Il dibattito tra Grillo e Sassoli in questa fine pandemica del settembre 2020 si è svolto online e anche per questo rimarrà indelebilmente con la forza del documento visivo e sonoro, drammatico quanto mai, nella storia della disgregazione della macchina europea dei partiti politici e delle loro aggregazioni peristaltiche. La crisi organica europea si approfondisce. In Italia ha il suo culmine, per le radici storiche del processo di unificazione e per le ormai trentennali iniziative internazionali e nazionali di delegittimazione della democrazia rappresentativa che hanno avuto nel nostro Paese un banco di sperimentazione internazionale. Per questo quell’incredibile “dibattito” è il disvelamento profondo di cosa stia accadendo in Italia e in Europa dopo le recenti elezioni regionali e comunali del settembre 2020.



Da un lato ecco un esponente del soft power cinese, e prima britannico, il quale sì dirige un aggregato di forze parlamentari, ma che non è eletto e che si presenta come un ex comico che diceva parolacce sulle piazze conquistando così i voti del popolo degli abissi e di ampi settori delle classi medie incolte e affascinate dal potere verticale nei tempi elettorali che furono. Da un altro lato ecco un ex giornalista della televisione di Stato che è stato eletto presidente di un organismo rappresentativo privo di potere compulsivo, ossia quel Parlamento europeo che non legifera come dovrebbe fare ogni Parlamento, ma che invece solo approva o respinge direttive di un potere non eletto, la Commissione europea, che, per il complesso di Trattati che regge un continente senza Costituzione, decide le sorti degli Stati europei.



La crisi organica europea e italiana continua. La Spagna e la Francia sono la prova più evidente che si tratta di un fenomeno mondiale (basta guardare gli Usa che pur dominano il mondo). Il potere di Macron si sfarina ogni giorno che passa. La Spagna è divorata dai contrasti tra poteri centrali e periferici sino al livello comunale (si veda il conflitto pandemico tra l’Alcalde di Madrid del Pp e il primo ministro del Psoe). Il Belgio si avvicina ai tre anni senza governo. E poi ecco la crisi tedesca che non è solo bancaria, ma è politica: la Merkel non ha raggiunto nessuno degli obiettivi politici decisivi per la stabilità tedesca indispensabili per evitare la crisi organica e che si era posta negli ultimi anni. È stata sconfitta su Weber in Europa e ha dovuto ripiegare sulla von der Leyen. Per non parlare della sorte di Annegret Kramp-Karrenbauer, alla quale è stato sottratto lo scettro di futuro segretario della Cdu per la sua incredibile pochezza politica, così perdendo quella condizione di delfino che la Cancelliera auspicava. Mentre il sistema bancario tedesco crolla e la corruzione economica dilaga.



In Italia la crisi organica è ancora più profonda perché lo Stato si sta sgretolando tra ordini che diventano poteri (la magistratura) e poteri elettivi regionali dotati di poteri verticali (i governatori eletti direttamente dal popolo e che però debbono esser sorretti da miriade di liste apparentate). Essi si ergono sulla disgregazione delle macchine di partiti con congegni elettivi privi di ogni “dignità costituzionale”.

Questa disgregazione premia quelle aggregazioni partitiche che occupano lo Stato con il patrimonialismo usandone le fonti di finanziamento e di nomina attraverso un potentissimo potere spartitorio. La Lega lo fa in periferia, dalle regioni ai comuni del Nord; il Pd, o ciò che di esso rimane, attraverso il controllo trentennale dello Stato centrale con sue coorti politiche che si spostano e si agitano peristalticamente, ma che son sempre le medesime, con un potere saldissimo che unisce magistratura, vertici amministrativi, snodi burocratici della definizione della dipendenza dalla tecnocrazia europea in forme pervasive. Oltre ai segmenti del potere regionale che viene via via sottratto alle coorti persistaltiche a ogni elezione locale in forme sempre crescenti (per questo è ben difficile dire che esso abbia vinto in queste elezioni).

In questo sfarinarsi della politica è continua la stessa incapacità di mascherare la crisi della mucillagine peristaltica: il confronto pubblico tra i 5 Stelle che doveva cambiarne il volto e il destino si è svolto pubblicamente il 24 settembre 2020, ma è durato solo un paio d’ore e poi tutti sono tornati a casa a tramare nell’oscurità.

La crisi organica ha queste caratteristiche: tutti vincono o perdono a seconda degli obiettivi che si propongono, perché di solito si svolge nella disgregazione generale delle macchine elettorali: sennò come si potrebbe essere trasformisti? È il frattale che sempre muta che consente di trasmigrare da aggregazione ad aggregazione, così come accade ora in Italia con la polverizzazione della cosiddetta “offerta politica”, mentre la cosiddetta “domanda politica” si riduce con l’astensionismo crescente – fenomeno europeo generale.

Il brusio mass mediatico su questo neo-trasformismo di massa nasconde la notizia vera che è importante per l’Italia in primo luogo: la clamorosa decisione tedesca di congelare, ma solo per lo Stato tedesco, si badi bene, le regole di bilancio fino al 2024, decisione che apre la strada alla definitiva sepoltura del Patto di stabilità. L’iniziativa, ripeto, è tedesca e non è stata concordata con nessuno. Nelle fumisterie della crisi organica italica si eleva la tragedia wagneriana della trasformazione della forma di dominio tedesco sull’Europa. D’ora in poi tutto è possibile. Ai vassalli si consente di trastullarsi con le alchimie periferiche elettorali, mentre al centro dell’Impero si decide una via nazionale, ripeto, nazionale, di fuoriuscita dalla deflazione secolare e dalla crisi provocata dalla rottura pandemica delle reti transnazionali d’impresa, con un intervento pubblico (e un aumento del debito) previsto in misura mai vista in forma così massiccia dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Il lituano Valdis Dombrovskis aveva precedentemente annunciato la sospensione del Patto di stabilità per un anno su scala europea: Berlino, invece, lo annuncia sino al 2024. In Italia si attende quindi qualcosa che non può giungere nella forma annunciata per lo squilibrio di potere che si è ora reso manifesto anche a chi si faceva incantare dalle baggianate sui sovranisti e sulle sorti magnifiche e progressive europee. La cuspide eurocratica si sta anch’essa frastagliando e dividendo seguendo in forma ben più marcata le linee nazionali di confine. Abolite solo sulla carta. Non stupisce, in questo contesto di crisi organica, che non vi sia, allora, nelle cosiddette “Linee guida” italiche redatte per ricevere i fondi del Recovery fund, nessuna grande idea trascinatrice della crescita, così rompendo lo schema dei finanziamenti a pioggia improduttivi e diseducativi, ma solo aggiustamenti di una serie di scelte nefaste precocemente nate negli anni Novanta del Novecento con L’Ulivo di Prodi, Bersani, Amato, ecc., e perseguite anche con Berlusconi, di fatto, sino a oggi. Esse hanno fatto sprofondare l’Italia nella stagnazione.

Nelle “Linee guida” del Governo per il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) da finanziare mediante il Recovery and Resiliency Facility dell’Ue si ripropongono, infatti, obiettivi e strumenti che già si trovano nei piani dei governi dalla metà degli anni Novanta testé citati. È il prezzo della crisi organica e della dipendenza da gruppi di interesse particolari e da una serie di interferenze esterne che hanno minacciato gli stessi legami atlantici, che sono, invece, la sola ancora di difesa degli “interessi prevalenti” dell’Italia nell’arena internazionale e quindi anche europea.