Dopo l’approvazione del Documento programmatico di bilancio non mancano i distinguo e le rivendicazioni dei diversi partiti della maggioranza in vista della messa a punto della Legge di bilancio che il Governo dovrebbe approvare la prossima settimana. Il Premier Draghi non è di fronte a un compito facile, anche perché la manovra dovrà poi essere trasmessa al Parlamento, dove andranno discussi anche provvedimenti legati all’attuazione del Pnrr e su cui non mancano tensioni, come la legge delega sulla riforma fiscale con al suo interno la revisione del catasto.
«Il percorso finora tracciato con il Dpb è ancora abbastanza generico e, secondo me, volutamente un po’ criptico: per l’esecutivo è un modo di difendersi dagli assalti e di evitare che si aprano subito aspri scontri nella maggioranza», ci dice l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili.
Cosa farà ora Draghi?
Abbiamo visto che ogni partito sta piantando la sua bandierina, per esempio M5s sul Reddito di cittadinanza e la Lega sulle pensioni. In questo quadro frammentato, il Premier dovrà fare una sintesi cercando di mediare tra le varie posizioni ed evitando che ci siano dei vinti e dei vincitori, altrimenti non riuscirà a tenere in piedi il Governo di unità nazionale. Deve fare in modo che nessuno possa dire di essere stato sconfitto e nemmeno di aver portato a casa tutto quello che voleva.
Il Dpb ha già però fissato le risorse assegnate ai vari capitoli della manovra, non ci si potrà discostare da questi binari…
Sì, i margini di correzione sono abbastanza stretti. Basta vedere sulle pensioni: si parla di 1,5 miliardi in tre anni, solo 600 milioni per il 2022. In questo caso, quindi, le mediazioni sono ridotte quasi al lumicino. Per quanto riguarda il fisco, invece, c’è tutta una scatola da riempire, ma bisogna anche fare in modo che gli interventi siano efficaci, diversamente dal taglio del cuneo fiscale dei tempi di Prodi che ha avuto effetti praticamente impercettibili.
La Legge di bilancio non rischia di risentire nel suo iter parlamentare delle tensioni che potrebbero esserci su altri provvedimenti all’esame delle Camere?
In effetti il passaggio parlamentare della manovra sarà più interessante del solito. Siamo abituati a un maxiemendamento governativo dell’ultimo minuto, ma questa volta è più difficile che ciò accada, perché ci saranno da votare anche i provvedimenti legati al Pnrr. Il Governo potrà quindi fissare degli obiettivi di massima, evitando quindi delle tensioni nei Cdm, ma c’è da aspettarsi un successivo confronto parlamentare più duro, anche perché non potrà essere mitigato da una pioggia di miliardi che, diversamente da situazioni del passato, non ci sono.
Per Draghi sarà quindi necessario, onde evitare problemi in Parlamento, raggiungere in questa settimana a un accordo stringente sulla Legge di bilancio?
Credo che proverà a fare una sintesi quanto più fluida possibile in modo che la manovra abbia un percorso non troppo accidentato. Tuttavia, più definisce numero per numero i singoli provvedimenti, più i partiti possono entrare in fibrillazione. Presentarsi, quindi, con una maglia un pochino più larga, rimandando poi al Parlamento l’ulteriore confronto nel merito potrebbe rappresentare una strategia.
Il Premier dovrà anche tenere d’occhio quelle che potrebbero essere delle minacce per la crescita del Pil stimata, come i rincari delle materie prime e l’inflazione.
Assolutamente. Le banche centrali rassicurano sul fatto che si tratta di un fenomeno transitorio, ma un’eccessiva inflazione può compromettere la ripartenza, accompagnarsi al ritorno di una sorta di stagflazione. C’è il rischio che le previsioni del Governo debbano essere riviste: basti considerare che nella Nadef si stima un prezzo del petrolio intorno ai 60 dollari al barile nei prossimi anni. Ora siamo sopra gli 85. Se la situazione non cambierà, andranno rivisti i numeri del percorso di crescita, e conseguentemente di riduzione dell’indebitamento, delineati dall’esecutivo. Senza dimenticare che è vero che abbiamo avuto risultati eccellenti sulle vaccinazioni, ma quello che sta avvenendo in altri Paesi come la Gran Bretagna fa capire che abbassare la guardia sul Covid può essere pericoloso.
Mercoledì c’è stato l’incontro tra Berlusconi, Meloni e Salvini. Come vede la situazione del centrodestra?
L’incontro non ha risolto il dilemma di fondo di un’alleanza che si fonda su tre protagonisti, di cui uno è all’opposizione e un altro ha un piede nel Governo e l’altro nell’opposizione. Il problema è quindi che tipo di centrodestra si presenta rispetto al governo del Paese. L’incontro ha anche causato dei mal di pancia all’interno di Forza Italia, ma mi sembra difficile che si possa ipotizzare la nascita di un grande centro composto da Italia Viva, Azione, altri partiti vicini al centrodestra e nuovi fuoriusciti dal partito di Berlusconi.
L’incontro ha anche rilanciato il nome di Berlusconi come successore di Mattarella. Questo cambia qualcosa nel quadro della corsa per il Quirinale?
Oggettivamente le possibilità che Berlusconi possa diventare presidente della Repubblica sono scarse. All’inizio di una complicata partita come quella per il Colle potrebbe essere un candidato bandiera che potrebbe anche portare il centrosinistra a presentarne uno suo. Con la consapevolezza, però, da entrambe le parti, che tali candidature avrebbero vita breve, perché senza un accordo è impossibile trovare una maggioranza per eleggere il nuovo capo dello Stato. La partita vera, quindi, è ancora lontana dall’essere cominciata.
Come vede, invece, la situazione nel centrosinistra dopo le elezioni amministrative in cui è riuscito a vincere nelle principali città?
Le elezioni non hanno, né del resto potevano farlo, risolto i problemi dei due schieramenti. L’idea di una coalizione simil-Ulivo che coltiva Letta, quanto meno tutta da costruire, non solo viene messa in dubbio dal rifiuto secco di Calenda, ma anche dal fatto che la stessa esperienza di allora non ha poi funzionato: ricordiamoci il famoso programma di Prodi di oltre 200 pagine per cercare di tenere insieme le istanze di tutto l’insieme dei partiti, dai liberaldemocratici a Rifondazione Comunista. Inoltre, non esiste ancora un vero accordo tra Pd e M5s, anche per via delle perplessità in merito all’interno stesso dei due partiti.
C’è anche da dire che all’epoca dell’Ulivo o dell’Unione l’anti-berlusconismo era un importante collante tra i partiti…
Infatti, questo schema di coalizione poteva forse reggere allora, anche perché Prodi era “l’anti-Berlusconi”, cioè era l’unico che era riuscito a battere il Cavaliere alle urne. Oggi questo schema non è riproponibile, mancano proprio i “front men” negli schieramenti: il bipolarismo personale non è più ripetibile.
In questi giorni è ritornato a galla anche il tema della legge elettorale. Si riuscirà a trovare una quadra?
Quella della riforma elettorale è una pagina sciagurata. Invece di cercare di perseguire un sistema stabile nel tempo, esso è stato modificato a seconda dell’esigenza dei partiti che di volta in volta hanno vinto alla urne. Questo non ha certo portato a una maggior stabilità, ma anzi al suo contrario, basta considerare che dal 2018 abbiamo avuto tre Governi diversi. La partita della legge elettorale mi sembra possa portare solo a risultati deludenti. C’è il rischio, infatti, che nasca l’ennesimo pasticcio considerando anche che tra le richieste dei partiti si continua a oscillare da un estremo all’altro, tra un bipolarismo maggioritario e un proporzionalismo secco.
(Lorenzo Torrisi)
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