Mentre proseguono le audizioni parlamentari sulla Nadef, il Governo lavora alla messa a punto della Legge di bilancio che dovrebbe essere approvata lunedì prossimo. Lo spread resta intanto vicino ai 200 punti base. A preoccupare gli investitori sembra essere anche la stima dell’Esecutivo sulla crescita del Pil del 2024 (+1,2%), in quanto più alta di quelle di altri previsori nazionali e internazionali. Anche il Centro Studi Economia Reale, di cui venerdì scorso è stato presentato il 18° Rapporto annuale di previsione, ritiene che la crescita indicata dalla Nadef “risulta sovrastimata a partire dal 2024 in poi”. Abbiamo chiesto un commento al suo Presidente Mario Baldassarri, che presiede anche l’Istao di Ancona.



Professore, gli investitori hanno manifestato qualche preoccupazione dopo la presentazione della Nadef. Lei cosa ne pensa?

Il Governo ha scelto, come ha del resto annunciato, una linea di estrema prudenza sui conti pubblici. E questo può essere anche condivisibile. Tuttavia, questa estrema prudenza è calata dentro i moloch intoccabili delle entrate e delle spese totali, in cui si annidano 100 miliardi di ruberie e sprechi riguardanti la spesa pubblica e altrettanti di mancato gettito a causa dell’evasione fiscale. Se non si interviene su questi 200 miliardi di euro è ovvio che i margini di manovra non possono che essere quelli risicati indicati dalla Nadef. Il risultato è che si sceglie la prudenza, ma si mantiene sostanzialmente una situazione estremamente fragile. Citando una canzoncina per bambini, il quadro può essere rappresentato come un elefante che si dondola sul filo di una ragnatela. I mercati, in questo momento, stanno esprimendo questo giudizio di fragilità.



Potrebbe anche sfociare in un downgrade?

Francamente rispetto a un anno fa non vedo differenze, quindi perché operare un downgrade ora se non lo si è fatto allora? Tra l’altro va detto che sulle previsioni di crescita incide anche la situazione del commercio internazionale, così come la frenata della Germania, cioè fattori esogeni all’economia italiana.

Nel vostro Rapporto avete fornito anche delle indicazioni su come aumentare la crescita, che potrebbe salire sopra il 2% nel 2024 e addirittura sopra il 3% dal 2025.

Sì, sarebbe possibile raggiungere questo risultato tramite un duplice intervento. Da un lato, una forte e strutturale riforma fiscale con un abbassamento del carico su famiglie (riduzione a tre aliquote Irpef) e imprese (azzeramento dell’Irap o taglio del cuneo fiscale) dal valore di 60 miliardi di euro. Dall’altro, un programma per altri 60 miliardi di investimenti pubblici in opere infrastrutturali. Andrebbero poi varate le riforme strutturali della concorrenza e del mercato, della giustizia e della Pubblica amministrazione. In questo modo si raggiungerebbe una crescita che ci metterebbe al riparo sia in termini di prospettive occupazionali, sia, soprattutto, in termini di stabilità della finanza pubblica.



Stiamo parlando di misure molto costose…

Noi abbiamo indicato dove poter reperire le coperture per questi interventi: dalla revisione delle tax expenditures e dalla riduzione dei trasferimenti a fondo perduto. Tra l’altro, mi sono permesso di far notare che negli ultimi due anni abbiamo fatto manovre per 210 miliardi, ma senza coperture.

A che cose si riferisce?

Mi riferisco, in primo luogo, ai 110 miliardi sussidi dati all’industria energetica, mascherati da sussidi a famiglie e imprese per far fronte al caro bollette. A tal proposito, nella prima parte del nostro Rapporto è contenuta per la prima volta una quantificazione di quanto ci è costato il mancato intervento dell’Antitrust sul prezzo del gas.

Qual è il risultato finale di questa quantificazione?

L’economia ha subito un costo in termini di minore crescita pari al 2,1% di Pil reale, con una perdita di 210.000 posti di lavoro. Sul fronte del bilancio pubblico, abbiamo subito un maggior deficit di 4 miliardi nel 2021, quasi 105 miliardi nel 2022 e 60 miliardi nel 2023. In percentuale del Pil, il deficit sarebbe quindi stato al 5,5% nel 2022 e al 3% nel 2023. Il debito pubblico su Pil, invece, oggi sarebbe stato inferiore al 135%. Insomma, la base di appoggio per la Legge di bilancio 2024 sarebbe stata completamente diversa.

Se non ci fosse stata la crisi energetica…

Una falsa crisi energetica, in realtà si tratta di un abuso del potere di mercato da parte delle compagnie energetiche, non contrastato ex ante dall’Antitrust.

È una situazione che si può ripetere, visto il contesto internazionale?

Sì, se continuiamo a tenere come parametro di riferimento per le bollette il famigerato TTF di Amsterdam e non le dichiarazioni doganali delle stesse compagnie energetiche sul prezzo di acquisto del gas importato.

Prima stava parlando di manovre per 210 miliardi senza coperture negli ultimi due anni: 110 miliardi, come ha appena detto, sono dovuti ai sussidi pubblici contro il caro bollette finiti poi nei bilanci delle compagnie energetiche, ma gli altri 100?

Sono quelli che stiamo pagando per il superbonus al 110%. In entrambi i casi si tratta di misure che hanno fatto aumentare deficit e debito pubblico. Perché, allora, non si possono fare varare le misure da 120 miliardi, con le coperture che abbiamo indicato?

Lei sa dire perché?

Perché nel momento in cui le si vanno a proporre, il dissenso politico non riguarda la riforma fiscale o gli investimenti pubblici in infrastrutture, ma l’andare a intaccare le voci della spesa pubblica.

Dunque, oltre a un problema di regolamentazione sul prezzo delle bollette, c’è anche un problema di tipo politico che andrebbe affrontato.

Sì, ed è per questo che abbiamo scelto come titolo per il Rapporto “Riforme e investimenti vs. sussidi e trasferimenti”.

(Lorenzo Torrisi)

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