Potremmo chiamarla la sindrome dell’occasione perduta e, considerata la storia anche recente di questo Paese e tutte le occasioni sprecate, non è affatto priva di fondamento. È emersa prepotente ieri al Meeting di Rimini durante l’incontro dedicato alle imprese e alla ripresa, soprattutto nelle parole del presidente della Confindustria. «Temo che in autunno l’azione del governo venga fermata e non ce lo possiamo permettere – ha detto Carlo Bonomi -. Abbiamo davanti due passaggi importanti: le amministrative in grandi città e dal 3 agosto il semestre bianco.



I distinguo dei partiti sono già cominciati. Sono molto preoccupato che l’azione del governo sulle riforme sia rallentata da una maggioranza eterogenea». Premettendo che Confindustria «non dà mai giudizi sul Governo, ma sui singoli provvedimenti», ha riconosciuto a Draghi «di aver accelerato una campagna vaccinale fondamentale. Ora porti avanti le riforme. Perché, anche se c’è una ripresa in corso, di strada da fare ne abbiamo ancora tanta». 



Un primo errore è stato commesso a proposito dei vaccini. «Per Confindustria l’obbligo vaccinale nei luoghi di lavoro e nella scuola è doveroso – ha sottolineato Bonomi -. C’è una differenza di posizione tra i partiti che difficilmente potrà farci arrivare a una legge. Ma possiamo aggiornare i protocolli di sicurezza. Io sono pronto anche oggi se i sindacati si vogliono sedere a un tavolo. Non abbiamo tempo da perdere. La situazione è analoga a quella che avemmo per la polio negli anni Sessanta. Un anno di discussione costò 10 mila bambini. Siamo nella stessa situazione».



Un altro sbaglio che Bonomi giudica molto grave sta per essere commesso cedendo a un pregiudizio anti-industriale che rischia di minare non solo la ripresa, ma il futuro di un Paese tenuto insieme dall’industria manifatturiera. Molti ne temevano il crollo, invece non è avvenuto, eppure anziché sostenerla, si cede a una pericolosa demagogia. Casus belli è il decreto contro le de-localizzazioni. Bonomi se l’è presa con Andrea Orlando e Alessandra Todde (ministro del Lavoro Pd il primo e viceministra allo Sviluppo economico, grillina, la seconda) perché “pensano di colpire le imprese sull’onda dell’emotività di due o tre casi che hanno ben altra origine e su cui dobbiamo intervenire”. La campagna contro le aziende che vanno all’estero, contro le privatizzazioni o le “svendite” come vengono chiamate è vasta e trasversale, per la verità coinvolge anche la Lega che chiede a ogni pie’ sospinto di ricorrere al golden power (addirittura preventivo come nel caso dell’Iveco) e ora vuol bloccare la cessione del Monte dei Paschi di Siena a Unicredit. Non parliamo poi di Fratelli d’Italia protezionista e statalista per formazione. 

Dunque, il pericolo che anche il Pnrr diventi un’occasione perduta (e che occasione!) è davvero ben fondato. Sulle riforme non c’è consenso. Lo abbiamo visto a proposito della giustizia, lo vediamo sul mercato del lavoro con i grillini in trincea a difesa del Reddito di cittadinanza e i leghisti che insistono su Quota 100. Lo si capisce già e sarà più chiaro in autunno, a proposito del fisco con la Lega che rilancia la flat tax, mentre il M5S e parte dei Ds chiedono patrimoniali più o meno mascherate. Sono bandierine, come le ha chiamate Mario Draghi, battaglie identitarie destinate a cedere di fronte alla necessità di ragionevoli compromessi, così la pensa il capo del governo. È accaduto sulla giustizia, accadrà sul lavoro e sulle tasse. Può darsi, è senza dubbio auspicabile che ciò avvenga. Tuttavia il problema delle riforme non è solo farle passare in Parlamento, ma farle camminare con le proprie gambe. E qui sorgono gli interrogativi maggiori, sta accadendo con la Pubblica amministrazione, accade con la giustizia e con tutte le altre. 

Tra il dire e il fare ci sono di mezzo le resistenze burocratiche, le lentezze amministrative, le difese corporative (dai magistrati agli insegnanti ai sindacati che tanto irritano Bonomi), gli interessi elettorali. Ma ci sono anche, o forse soprattutto, le barriere culturali. Se viene demonizzata l’impresa, se la “decrescita felice” continua a scavare come una talpa persino sotto palazzo Chigi, se il protezionismo si fa strada fino a una sorta di delirio autarchico, se il giustizialismo spiazza la giustizia, se il posto prevale sull’istruzione, ebbene il Pnrr sarà un libro dei sogni e i 200 miliardi di euro faranno la fine dei fondi strutturali. 

Mario Draghi è la garanzia che ciò non avvenga, ma fino a quando e basterà se resta un uomo solo al comando? È il dubbio di tutti i dubbi che ieri Bonomi ha installato nelle nostre menti.

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