avremo quindi un debito/Pil più basso che permetterà ai politici europei, soprattutto quelli nei Paesi che giacciono nella sadomasochistica trappola del Fiscal compact, di alleggerire il carico fiscale sui cittadini. Questo è importante perché l’inflazione non sarà neutrale, inciderà sul potere d’acquisto di moltissimi lavoratori, ma ci sarà più spazio fiscale per compensazioni, sussidi e aiuti. Non dobbiamo poi dimenticare che, per via del rialzo inflattivo, le aziende dovranno pagare meno i lavoratori in termini reali, quindi saranno meno incentivate a licenziarli.

La situazione non sembra dunque così negativa…

Tutto dipende dalla politica monetaria europea, fronte su cui le mie preoccupazioni sono minime, e dall’intelligenza della politica fiscale europea nel saper sfruttare lo spazio fiscale che questa inflazione crea, cosa su cui invece nutro non pochi dubbi. Tra l’altro non va dimenticato un fattore importante.

Quale?

Che tutto quello che stiamo dicendo vale se l’elevata inflazione dura poco, mentre se invece persisterà, come ci insegna quel che è accaduto negli anni 80, monteranno le proteste per adeguare i salari all’inflazione con il rischio non solo di innescare la spirale prezzi-salari, ma anche di eliminare quella sorta di incentivo a non licenziare i lavoratori di cui ho parlato poco fa. 

Si può evitare questo rischio?

Se la fiammata inflattiva proseguirà, bisognerà mettere in conto nel 2023 una stretta monetaria della Bce simile a quella della Fed di oggi. Occorrerà pertanto mettere fieno in cascina tramite una seria spending review fatta non di tagli a casaccio, ma di lotta agli sprechi, in grado di liberare risorse da spendere per lo sviluppo e la competitività del Paese tramite gli investimenti pubblici. In questo modo si creerebbero anche opportunità di lavoro in grado di compensare gli effetti sull’occupazione delle politiche monetarie più rigide. C’è una finestra di un anno per mettere questo fieno in cascina, ma è difficile credere che il Governo sia in grado di sfruttarla, visto che finora, come i suoi predecessori, non ha dato priorità agli investimenti pubblici. E dubito anche che l’Europa, così fiscalmente stupida, capisca cosa c’è in gioco e cosa deve consentire di fare all’Italia. L’importante è sapere che nulla vieta di potersi muovere nella direzione giusta: se vogliamo, si può fare.

L’inflazione sta facendo aumentare anche il gettito fiscale (stando ai dati del Mef, da gennaio a maggio le entrate sono salite del 10,9% rispetto a un anno fa): non teme verrà usato per diminuire il disavanzo primario?

Assolutamente sì. Ma se reimmettiamo nell’economia queste risorse per creare sviluppo otteniamo comunque il risultato di non peggiorare i conti pubblici da presentare a Bruxelles. C’è poi un’altra mossa importante da fare.

A che cosa si riferisce?

Cominciamo ad avere un problema notevole, soprattutto in ottica Pnrr, causato dall’impatto drammatico che l’inflazione sta avendo sul valore della gare d’appalto, con il rischio che molte vadano deserte: quale impresa, infatti, parteciperebbe se non può coprire i costi? Questo è un problema operativo che il Governo deve risolvere insieme all’Europa: bisogna prendere atto che l’inflazione rende impossibile avviare tutti i cantieri e va quindi ridotto il loro numero alzando il valore delle gare. A proposito di Pnrr non si può poi tacere la vergognosa totale mancanza trasparenza del Governo riguardo l’utilizzo dei fondi.

In che senso?

Ricorderà che il ministro Franco, nel corso di un’audizione parlamentare, aveva detto che dei 15 miliardi previsti dal Pnrr per vecchi progetti ne sono stati spesi solo 5. Bene, a oggi l’Orep, l’Osservatorio sul Recovery plan che dirigo insieme al prof. Scognamiglio, non è ancora riuscito a capire come siano stati utilizzati, dove siano stati spesi, per quali cantieri, questi 5 miliardi. Non abbiamo alcuna informazione su quello che sta succedendo sui fondi del Pnrr ed è scandaloso che questo Governo non si ponga il problema. 

Quali politiche fiscali andrebbero messe in atto in Italia per lenire i problemi dei cittadini più colpiti dai rincari, dalla perdita di potere d’acquisto?

In parte dovremo fare dei sacrifici, cambiare alcune abitudini perché tutti siamo colpiti dallo shock sul lato dell’offerta, in parte usare la politica fiscale per sussidi e sostegni, in parte mettere in campo seriamente, sia con il Pnrr che al di fuori di esso, cosa che questo Governo austero si rifiuta di fare, gli investimenti pubblici. Come vediamo in questi giorni, ce ne sarebbero da fare nelle aree colpite dalla siccità, nell’infrastruttura idrica del Paese.

Se il ministro dell’Ambiente tedesco chiede solidarietà energetica all’Europa, visto che il suo Paese ha una forte dipendenza dal gas russo, perché non chiedere che ci sia solidarietà anche su altri fronti?

Ho sempre sostenuto che la solidarietà in Europa è una chimera, che non è raggiungibile adesso, perché tra Paesi europei non c’è ancora un rapporto come tra fratelli, ma al massimo come tra cugini di quarto grado. Bisogna trovare quindi un modo perché in questi decenni necessari a raggiungere il traguardo di una vera unità la costruzione comune non venga messa in discussione. Per questo ritengo necessaria l’autonomia delle politiche fiscali: l’Europa non dica ai Paesi cosa fare, li lasci liberi di agire, anche ampliando i propri deficit, saranno poi loro ad avere l’onere di presentare progetti credibili per ottenere prestiti dal mercato. La Germania ha quindi la possibilità di fare deficit, di usare la politica fiscale per venire incontro al dolore della sua gente. Cosa che deve essere consentita anche all’Italia.

(Lorenzo Torrisi)

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