Nella legislatura appena iniziata la questione meridionale è destinata ad assumere un valore dirimente, e con caratteristiche inedite rispetto al passato, per la governabilità delle nostre istituzioni. Il ridimensionamento del consenso elettorale verso la Lega sancisce il fallimento del tentativo di trasformare un partito con una forte identità territoriale in una forza politica nazionale a guida carismatica. La crescita del consenso elettorale che aveva consentito a Salvini di reggere l’intesa interna al suo partito con i governatori delle regioni del Nord, si è esaurita con l’avvento del Governo Draghi e per le priorità imposte dalle conseguenze della guerra in Ucraina. Un esito che ha compromesso anche il ruolo egemonico svolto dalla Lega per la formazione delle coalizioni politiche locali e la designazione dei governatori delle regioni del nord Italia.
La convocazione dei congressi regionali rappresenta il tentativo di ricostruire una Lega nord identificata con gli interessi del territorio e che, con tutta probabilità, si concluderà con un cambiamento della leadership. Tutti eventi che nel breve periodo allontanano la possibilità di mettere in calendario l’ampliamento delle competenze istituzionali affidate alle regioni rivendicato dai governatori delle regioni del Nord Italia.
Nel frattempo si concretizza la definitiva trasformazione del M5S in una forza politica ideologicamente configurata nella sinistra italiana, vocata a difendere il ruolo assistenziale dello Stato e che fa perno su una rappresentanza parlamentare eletta per la gran parte nei territori del Mezzogiorno.
A provocare lo scossone è stato il successo registrato da Fratelli d’Italia che ha riassorbito l’erosione dell’elettorato leghista nelle regioni del nord diventando in via di fatto l’unica forza politica che riscontra un rilevante e diffuso consenso su tutto il territorio nazionale. Un risultato frutto del desiderio di novità, dell’apprezzamento delle posizioni assunte, anche nel passato recente, dalla leader di Fratelli d’Italia e per l’esplicita intenzione di farsi carico in via prioritaria dei fabbisogni espressi dai ceti produttivi. Un consenso che trova riscontro nelle analisi delle propensioni di voto effettuate dopo l’esito delle elezioni.
Non sono novità di poco conto, anche se i ribaltoni politici avvenuti negli anni recenti consigliano di essere cauti nel valutare la solidità di queste tendenze. Destinate in ogni caso a influenzare in modo radicale i cambiamenti del sistema politico e l’evoluzione dei singoli partiti.
La riproposizione dello Stato interventista e redistributore delle risorse ha registrato una crescita di consensi proporzionale alla mole degli interventi finanziati per contrastare le chiusure delle attività economiche nel corso della pandemia, con conseguenze strutturali per l’incremento della spesa assistenziale a carico delle pubbliche amministrazioni. Sui mass media circolano alcuni grafici che illustrano con dovizia il rapporto esistente tra la presenza dei beneficiari dei sostegni al Reddito di cittadinanza nei territori e il consenso elettorale ottenuto dal M5S.
Ma questo provvedimento rappresenta solo la punta dell’iceberg di un sistema di erogazione e gestione della spesa pubblica e delle derive assistenzialiste che hanno assunto una particolare rilevanza nel secondo decennio degli anni 2000. Legittimata da un robusto impianto ideologico che trova ampio consenso nei ceti intellettuali e in numerosi esponenti del Partito democratico. Questi ultimi non fanno mistero di considerare un errore la mancata intesa con il M5S per l’obiettiva convergenza degli intenti politici e non solo per le esigenze tattiche imposte dalla legge elettorale.
Un approccio culturale che tende a considerare l’intervento dello Stato assistenziale nella formazione dei redditi e dei salari come un’esigenza strutturale delle società capitalistiche, incapaci di offrire adeguate opportunità di lavoro per l’effetto dell’impatto delle innovazioni tecnologiche e delle delocalizzazioni produttive verso Paesi con bassi costi del lavoro. Una tendenza che viene accompagnata ,non a caso, dalla rivendicazione di politiche ambientaliste palesemente ostili agli insediamenti industriali.
Il Reddito di cittadinanza, il salario minimo legale, l’utilizzo dell’Isee patrimoniale per l’accesso alle prestazioni pubbliche, le imposte negative per integrare i redditi sotto soglia, l’estensione dei sostegni al reddito per i disoccupati, diventano le tappe per costruire le basi del reddito universale non sottoposto a particolari condizioni. Il contrasto della povertà e delle disuguaglianza sono tappe per raggiungere l’obiettivo generale. L’apertura della fase congressuale del Partito democratico sarà utilizzata per ricostruire le convergenze su questi obiettivi tra i due partiti della sinistra italiana.
In più occasioni abbiamo cercato di evidenziare con l’ausilio dei numeri, quanto siano infondate, soprattutto nel contesto nazionale, queste analisi.
L’esito elettorale rappresenta la conferma che è in corso una radicalizzazione degli orientamenti territoriali degli elettori e delle rappresentanze politiche che può compromettere qualsiasi proposito di riformare le istituzioni e persino di ricostruire un consenso interno sulle priorità da salvaguardare nell’interesse della nazione.
Come noto, i tratti distintivi negativi dell’economia e del mercato del lavoro (bassa intensità degli investimenti, scarso impiego della popolazione in età di lavoro, quote elevate di lavoro sommerso) trovano riscontro soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. La formazione del reddito delle famiglie in queste aree dipende storicamente da tre componenti: la quota di valore aggiunto generata dall’economia ufficiale; l’entità dei trasferimenti pubblici (come somma degli investimenti, degli stipendi dei dipendenti pubblici, dei sostegni al reddito e delle rendite pensionistiche di varia natura); l’apporto dell’economia sommersa.
Negli ultimi 30 anni, e in modo marcato dopo il 2008, la formazione del valore aggiunto nel Mezzogiorno si è ridotta in modo consistente per la quota degli investimenti pubblici, degli stipendi della Pubblica amministrazione, delle imprese e del mercato del lavoro ufficiale . Nel mentre è aumentata la componente del lavoro sommerso e quella dei sostegni assistenziali. La spesa assistenziale, al netto dei soggetti impossibilitati a lavorare, tende a crescere in modo complementare alla formazione del lavoro sommerso. Per un numero rilevantissimo di persone le prestazioni sommerse rimangono la condizione per beneficiare dei sostegni pubblici e per integrare i sostegni erogati dalla Pubblica amministrazione.
È persino superfluo, almeno per chi si degna di approfondire i problemi, evidenziare le condizioni culturali, sociologiche e ambientali che favoriscono la formazione e di questo modello di sviluppo che combina l’utilizzo distorto e improduttivo delle risorse pubbliche con i comportamenti illegali, la bassa produttività dei fattori, una scarsa capacità di attrazione di nuovi investimenti, la fuga dai territori del Mezzogiorno delle risorse umane più preparate e intraprendenti. Tendenze complicate dal declino demografico che genera tassi di invecchiamento e di spopolamento superiori alle medie nazionali.
Il Pnrr si propone l’obiettivo di incrementare la quota degli investimenti pubblici e privati ( il 40% delle risorse disponibili) nelle aree del Mezzogiorno. Nel contesto attuale l’obiettivo generale dovrebbe essere accompagnato da un programma di riforme funzionali a far diventare i territori del Mezzogiorno luoghi di attrazione di energie imprenditoriali e di risorse umane competenti nel quadro dei riassetto delle filiere produttive in ambito internazionale, a partire dalle risorse energetiche.
La contrapposizione degli interessi tra le diverse aree del Paese, assecondata dalla radicalizzazione delle rappresentanze politiche, può compromettere l’attuazione degli impegni assunti in ambito sovranazionale e le stesse condizioni per assicurare un Governo stabile per la nuova legislatura.
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