Mentre il governo prepara il terzo scostamento di bilancio per far fronte all’emergenza Covid – si parla di 10, se non addirittura, 20 miliardi, ma senza la manovra sull’Iva -, nel M5s si sta consumando la rottura tra i due dioscuri, Beppe Grillo e Davide Casaleggio, e nel Pd s’avvertono i primi cigolii sulla leadership di Nicola Zingaretti. Cosa può succedere ai due partiti della maggioranza giallo-rossa? È vero che il Pd vuole conquistare più spazio nell’esecutivo, magari attraverso un rimpasto? Quanto incideranno la partita europea su Mes e Recovery fund, l’autunno caldo che tutti temono e le elezioni regionali in cui c’è già chi paventa una vittoria per 4-2 del centrodestra? Sulle nuove ombre che si allungano sul destino di Giuseppe Conte abbiamo interpellato Franco Bechis, direttore de Il Tempo, secondo il quale “sebbene abbia sbagliato con l’Europa sull’Iva, è difficile spodestare Conte, l’uomo-cerniera fra M5s e Pd”. E il governo potrà cadere a settembre? “Più forte di tutto e di tutti è il destino personale dei singoli: il 90% di deputati e senatori 5 Stelle e il 40-50% del Pd, anche alla luce del referendum sul taglio dei parlamentari, non ha un futuro oltre questa legislatura, quindi resterà incollata all’idea – qualsiasi cosa accada – di farla durare fino alla fine”, Poi, è vero, vista la debolezza dell’esecutivo, “c’è sempre il rischio di un incidente di percorso”.
Partiamo dallo scivolone di Conte sull’Iva: è la prima vera mossa sbagliata dal premier?
Il premier, un po’ per l’impronta di Casalino, ha un grande difetto: costruire la favola con grande propaganda. Sulle cose pratiche, poi, non accade nulla. Anche l’annuncio sull’Iva rientra in questo ambito. Ma è stato un rischio dirlo così.
Perché?
L’Iva è un tema che va trattata a livello comunitario e dar la sensazione che l’Italia sia “leggera” proprio alla vigilia della discussione sul Recovery fund, a metà luglio, è come dire: ecco, vedete, questi già li buttano, li vogliono regalare populisticamente su sconti di tasse. È un errore aver dato questa immagine.
Si sta consumando la rottura tra Grillo e Casaleggio: cosa può succedere nel M5s?
Ormai i 5 Stelle sono diventati un’altra cosa: il partito di Conte. E in questa trasformazione-evoluzione in un partito vero e proprio, in un partito che è al governo, tra i due ha pesato di più l’impronta di Grillo, perché tutto quello che custodiva Casaleggio non c’è più.
Chi fa il capo politico di M5s?
La personalità che guida davvero i 5 Stelle è Conte con l’apporto social di molti sostenitori e con l’imprimatur di Grillo, che ha portato il Movimento a un’alleanza con il Pd. Ricordiamoci che lo stesso Grillo era partito da un tentativo di iscrizione e di gara per diventare segretario del Partito democratico. E tutta la militanza che era pro-Di Maio, pro-Di Battista oggi è tutta pro-Conte. Sono rare le voci di dissonanza.
Le ultime due fuoriuscite, la senatrice Riccardi più Giarrusso espulso, mettono a rischio la maggioranza al Senato?
La maggioranza al Senato è ancora abbastanza alta, però non si considerano i senatori a vita, che per tradizione sono filo-governativi e per inclinazione non si schiererebbero certo con Salvini e Meloni, i quali in questo periodo di lockdown sono lontani dal Parlamento. I numeri veri quindi oggi non si capiscono mai. Poi, chiaro, può sempre succedere l’incidente di percorso, siccome la maggioranza non è mai stata forte: al Senato basta qualche assente in più.
Secondo alcuni rumors, pare che il Pd stia lavorando a un rimpasto e che Zingaretti vorrebbe avere un ruolo personale nel governo, così come altre personalità di spicco del partito. È così?
Non mi risulta e mi sembrerebbe anche un problema per Zingaretti: già ricopre il ruolo di segretario Pd e di governatore della Regione Lazio, avere anche un posto nel governo significa dimettersi. Improbabile. Magari che ci sia chi ambisce a guidare il governo, può anche essere, le ambizioni non finiscono mai quando sono personali.
Però?
Non lo ritengo probabile, anche perché è difficile spodestare Conte, che è un po’ l’uomo cerniera tra M5s e Pd. E poi non dobbiamo dimenticare una cosa importante.
Quale?
A parte il fatto che non mi pare il Partito democratico abbia fatto passi avanti straordinari nemmeno nei sondaggi, in questo Parlamento è un partito che, dopo sette anni di governo, è stato sonoramente bocciato dagli elettori il 4 marzo 2018. Per questo motivo vedo difficile che il Pd possa candidarsi a guidare il governo.
Quindi lei non vede un Pd che vuole ancor più incistarsi nel governo?
A mio avviso la carica di presidente del Consiglio non è in discussione. Se si mettono a toccare i ministeri più traballanti, come l’Istruzione, devono avere un coraggio che li porti a rischiare una crisi che poi va a finir male. E non mi sembra che questo coraggio ce l’abbiano.
Avremo il solito Pd incerto sul da farsi, temporeggiatore o scettico, come finora? Nessun cambio di passo in vista, allora?
Non credo nemmeno che Zingaretti voglia questo. Siamo a fine giugno, si voterà il 20 settembre in sei regioni e in molti Comuni, quindi di fatto si entra nell’ennesima campagna elettorale, ma senza una solida alleanza tra Pd e 5 Stelle. Dovendo condurre una campagna elettorale in qualche modo contro, un po’ di fibrillazione ci sarà, ma molto bassa.
Intanto nel Pd si avvertono mal di pancia e attacchi interni a Zingaretti. Che peso hanno?
È rimasta dentro il Pd una quota di ex fedelissimi renziani, anche a livelli di comando, come ad esempio Delrio, che pure non è mai stato renziano fino in fondo. Si fanno sentire, come una corrente. Ma anche le parole di Gori non tengono conto del fatto che gli italiani il Pd al governo non lo vogliono più vedere in questa legislatura. E poi non c’è un’alternativa facile a Zingaretti. Potrebbe essere Bonaccini, ma è appena stato rieletto governatore in Emilia-Romagna, sarebbe di cattivo gusto avere un altro esponente Pd con il doppio incarico.
Che cosa pensa dei superpoteri assegnati a Gualtieri, con delega in bianco per la destinazione delle risorse economiche senza passare dal Parlamento? Il Pd vuole contare di più del M5s e di Conte?
Non credo sia così, anche perché di quali risorse economiche parliamo? Dove sono? Stiamo andando in deficit e a debito e se molti aiuti ancora non sono arrivati a lavoratori e imprese è perché i soldi non ci sono. Non stampando noi moneta, dobbiamo farceli prestare. Con l’emissione di titoli di Stato, come è stato fatto, anche se hanno ritardato un po’ le aste nella speranza che arrivassero prima i fondi europei. Ma l’unico a disposizione subito è il Mes, che comporta discussioni interne a non finire. Non vedo altre risorse sul 2020 e il 2021 è tutto da fare.
Il Recovery fund, in effetti, non c’è ancora…
E non dobbiamo illuderci. I documenti dell’Unione europea dicono che a regime saranno solo dal 1° gennaio 2021 e anche i 155 miliardi di cui ora si parla, poi vedremo quanti saranno realmente, verranno erogati a rate, in un arco di sette anni. Quindi, piano con i grandi piani e poi bisogna pensare alle condizionalità sia sulle risorse a fondo perduto che sui prestiti. Devono essere indirizzati a realizzare certi interventi e non altri.
Abbassare la pressione fiscale, per esempio, non si potrà, come ci ricordano i paesi “frugali”?
Esatto. E nemmeno potremo utilizzarli per investimenti già programmati, grazie ai quali ricavare i soldi necessari per abbassare poi le tasse, o per finanziare la cassa integrazione in deroga ai commercianti. Devono essere piani di investimenti aggiuntivi perché bisogna ricostruire quello che è crollato e provare a costruire un’Italia del domani che possa funzionare meglio di quella di ieri e di oggi. Noi eravamo gli ultimi per tasso di crescita nella Ue, oggi lo siamo in maniera ancora più grave. E lo stesso discorso vale anche per il Mes.
In che senso?
Una cosa all’italiana non la possiamo fare e non ce la lasceranno fare. Con quei 37 miliardi vuoi che non si scateni la corsa dei sindaci ad avere ciascuno il suo mini-ospedale con i posti di terapia intensiva? Rischiamo cioè di buttarli via. E poi c’è quel riferimento ai “costi indiretti” in cui qualcuno crede di poter far passare di tutto. Ma non sarà così. Avremo meccanismi di controllo molto stretti. Addirittura sono previste formule secondo le quali se dopo quattro mesi non si vedranno progressi nello stato di avanzamento, l’Unione europea si riprende le risorse a fondo perduto.
A metà luglio arriverà la terza manovrina anti-emergenza Covid, si parla di 10-20 miliardi. Con questo terzo scostamento di bilancio il totale del deficit sale a 100 miliardi. La Ue approverà? Non è che così si avvicina a grandi passi il momento di accettare il Mes?
Anche il Mes sarebbe debito pubblico, addirittura privilegiato, con una corsia preferenziale di restituzione, e quindi farebbe declassare i nostri titoli di Stato. E non vedo tutta questa spinta in Europa di far prendere il Mes all’Italia. Più probabile che si arrivi a utilizzare una quota piccola, una sorta di mini-Mes da 6-7 miliardi per obiettivi specifici nel campo della sanità.
Si parla di un possibile accordo Renzi-Salvini-Di Maio per far saltare la leadership del Pd e sbaraccare il governo dopo l’election day di settembre. Scenario possibile?
Sono voci di chi comincia a pensare che a settembre cominci a nascere il grande malcontento per la scarsa efficacia delle misure adottate dal governo.
Non sarà così?
Credo che, seppur furbescamente, con l’allungamento delle norme sui licenziamenti e la proroga al 31 dicembre della cassa integrazione Conte terrà a freno il temuto autunno caldo, anche se l’Italia si spomperà dal punto di vista finanziario. E se non ci sarà la seconda ondata del Covid, alla fine, vista la gran voglia di ripresa degli italiani, l’economia avrà sì subìto una gran bastonata, ma poi si ripartirà, non c’è ragione di non crederlo.
Fibrillazioni nel M5s, primi cigolii nel Pd, elezioni regionali non certo facili per il centrosinistra e un autunno pesante: sarà il D-day di Conte?
Più forte di tutto e di tutti è il destino personale dei singoli: il 90% di deputati e senatori 5 Stelle e il 40-50% del Pd, anche alla luce del referendum sul taglio dei parlamentari, non ha un futuro oltre questa legislatura, quindi resterà incollata all’idea – qualsiasi cosa accada – di farla durare fino alla fine, con la ferma determinazione di far eleggere il prossimo presidente della Repubblica.
(Marco Biscella)