La riapertura graduale dell’Italia è un rischio calcolato, lo aveva preannunciato Mario Draghi. Ma il presidente del Consiglio non aveva messo in conto due rischi solo in parte calcolati e calcolabili: la ripresa della pandemia per colpa della variante delta e l’implosione cosmica dei cinquestelle, con la possibilità che la supernova diventi un buco nero. Il primo rischio è certamente il più grave, ma il secondo è tale da minare il Governo e lo stesso esperimento Draghi.
La variabile sanitaria entra subito in contraddizione con la fine di ogni lockdown. Il capo del governo ha messo le mani avanti, facendo l’esempio della Gran Bretagna dove il virus mutato si sta diffondendo a una velocità impressionante e imprevista. Altro che freedom day come aveva proclamato Boris Johnson, con il solstizio d’estate è tornato lo spettro delle chiusure. Il Regno Unito non è un’eccezione, bensì è l’avanguardia di una nuova ondata che tocca già anche l’Italia a giudicare dai dati che affluiscono.
Chi bazzica le autorità sanitarie dice che in realtà era stato previsto, pur facendo tutti gli scongiuri. Oggi abbiamo più difese, soprattutto lo scudo dei vaccini, ma proprio la campagna vaccinale sta incontrando nuove difficoltà, mentre l’immunità collettiva è ancora lontana e diventano preoccupanti le cifre sulla popolazione che non vuole vaccinarsi, persino tra i medici e il personale sanitario. Ciò vuol dire che la nuova impennata potrebbe coglierci quando ancora non abbiamo alzato l’unica diga davvero efficace. E mentre si celebra il ritorno ai fasti della società ludica, strombazzando la riapertura delle discoteche, si riparla di zone rosse, sia pur circoscritte. Abbiamo ancora fresco il ricordo di che cosa è accaduto l’anno scorso, e questa volta i rituali della movida finiranno per soffocare nella culla la ripresa, facendo fallire l’impatto del Pnrr. Altro che ritrovata libertà, un tonfo nella nuova povertà. I media non ne sono consapevoli, Draghi sì e lo dimostra: ogni giorno che appare in pubblico sembra sempre più preoccupato. Il rischio, insomma, potrebbe davvero sfuggire a ogni calcolo se non si corre subito ai ripari.
La variabile politica, sia pur diversa, non è meno allarmante per il cammino del Paese. La dialettica tra Grillo e Conte è diventata prima contrasto tra due anime, poi conflitto tra due linee politiche, adesso è una sfida all’OK Corral. È presto per dire chi vincerà, certo il percorso da movimento a partito, da popolo dei vaffa a forza di governo si è interrotto. E proprio mentre sul tavolo di Draghi sono in prima fila i dossier che stanno più a cuore ai grillini. C’è la riforma del mercato del lavoro, con gli ammortizzatori sociali, i licenziamenti, le politiche attive, l’Inps (il cui Presidente è stato scelto dal M5S), il reddito di cittadinanza, tutti temi sui quali il M5S ha giocato da protagonista, con la sponda dei sindacati, in particolare della Cgil guidata da Maurizio Landini. Draghi ancora non ha messo le mani in questi nidi di vipere, per il momento il ministro Orlando va avanti con nuovi rinvii (come nel caso dei licenziamenti) che in realtà non soddisfano nessuno, sia pur per ragioni opposte.
Ancor più rovente è la riforma della giustizia. Il disegno di legge giace a Montecitorio da oltre un mese. La ministro Marta Cartabia deve inviare alla Camera i suoi emendamenti, ma i deputati non li hanno ancora visti, sembra che prima dovranno passare in Consiglio dei ministri dove saranno sotto il tiro incrociato dei giustizialisti e dei garantisti che si concentrano per lo più, anche se non completamente, gli uni nei grillini e gli altri nel centro-destra. L’ex guardasigilli Alfonso Bonafede si attesta a difesa della sua riforma della prescrizione, il Pd cerca una mediazione, Luigi Di Maio sembra volere un compromesso, ma lo scontro aperto tra Grillo e Conte avrà conseguenze anche su questo terreno minato.
Ci sono poi le nomine. S’avvicinano quelle alla Rai che sono come sempre ad alta carica politica. Il M5S ha già subito una disfatta perdendo la Cassa depositi e prestiti, è logico che non voglia mollare la Rai ancora più importante nel risiko del potere. Draghi ha detto che vuole risolvere tutto entro metà luglio, ma il totonomine va avanti già da mesi: secondo le ultime indiscrezioni, per la presidenza si potrebbe convergere su Antonio Di Bella ora tornato a New York, mentre come capo azienda Draghi vorrebbe una manager che sappia finalmente far quadrare i conti e non sia politicamente schierata. Si vedrà, ma sarà dura per i grillini che ora hanno l’amministratore delegato mollare anche quella poltrona.
Da questa rassegna abbiamo tenuto fuori altre riforme importanti, come il fisco: i partiti hanno finora solo lanciato dei messaggi, ma le divergenze verranno fuori presto, soprattutto tra la Lega e il Pd con il M5S a fare da pendolo. Abbiamo lasciato per ultima la questione cinese, anche se è di primaria importanza: non a caso Grillo ha chiesto mani libere sulla politica estera. Ma qui con Draghi non c’è partita. Il capo del governo ha già detto in modo netto qual è la collocazione strategica dell’Italia, ha chiarito che le scelte di fondo sullo scacchiere internazionale spettano a lui, con Joe Biden s’intende a meraviglia, è stato molto forte nel contrastare Erdogan rilanciando il ruolo italiano in Libia (fuori turchi e russi) e nel Mediterraneo, è tra i promotori delle sanzioni a Orbàn con gran scorno di Salvini e della Meloni, ha scompigliato ancor più il ciuffo di BoJo proponendo che la finale dei campionati europei si faccia a Roma. Più politica estera di così.
Si può evitare che le due variabili, quella sanitaria e quella politica, impazziscano, ma occorre ritrovare lo spirito con il quale si è formato questo governo, bisogna rinfrescare e lucidare il modello Draghi del quale i partiti che lo sostengono si sono riempiti la bocca, con il retropensiero di tornare in men che non si dica ai soliti giochetti di palazzo. Ma l’emergenza non è finita, la normalità è lontana e, comunque vada, non sarà un ritorno al passato.
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