La settimana forse decisiva della trattativa dell’Italia con l’Unione Europea si apre nel peggiore dei modi: con un aperto gesto di sfida da parte dell’uomo in predicato per diventare ministro per gli Affari europei. Alberto Bagnai scaglia un enorme sasso in piccionaia, dando voce a un timore che percorre l’intero governo. “In questo momento – ha dichiarato in tv – c’è evidentemente bisogno di creare un incidente che tenga l’Italia sotto un sostanziale potere di ricatto: ti faccio la procedura se tu non accetti una serie di cose”.
La paura è davvero che si voglia tenere l’Italia sotto ricatto, per via della maggioranza sovranista che la governa e che si è confermata nel voto europeo. Un’Italia vista come una minaccia non solo per la stabilità economica, ma proprio nei confronti dell’Unione Europea in quanto istituzione, e quindi da tenere ai margini, anche dalla partita delle nomine, che si preannuncia così complicata che agli attuali commissari europei è giunta la richiesta informale di restare a disposizione per almeno un quadrimestre, se l’accordo sulla nuova commissione non si riuscisse a trovare in tempo.
Ma se la sindrome di accerchiamento è comune a tutta la compagine di governo, quelle che divergono sono le ricette per rispondervi. Bagnai incarna quella leghista. A un atteggiamento che definisce mafioso e pretestuoso è sicuro che la risposta non potrebbe essere che “un fermo no”. La pensa diversamente Giovanni Tria, il cui imperativo è quello di tenere i conti in ordine, trattando con Bruxelles sotto l’accordo regia del Quirinale. Anche Mattarella segue infatti la trattativa con estrema preoccupazione, e teme che possa essere solo l’antipasto di una fase convulsa intorno alla manovra economica autunnale, che questo governo sembra ormai destinato a gestire, nonostante spinte opposte fra i due contraenti il patto di governo: la Lega che spinge per il taglio delle tasse, e per la flat tax in particolare, e i 5 Stelle la cui nuova priorità è diventata l’istituzione del salario minimo.
Politica dei pugni sul tavolo contro paziente ricucitura del dialogo con l’Europa sono quindi le due ipotesi che si fronteggiano. Il tempo stringe, però, le scadenze incalzano. Bruxelles mostra segni di impazienza rispetto a quella risposta italiana al preavviso dell’avvio della procedura d’infrazione per debito eccessivo. La lettera era attesa per venerdì scorso, Conte fa sapere che è quasi pronta, è alle ultime limature. Un modo diplomatico per nascondere la distanza fra Di Maio e Salvini, che oggi parte per un viaggio negli Stati Uniti dove dovrebbe incontrare il segretario di Stato, Mike Pompeo, e il vice di Trump, Mike Pence.
Mercoledì Conte è atteso in parlamento per il tradizionale confronto che precede ogni vertice europeo. A pranzo lo stesso giorno è fissato l’appuntamento, anch’esso tradizionale, di Mattarella con il premier e tutti i ministri coinvolti nella politica europea Ma il primo momento della verità sarà nel Consiglio europeo di giovedì e venerdì. Su quel tavolo tutte le trattative potrebbero finire per intrecciarsi: il nuovo capo della Commissione, il portafoglio economico di peso reclamato dal nostro paese, i vertici Bce, oltre naturalmente alla procedura d’infrazione contro l’Italia. Per Giuseppe Conte sarà vitale spezzare l’isolamento. L’idea è trasformare un punto di debolezza in un punto di forza: trattare per una correzione dei conti da effettuare solo dopo la spartizione delle cariche europee. Uno scambio fra un ruolo non marginale e un segnale in direzione di un accettabile equilibrio di bilancio.
Il gioco in testa a qualche sherpa italiano appare dunque abbastanza spericolato, ma potrebbe anche funzionare, visto che oggi sulle nomine regna il caos, senza maggioranze all’orizzonte. Ma bisogna fare in fretta, il tempo stringe. Se la lettera di risposta italiana dovesse essere considerata del tutto insufficiente dalla Commissione, nella riunione del 26 giugno o, al massimo, del 2 luglio, l’esecutivo comunitario potrebbe votare formalmente la proposta della procedura d’infrazione, che il 9 luglio potrebbe avere il via libera definitivo dall’Ecofin, la riunione dei ministri economici e finanziari, dove Tria oggi appare drammaticamente isolato.