Oggi verrà reso noto il dato definitivo sull’inflazione nell’Eurozona a gennaio, dopo che ieri l’Istat ha confermato il +4,8% tendenziale italiano. La fiammata dei prezzi desta una certa preoccupazione sulle prossime mosse della Banca centrale europea, che, come ricorda Sergio Cesaratto, professore di Politica monetaria europea all’Università di Siena, possono avere contraccolpi negativi per il nostro Paese.
C’è molta attesa per le mosse della Bce e François Villeroy de Galhau, uno dei membri del Consiglio direttivo, ha recentemente detto che l’Eurotower potrebbe porre fine agli acquisti netti di titoli di stato già nel terzo trimestre dell’anno. Questo sarebbe un problema per l’Italia?
In assenza di altre misure sì. In effetti dichiarazioni di questo tipo sono attese dai falchi come il neopresidente della Bundesbank, Nagel, più che dal governatore della Banca di Francia il cui voto può essere determinante nel Consiglio direttivo della Bce. È vero che un aumento dei tassi di interesse poco può fare contro un’inflazione che è fondamentalmente di origine esterna (mal funzionamento delle catene di approvvigionamento globali, prezzo dell’energia e tensioni geopolitiche), ma quello che preoccupa la Bce sono gli effetti di “second round”, cioè che il rialzo dell’inflazione faccia scattare richieste di aumenti salariali seguite da un rialzo dei prezzi, questa volta di origine endogena. Una volta innestata la spirale prezzi-salari, tutti i soggetti (lavoratori e imprese) interiorizzano aspettative di tassi d’inflazione alti e forse crescenti, e ciascuno gioca d’anticipo cercando di aumentare il proprio prezzo prima degli altri. Sradicare l’inflazione diventerebbe a quel punto molto costoso.
Come si potrebbe a quel punto sradicare l’inflazione?
Aumentando i tassi di interesse accrescendo così la disoccupazione e indebolendo il potere sindacale. In aggiunta l’indebolimento della domanda scoraggia le imprese dall’aumentare i prezzi e, soprattutto, l’aumento del costo dell’indebitamento scoraggia politiche fiscali espansive. È un po’ macabro, ma quello che Villeroy e colleghi intendono dire è: se si scatena la spirale prezzi-salari la recessione necessaria sarebbe ben più dura di quella generata giocando d’anticipo.
Comunque i lavoratori pagano: non c’è un’alternativa?
L’alternativa è la condivisione sociale dei costi dell’inflazione importata. Ma questo era possibile nelle economie neo-corporative nordiche con la triangolazione fra sindacati forti, datori di lavoro e Governo. Questo modello scandinavo richiede però la dominanza della grande impresa, che in Italia non c’è. L’ordoliberismo europeo ha inoltre deliberatamente indebolito i sindacati. La parte del lavoro autonomo più retrograda è inoltre protetta in Italia dalle forze politiche del centro-destra, lo si è visto col famigerato emendamento che ha riportato a 2mila euro la soglia del contante (o sulla vicenda degli stabilimenti balneari). In Svezia i contanti non si usano più.
Il Parlamento non ha ancora ratificato la riforma del Mes. Quanto è concreto il rischio che, venuti meno gli acquisti della Bce, l’Italia debba fare ricorso al Mes?
È alto. Naturalmente qui giocano altri fattori, in primis la delicata situazione geopolitica (ricordiamo che dopo l’Ucraina verrà Taiwan). Le tensioni giocano contro la riduzione progressiva della cause globali dell’inflazione. Il cuscinetto europeo nei confronti di una tempesta perfetta sull’Italia è il “pacchetto Draghi” del 2012: acquisto illimitato di titoli italiani da parte della Bce più Mes, ovvero ristrutturazione del debito pubblico italiano cum politiche di restrizione fiscale. Un destino greco insomma. Ça va sans dire la ristrutturazione del debito (in parte cancellato e in parte allungato nelle scadenze) ricadrebbe su banche e risparmiatori italiani. Certo se a pagare fossero gli evasori fiscali (quelli ben protetti dalla destra) saremmo felici, ma come si fa a distinguerli nel mucchio?
Ci sono state e permangono pressioni sul Governo perché faccia un nuovo scostamento di bilancio per varare misure contro il caro energia. Fanno bene Draghi e Franco a fare resistenza sapendo che il supporto della Bce verrà sempre meno?
Le istituzioni europee dovrebbe sostenere l’Italia a fronte di tensioni di origine geopolitica. La Bce aumenti pure i tassi, l’importante è che non aumentino quelli sui titoli di Stato italiani. Ma questo rimanda la palla a iniziative in campo fiscale come gli eurobond, sempre lì si finisce. Macron e Draghi hanno avanzato una proposta di agenzia europea del debito, Micossi ha proposto di trasformare il Mes a questo scopo, Amato e Saraceno hanno avanzato una proposta più elaborata. Insomma, una condivisione europea del rischio costerebbe poco a tutti ed eviterebbe questo stato di perenne crisi incombente. Ovviamente qualcosa si dovrebbe concedere in termini di controllo dei conti pubblici, ma in cambio della costituzione di una capacità fiscale europea che si occupi del sostegno ciclico e strutturale alla crescita.
Tra qualche settimana verrà presentato il Documento di economia e finanza. Come si aspetta che sia?
Non sarà facile per il Governo conciliare l’aumento dei tassi sul debito e il sostegno fiscale con una crescita indebolita dalle tensioni internazionali.
Nelle scorse settimane le interviste ai quotidiani italiani di Christian Lindner e del capo economista del ministero delle Finanze tedesco Lars Feld sembrano averci fatto capire quale sarà la posizione della Germania rispetto al dibattito sulla riforma del Patto di stabilità. Possiamo quindi dire addio a modifiche sostanziali e aspettarci solo ritocchi di facciata?
Condivisione del rischio sul debito e capacità fiscale europea, ma anche un maggiore coordinamento fra politica fiscale e monetaria sono un pacchetto ragionevole se si volesse uscire dalla perenne emergenza finanziaria europea. In un dibattito organizzato dalla Cgil gli scorsi giorni i relatori hanno intravisto nel Next Generation Eu un passo possibile in questa direzione. Ma senza richiamare i falchi Lindner, Lars e Nagel, a sentire un responsabile internazionale della Cgil i medesimi sindacati nordici sono a dir poco freddi (a proposito di internazionalismo proletario!). Amici giuristi sollevano anche difficoltà a effettuare riforme incisive nel contesto degli attuali Trattati (ma ricordiamo anche le probabili contestazioni della Corte costituzionale tedesca a qualsiasi condivisione fiscale). Ma allora di che parliamo? Quello che è mancato nel dibattito della Cgil, sia da parte sindacale che accademica, è la consapevolezza di cosa rappresenta veramente l’Europa.
Cosa intende dire?
Che non è una meta sociale, ma un disegno ordoliberista. Poi si facciano pure proposte in positivo, è assolutamente necessario per una battaglia politica che sarà molto dura per l’Italia; ma al minimo si abbia una maggiore consapevolezza di chi abbiamo di fronte. Per parafrasare il sommo cantautore: “Non ci sono poteri (europei) buoni”, al massimo compassionevoli.
(Lorenzo Torrisi)
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