In Italia non si voterà fino almeno al 2022. Fino a quando, cioè, al Quirinale siederà un fine politico ed un colto giurista come il prof. Sergio Mattarella.

I motivi sono molti, ma uno, sembra prevalere su tutti: la stabilità!

Ad ogni piè sospinto, il popolo italiano, è chiamato ad esprimersi. Negli ultimi sei mesi è accaduto almeno 10 volte.



Oltre alle lezioni europee che hanno interessato tutto il corpo elettorale, molti italiani sono stati chiamati alle urne per la tornata amministrativa del 26 maggio (con replica il 9 giugno) e per il rinnovo dei Consigli regionali di Abruzzo, Sardegna, Basilicata e Piemonte.

E non è finita. Tra novembre e dicembre prossimi si tornerà alle urne in Calabria, Emilia-Romagna ed Umbria per eleggere i rispettivi Governatori.



Insomma, un tour de foce che oltre a sfiancare (e disamorare) l’elettorato destabilizza l’Esecutivo rendendolo fragile nei confronti dei partner europei ma soprattutto nei confronti degli investitori internazionali (i cosiddetti “mercati”) per i quali la “stabilità amministrativa” è il principale indice di fiducia.

Un “gioco al massacro” a cui la ponderatezza quirinalizia sembra voler sottrarre ad ogni costo almeno le elezioni politiche anticipate per concedere un attimo di “normalità” ad un Paese stremato ma anche bloccato dal permanente scontro elettorale.

Ciononostante, tanto a destra quanto a sinistra, il dibattito sulle alleanze sta seminando divisioni e strappi a non finire, all’interno delle coalizioni ma soprattutto all’interno dei singoli partiti, in campo azzurro come nel PD dove lo scontro su eventuali accordi con il Movimento 5 Stelle ha infiammato la convention toscana organizzata dall’ex Ministro Luca Lotti.



La contraddizione appare dirompente: mentre il voto politico sembra ragionevolmente allontanarsi, nei partiti va in scena lo “scontro finale” sulle alleanze.

Pazzie da solleone? Forse, no.

Proviamo a ragionare.

La ferma determinazione del Colle più Alto a non concedere elezioni anticipate non significa in alcun modo appoggio incondizionato all’attuale Governo ed alla sua, peraltro fragile maggioranza (al Senato la maggioranza gialloverde si regge su un solo voto di scarto).

Del resto, il Presidente Mattarella nel farsi garante della stabilità del Paese non intende limitare in alcun modo il confronto democratico né, tantomeno, le dinamiche parlamentari e la sovranità costituzionale delle Camere a concedere o ritirare. Anzi!

Eccoci al punto.

Sebbene il voto anticipato non sia in agenda, l’attuale gabinetto Conte potrebbe non sopravvivere ai quotidiani e duri scontri tra Ministri ed aprire la strada ad altro Esecutivo politico che possa trovare, in Parlamento, una nuova maggioranza. Quella a cui stanno pensando, su sponde opposte e per i loro dante causa, Luca Lotti e Mara Carfagna.

Perché -si sussurra alle spalle del “dissidente” e filo leghista azzurro Giovanni Toti e, in campo avverso, dietro le spalle del Governatore Zingaretti (entrambi sprovvisti di folte armate parlamentari)- “se il Presidente dovesse suonare la carica e chiedere senso di responsabilità, è bene farsi trovare pronti”.

In fondo, dopo l’elezione di David Sassoli (PD) alla presidenza del Parlamento europeo con la regia -si mormora- del Quirinale e la “complicità” di FI e dei grillini, tutto appare -davvero- possibile