È problematico stabilire se in questo maledetto periodo della pandemia gli italiani si trovino, per il momento, di fronte a un caso Campania o a un caso Italia. Oppure se il caso Campania non sia altro che l’emblema, l’esempio più significativo di un Paese ormai in piena confusione, in un caos endemico con una cosiddetta classe dirigente alla ricerca di un gioco squallido “a scaricabarile”, che investe sia il dramma sanitario, sia l’incubo del futuro economico, sia la penosa povertà della politica e delle scelte strategiche, sia il mondo dell’informazione rappresentato da un tipico titolo dell’ultimo libro di Paolo Mieli La terapia dell’oblio, che sembra un perfetto autoritratto dell’autore e dell’Italia.
Sia chiaro: in tutti i Paesi occidentali si sta vivendo l’incubo del Covid-19, ma è difficile rintracciare la “rissa da bar sport” come avviene quotidianamente in Italia. Ci possono essere contrapposizioni e contestazioni ovunque, ma la coreografia italiana è surreale.
Partiamo dal lato sanitario. Cercando di evitare disperatamente un nuovo lockdown, il governo polemizza al suo interno, si spacca, contesta ed è a sua volta contestato dalle Regioni, dai Comuni e dalle Province. In sostanza sembra assente. C’è una linea morbida di Giuseppe Conte e una linea più dura del ministro della Sanità, Roberto Speranza. In tutto questo non mancano scene da avanspettacolo, come quelle fornite dai commissari alla Sanità in Calabria, ma soprattutto dal suggerimento in Commissione Affari costituzionali alla Camera dei deputati di un sindacalista della polizia, Giuseppe Tiani, che mostrava un amuleto antivirus studiato dagli israeliani. È stato dimissionato dalla Regione Puglia (dove aveva un incarico), ma al momento non ancora collocato in casa di cura.
Dettagli quasi folcloristici, purtroppo o per fortuna, rispetto al nocciolo della questione, ad esempio alla consueta conferenza stampa del presidente della Campania, che parla sempre il venerdì davanti ai giornalisti e alle televisioni, insultandoli. Ieri il presidente, Vincenzo De Luca, il nostro “Trump alle vongole”, si è superato e si è allargato. Nella sostanza De Luca, con toni perentori, desiderava l’imprimatur di decretare, lui, “zona rossa” la Campania.
Invece, in base al misterioso algoritmo di tecnici e scienziati, dopo una settimana dove alcuni campani si sono contagiati e magari morti, la Campania si è arrossata insieme alla Toscana, occasionalmente, per ordine superiore. Per questo De Luca ha attaccato nell’ordine: il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, il “Talleyrand di Mergellina”; tutto il governo che deve andarsene. Presidente del Consiglio in testa; il sindaco di Napoli, l’ex pm, piuttosto discusso, Luigi de Magistris, accusato di non essere mai intervenuto per gli assembramenti e aver così squalificato, come tutti gli altri, la regione. Per non farsi mancare nulla, De Luca aveva già dichiarato di aver querelato il consigliere di Speranza, il professor Walter Ricciardi.
Tutta questa sceneggiata è apparsa così irritante, fastidiosa, fuori luogo, volgare se si pensa che un uomo di 84 anni è morto in un gabinetto di ospedale di Napoli, il “Cardarelli”, restando disteso per terra per più di mezz’ora. Una vicenda che grida vendetta.
Di fronte a simili avvenimenti, il presidente del Consiglio balbettante, autore di non si sa ormai quanti Dpcm, prende tempo e cerca di persuadere con alcune prediche. Aveva promesso qualche giorno fa agli italiani un Natale migliore, poi ha visto i numeri e ha dichiarato: “Considereremo la curva epidemiologica che avremo a dicembre, ma il Natale non lo dobbiamo identificare solo con lo shopping, fare regali e dare un impulso all’economia, Natale, a prescindere dalle fede religiosa, è senz’altro anche un momento di raccoglimento spirituale, farlo con tante persone non viene bene”.
Tra sceneggiate e prediche da cortile, aumentano le manifestazioni di protesta in tutta Italia, a cui si aggiunge un impressionante caos dei numeri di contagiati, tamponi fatti e ripetuti, ricoverati, disponibilità in sale da terapia intensiva che mette i brividi. Il risultato di tutto questo è il tonfo della fiducia nel governo e nel suo presidente in vasti strati, in numerose categorie produttive della popolazione italiana. C’è un sondaggio da prendere con le molle, condotto da Emg Acqua di Fabrizio Masìa per Agorà: il risultato, da prendere con le molle ripetiamo, spiega che Giorgia Meloni gode della fiducia del 39% degli italiani, mentre il premier Conte è al 38% e Matteo Salvini sta al 34, mentre Luca Zaia è al 32 e Stefano Bonaccini al 27%.
È questo “panorama” di governo e opposizione, pensando all’Italia “colorata”, che crea sfiducia e rabbia che monta. Abbinando il tutto alla confusione dilagante, gli scenari che si presentano non sono affatto rassicuranti.
Ovviamente il dramma sanitario si abbina a una incertezza economica che solo i “sogni” del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, poteva nascondere. Il crollo della produzione a settembre ha lasciato tutti senza fiato. Si sa che il quarto trimestre sarà “tristissimo” per usare un eufemismo e l’Italia viene collocata all’ultimo posto nella classifica dei dati economici dell’eurozona, che già va malissimo nel suo complesso.
Si parla continuamente di new deal e di rilancio, ma ai tempi del new deal, in America, c’era un signore che si chiamava Franklin Delano Roosevelt, che con il suo più grande collaboratore, Harry Hopkins, decidevano di far fallire migliaia di banche irresponsabili e intervenivano direttamente sul rilancio del lavoro e con aiuti pubblici ai lavoratori. Roosevelt, in due lettere, pubblicate su un giornale diretto da Walter Lippmann, con John Maynard Keynes, aveva scelto l’indebitamento e la domanda aggregata, lasciando al suo predecessore Herbert Hoover l’idea di difendere il pareggio di bilancio (forse era l’inconsapevole maestro di Mario Monti) e la scrupolosa difesa del mercato e dei conti pubblici di tale Andrew Mellon (forse un idolo della signora Fornero) che prometteva che in cinque anni si sarebbe aggiustato tutto. Roosevelt e Hopkins andarono per la loro strada e salvarono l’America dalla grande crisi così come ripetevano, contro l’ottusità di alcuni iperliberisti che si ostinavano nelle loro stupidate finanziarie, e avrebbero, così come hanno fatto, salvato la vera economia di mercato con l’iniziale aiuto e intervento dello Stato.
Oggi i giochi sono un poco più complicati, perché nuotiamo tra derivati, banche che fanno di tutto, prodotti finanziari incontrollabili, nessuna riforma regolarizzatrice rispetto al fallimento di Lehman Brothers e le scoperte incredibili di una commissione Usa che scoprì che sui titoli subprime, collocati nei bilanci di alcune consociate, la casa madre riusciva anche a speculare contro i propri clienti.
Con una simile finanza, il new deal è un campionato che può vincere il Benevento. Lo stanno comprendendo le persone che si ricordano quando negli anni Ottanta l’Italia entrava, con l’irritazione della Thatcher, nel G7 e soprattutto Milano era considerata fra le tre più ricche città del mondo.
Forse in questi quasi trent’anni è arrivato un raggio gamma da una stella lontana nello spazio che ha fulminato molti cervelli. Ci sono però i più furbi come George Soros che, intanto, stanno già speculando contro l’euro. “La terapia dell’oblio” è utile per molti vecchi “squali”, ma quanto durerà questa volta?