Dietro l’esecutivo traballante di Conte si intravedono i movimenti di una corsa al Colle che è già cominciata. Mercoledì Sergio Mattarella ha concesso a Conte due settimane di tempo per trovare senatori con cui allargare la maggioranza; ieri sono saliti al Quirinale Lega, FdI e Forza Italia. Per la prima volta Salvini, Meloni e Tajani hanno detto con una sola voce che la strada maestra per risolvere la crisi è il ritorno alle urne.
“Il Colle ha bisogno di un governo debole” dice Carlo Pelanda, economista, per far passare il Recovery che piace all’Ue. Ma insieme a questa partita se ne gioca un’altra, spiega Pelanda, quella del vero potere che comanda in Italia perché è l’unico interlocutore rimasto dei poteri esterni.
Come definirebbe il ruolo del Colle in questa crisi di governo?
Ci sono due livelli di lettura. Uno molto istituzionale: il Quirinale fa il suo mestiere di arbitro non interventista.
Ci interessa?
È il livello di lettura che corrisponde al linguaggio dichiarativo, quello dei comunicati o dei giornali che interpretano il Colle.
E il secondo livello?
In questo caso c’è una forte concorso del Quirinale per permettere la durata e la continuità di questo governo. Per esempio concedendo più tempo per allargare la maggioranza.
Come commenta?
La presidenza della Repubblica è l’interfaccia privilegiata dell’Unione Europea.
La vera preoccupazione di Mattarella è l’ingresso dell’Italia del Next Generation Eu?
Le due cose, governo e Recovery, vanno insieme.
E se chi dovrebbe preparare il Recovery Plan non fa bene il suo lavoro?
Il Colle ha bisogno di un governo debole che, dovendo dipendere dall’aiuto del Quirinale, recepisca quello che l’Ue vuole. In questo svolge perfettamente il ruolo di garante del vincolo esterno europeo.
Dunque, essendo il governo Conte più debole ora di prima…
È più malleabile. Il Recovery andrà più facilmente in porto.
Lei ha collaborato con Cossiga presidente della Repubblica. Allora il contrappeso del Colle era un sistema politico strutturato. E oggi?
Sono due epoche non comparabili. Cossiga sentiva una responsabilità politica molto forte e questo lo portò ad un conflitto formidabile con il suo partito. L’Italia in quegli anni restava abbastanza sovrana perché non aveva ancora ratificato il trattato di Maastricht (30 ottobre 1992, ndr). Quando parlavamo degli scenari interni ed esterni, sul tavolo c’erano sempre tante opzioni.
Adesso?
Adesso l’Italia non è più una nazione indipendente. Per questo mi chiedo che cosa potrebbe fare Mattarella di diverso da quello che fa. Sarebbe offensivo dire che prende ordini; diciamo che interpreta l’interesse nazionale italiano nell’essere conforme a ciò che viene deciso dall’esterno.
Mattarella e Renzi non potrebbero aver condiviso la volontà di sostituire un presidente del Consiglio, e forse un intero governo, debole sul piano economico e su quello del contrasto alla pandemia? Anche se poi gli eventi sono andati in un’altra direzione.
Domanda sensata ma destinata a rimanere senza risposta. Se uno non è nelle segrete stanze non ha accesso a questa informazione. Ma non è rilevante. Non ci vuole molto a capire che nessuno vuole andare al voto. Neppure il centrodestra.
Però oggi pomeriggio (ieri, ndr) Lega, FdI e FI hanno detto per la prima volta all’unisono che la strada maestra è il voto.
Le urne sono sempre un’opportunità. Detto questo, il centrodestra non ha ancora le carte per governare. Deve poter offrire un’alternativa strutturata, robusta. Come? Scegliendo un premier e mettendo in piedi una squadra e un programma, espressione di una compattezza politica che ancora non c’è. La domanda è: il centrodestra ha gli uomini?
La sua risposta?
Lega, FdI e FI sanno di non averli all’interno dei rispettivi partiti. Dovrebbero formarli, ma siccome c’è poco tempo, dovrebbero prenderli da fuori. Un rischio che ogni leader politico conosce bene.
Che cosa intende?
Se il leader di un partito strutturato ricorre a uomini di governo esterni al partito, rompe il partito e mette a repentaglio la propria segreteria.
Assomiglia molto a quello che sta succedendo ai 5 Stelle con Conte, che prenderà loro e anche al Pd molti voti facendo un suo partito.
Può essere. Resta il fatto che il centrodestra al momento non ha un candidato presidente del Consiglio. Il centrosinistra invece ne ha virtualmente troppi. Che il prescelto sia buono o cattivo non importa. Deve avere credibilità. Un requisito che vale per tutti.
Come si esce dall’impasse?
Non è facile. Nella Lega, Giorgetti sta tentando di farlo. Salvini ha dalla sua la forza di chi ha portato il partito dal 4 al 24% anche grazie all’euro-antagonismo. C’è una risorsa che la politica ha sempre paura di usare, a meno di non trovarsi in estrema difficoltà: la verità. Ovviamente un’operazione verità toccherebbe anche a FdI e FI.
Che cosa intende con questo?
Renzi ha creato una confusione inenarrabile, però lo ha fatto utilizzando, pro domo sua, la verità. Il suo discorso contro il governo è stato del tutto condivisibile. Iv stava sparendo; messo alle strette, Renzi ha fatto un’operazione di verità.
Anche Conte due giorni fa ha parlato con Mattarella. Che gli ha dato altro tempo.
I consiglieri del presidente avranno preso nota della disponibilità a rafforzare la maggioranza. Il compito di Mattarella è accertare che una maggioranza ci sia e che sia fatta di persone compatibili con i vincoli esterni che un’Italia debole e non più sovrana deve rispettare.
Quali sono i criteri di questa compatibilità, dando per scontato l’europeismo?
Un atlantista alla Difesa, un filo-francese all’Economia e un regalo al Vaticano.
Qual è l’agenda del Quirinale in quest’ultimo anno di mandato?
Quella europea. All’Ue interessa che non ci sia nessun potere politico nel parlamento italiano in grado di fare cose diverse da quelle della nuova condizionalità europea sul Recovery Plan.
Condizionalità è una parola ormai ricorrente. Che cosa significa in concreto?
Ad esempio assecondare l’industria tedesca dell’auto elettrica. In Italia vuol dire transizione all’auto elettrica e tante colonnine nelle città italiane. Che intorno alle colonnine ci sia gente licenziata che muore di fame, all’Europa non interessa.
E in Italia interessa a qualcuno?
La Germania è un impero e l’Italia è un suo vassallo. Un politico italiano ha due scelte: o si ribella e paga un prezzo enorme, oppure si adatta e cerca di sopravvivere fino a che le condizioni non migliorino.
Alcuni hanno rilevato che l’unico obiettivo della maggioranza è organizzarsi per eleggere il successore di Mattarella.
Non credo che il centrodestra possa farsi imporre la scelta, perché con i delegati regionali ha buoni numeri. In realtà converrebbe un accordo, perché la non neutralità del presidente della Repubblica potrebbe essere uno svantaggio per tutti gli schieramenti.
Previsioni?
È prematuro. I requisiti però sono chiari. Occorre una persona che sappia destreggiarsi nelle alleanze. Più con la Francia o più con la Germania? Con l’America o con la Cina?
Cosa risponde?
Innanzitutto dico che il capo dello Stato è il vero interlocutore dei poteri esterni. L’Italia non offre più interlocutori privati, come lo è stato Agnelli, garante dell’Italia nei confronti degli Usa e non solo. Dovrà essere una personalità che garantisca la scommessa su un’alleanza.
La sua opzione?
Io dico Germania e Stati Uniti.
Ma la Germania non guarda già troppo solidamente alla Cina?
No. La Germania applica un multilateralismo selettivo. Vuol dire che è riuscita a calibrare la relazione con la Cina senza esserne succube. Lo ha fatto su tre direttrici: cooperazione, competizione e confronto. Competizione, per capirci, vuol dire chiudere ai cinesi le porte delle proprie aziende tecnologiche. È più o meno la stessa calibratura che stanno cercando i think tank che supportano Biden.
La Francia invece che cosa fa?
Applica un multilateralismo a 360 gradi. L’obiettivo è mettersi alla testa della sovranità europea, riservandosi di decidere di volta in volta che cosa fare e con chi, Stati Uniti o Cina. Il pensiero imperiale tedesco è più consapevole: sa di non poter fare questo perché non ne ha la forza.
Si tratta solo di resistere?
No. Usa ed Europa hanno una quarta arma, che si chiama condizionamento: il rapporto non succube con Pechino condiziona la Cina. I pensatori strategici cinesi lo sanno e lo temono moltissimo.
E l’Italia?
Ha cercato di competere sottoscrivendo prima di tutti gli altri un accordo politico con Pechino per fare business. Vuol dire non avere capito nulla. Anche perché non abbiamo un pensiero strategico italiano indipendente, ma istituzioni super-penetrate dai maggiori poteri esterni francesi e cinesi. Abbiamo anche bravissimi uomini indipendenti, ma quando sono nelle istituzioni il loro reporting viene modificato da mani eterodirette.
Che cosa ci resta nella guerra che ha appena descritto?
Solo il Quirinale. Che in questa situazione, non avendo più alcuna forza, cerca di sopravvivere.
(Federico Ferraù)