Una lettera scritta ai propri clienti da Elliott Management, uno dei maggiori e più influenti fondi hedge, ha scalato le classifiche della cronaca finanziaria. Il fondo ha avvertito i propri clienti che l’economia globale è in una situazione “estremamente sfidante” e in particolare che il mondo è sulla strada dell’iperinflazione che potrebbe portare a “un collasso sociale globale e a conflitti civili e internazionali”.



La lettera è una notizia anche solo per i toni con cui si descrive la congiuntura economica attuale e perché l’analisi esce dall’ambito finanziario per entrare in quello politico; due anomalie per le lettere che i fondi hedge periodicamente scrivono ai clienti. L’altra notizia è che, contrariamente alla scuola di pensiero maggioritaria, quella per esempio che traspare dalle proiezioni delle banche centrali, non ci sarà un rallentamento dell’inflazione ma la sua esplosione. Questo riguarda famiglie e cittadini a un livello che trascende le loro finanze.



La domanda è quanto a lungo le banche centrali possano rialzare i tassi o anche solo mantenere una politica monetaria restrittiva. È un interrogativo che prende le mosse sia dal rallentamento economico che si avvicina, sia dall’impatto sulle finanze statali e private di un aumento dei tassi dopo anni, e in particolare gli ultimi due, in cui i debiti di tutti sono esplosi. Il rifinanziamento del debito americano ai nuovi tassi richiederebbe risorse equiparabili a quelle che oggi vengono destinate al budget della Difesa. Negli ultimi giorni alcuni esponenti di spicco del partito democratico americano hanno invitato la Fed a fermarsi.



Elliott registra questo scenario e si chiede cosa potrebbe accadere se le banche centrali invertissero la marcia; tanto più, aggiungiamo noi, in un contesto di crisi energetica e ristrutturazione delle catene di fornitura globale che incidono sulla disponibilità di beni. Ciò che riguarda tutti, anche a chi è lontano dai mercati, è cosa potrebbe succedere se tra due settimane, due mesi o dodici mesi, nessuno lo sa, le banche centrali fossero costrette dagli eventi a ricominciare a stampare in uno scenario inedito in cui l’offerta di petrolio, di gas e il flusso dei beni dalle “fabbriche del mondo” sono ridotti al lumicino.

Qualsiasi paragone con altri fasi storiche di inflazione a doppia cifra è fuorviante e porta fuori strada. Negli anni 70, per esempio, non c’era la guerra, non c’erano politiche che imponevano di spegnere risorse energetiche economiche e abbondanti per abbracciarne di scarse e costose, non c’era una rottura che toglieva dai mercati dell’Occidente forniture a basso costo che per due decenni hanno “mascherato” incrementi salariali deboli o nulli. Lo scenario di cui ci avverte Elliott rimane l’orizzonte sullo sfondo anche se la crisi attuale aprisse una fase di disinflazione temporanea come sembra accadere in alcuni settori dei beni di consumo come, per esempio, l’elettronica.

L’iperinflazione verso cui si rischia di incanalarsi tra conflitti geopolitici, rivoluzioni green e richieste di sostegno all’economia alle banche centrali ha un costo “politico”. C’è un costo finanziario, ovviamente, che deriva dall’erosione dei risparmi e dal crollo del potere d’acquisto perché le imprese occidentali non possono far crescere i salari e rimanere competitive dovendo già pagare molto più dei concorrenti le bollette. C’è un costo politico perché l’inflazione, come suggerisce il recente “extra gettito dell’Iva”, aumenta le tasse che escono dal privato verso il Governo. Il reddito disponibile si riduce, la quota che sale verso lo Stato aumenta e il Governo redistribuisce. La ridefinizione delle catene di fornitura globale e la “rivoluzione green”, due processi che continuano per i prossimi decenni, assicurano che non ci sia una soluzione “fisica”. I crolli finanziari in conseguenza del rialzo dei tassi spingono per una soluzione “monetaria” e pubblica.

Elliott Management non ha la sfera di cristallo, non è onnisciente, ma mette in guardia contro uno scenario verso cui si rischia di procedere e che ha conseguenze sociali distruttive. Uno scenario che, ci sembra, rischia di comprimere al massimo la sfera privata mentre gli Stati esondano e vengono da un lato chiamati e da un altro si candidano a gestire la “rottura” dell’iperinflazione e della scarsità dell’offerta. Forse non è un caso che le valute digitali siano all’ordine del giorno. In uno scenario di iperinflazione e scarsità di beni fisici occorre gestire la politica monetaria con strumenti molto più efficaci di quelli attuali.

La “speculazione” sull’iperinflazione futura e i suoi impatti sociali entra nel dibattito dalla porta principale e trova spazio sulle colonne del Financial Times e di CNBC; è già una notizia.

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