A settembre 2024 calano gli occupati di circa 63.000 unità. Lo afferma Istat che ha pubblicato ieri i dati delle rilevazione sulle forze di lavoro. Il tasso di occupazione scende al 62,1%, ma il tasso di disoccupazione resta al 6,1%, visto che aumentano gli inattivi, vale a dire le persone che non lavorano e non cercano lavoro.
L’occupazione è calata tra i lavoratori dipendenti e nella classe di età dei 15-24enni e dei 35-49enni, mentre restano stabili gli over 50 e gli autonomi. Anche in conseguenza di questa diminuzione occupazionale, il tasso di disoccupazione giovanile sale al 18,3%.
Cattive notizie, visto che per molti settori e in molte aree del Paese settembre è il mese di reclutamento del personale più intenso nell’anno; resta comunque possibile che la rilevazione abbia un rimbalzo verso l’alto a ottobre e che il numero di occupati possa continuare a oscillare attorno al numero di 24 milioni, che nella comunicazione dei dati sul lavoro ha assunto nei mesi estivi un valore di record storico.
In confronto con l’anno precedente, i miglioramenti sono ancora visibili, ma anche qui stiamo commentando variazioni deboli: a settembre 2024 il tasso di occupazione in un anno è salito di 0,4 punti percentuali. Si tratta di un valore di qualche centesimo superiore all’errore campionario.
Che l’economia stia rallentando comunque non è una notizia che giunge a ciel sereno, visto anche le recenti stime del Pil prodotte sempre da Istat e pubblicate il 30 ottobre. Da ormai sei trimestri la variazioni sul trimestre precedente del Pil oscillano fra il +0,2% il -0,2%, le variazioni sull’anno precedente stanno fra +0,1 e +0,6%; insomma va tutto benissimo, ma siamo bloccati, la rincorsa al recupero di quanto perso con il Covid è finita e sembra che la crescita sia tornata al business as usual, con percentuali di crescita da prefisso telefonico.
La variazione congiunturale del Pil nel terzo trimestre è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, sia in quello dell’industria e di un aumento in quello dei servizi, e questo descrive in maniera chiara quello che sta accadendo. La produzione si ferma in un numero crescente di attività, con una compensazione nella crescita dei servizi, che hanno una forte prevalenza di lavoro, mantenendo i livelli occupazionali sostanzialmente stabili, ma con un potere d’acquisto dei salari recuperato solo parzialmente.
Le statistiche sull’andamento delle retribuzioni contrattuali del 29 ottobre sono chiare: l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie a settembre 2024 segna un aumento dello 0,2% rispetto al mese precedente e del 3,7% rispetto a settembre 2023; l’aumento tendenziale è stato del 4,6% per i dipendenti dell’industria, del 4,1% per quelli dei servizi privati e dell’1,6% per i lavoratori della Pubblica amministrazione.
Certo l’inflazione sta calando, ma questo significa che i prezzi aumentano, forse di poco, ma aumentano. Sempre a ottobre Istat stima l’inflazione allo 0,9% e l’inflazione acquisita per il 2024 all’1%: vale a dire che per comperare 100 euro di beni e servizi dell’anno scorso, oggi ci servono 101 euro. Se si toglie l’1% dalle crescite salariali contrattuali si ottiene una stima della crescita reale: 3,1% per i servizi privati e 0,6% per la Pubblica amministrazione. E quanto tempo ci vorrà a recuperare l’inflazione al 10% di due anni fa, con questi tassi?
Non dimentichiamo poi il grande numero di contratti di lavoro in attesa di rinnovo, a fine settembre erano 29 con 6,9 milioni di lavoratori in attesa da un tempo medio superiore ai 18 mesi, ed è inevitabile che questi ritardi rallentino ancora il recupero dei salari reali e dei consumi.
Se i dati dell’occupazione settoriale ce ne daranno conferma, vedremo uno spostamento da posizioni lavorative meglio pagate nell’industria a posizioni meno pagate nei servizi. Nei prossimi mesi potremo valutare se gli interventi di bilancio avranno impatti sulla domanda interna e l’occupazione e vedremo il segno di questi impatti riflettersi sull’andamento del mercato del lavoro.
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