Mentre il Governo continua faticosamente a cercare di traghettare la Legge di bilancio verso l’approvazione finale delle Camere, che dovrà avvenire entro la fine dell’anno per scongiurare l’esercizio provvisorio, è arrivata la notizia inaspettata della proclamazione dello sciopero generale da parte di Cgil e Uil contro la manovra.
Una scelta che la Cisl ritiene sbagliata e che l’economista ed ex ministro delle Finanze Francesco Forte giudica «insensata. È la dimostrazione che gran parte del sindacato non ha più una funzione sociale, ma di protezione dei più favoriti».
Perché un giudizio così duro?
Perché evidentemente a Cgil e Uil non basta la mediazione del Governo che ha dato luogo a una riduzione delle imposte per chi è già in una buona condizione, mentre si dovrebbe cercare di tagliare la pressione fiscale laddove genera disoccupazione o blocca la produttività, così da contribuire ad accrescere il Pil. A me sembra, purtroppo, che Legge di bilancio fosse già infelice ed espressione di una cultura redistributiva e non produttivistica. E un Paese altamente indebitato e con una pressione fiscale che nel 2020 è aumentata dello 0,5%, non può permettersi redistribuzioni.
Secondo lei, perché Cgil e Uil hanno preso questa decisione così forte contro il Governo?
Da un lato, cercano di avere uno spazio maggiore di quello che hanno avuto finora. Dall’altro, tentano in qualche modo di riscuotere più credito nella classe lavoratrice. Tutto questo anche dopo un periodo di ambiguità, per esempio, sul green pass. La motivazione è economica, ma la mossa ha una natura politica che secondo me non ha senso: dimostrare che questo Governo non è amico dei lavoratori. Mi sembra che a questo punto Cgil e Uil, e volente o nolente anche la Cisl con la scelta di dissociarsi dalle altre due confederazioni, si aggiungano ai diversi giocatori politici che cercano di contare qualcosa in un momento in cui vanno prese decisioni che possono portare al proseguimento o all’interruzione dell’esperienza di questo Governo.
Colpisce non poco il fatto che la Cgil scioperi contro un Governo di cui fa parte anche il Pd…
Si tratta indubbiamente di un colpo duro per Letta, perché la decisione della Cgil pare certificare una mancanza di rapporto tra il principale sindacato italiano e il partito che storicamente dovrebbe rappresentare i lavoratori. Non va comunque trascurato il fatto che la spaccatura tra le confederazioni sembra anche mettere ancora una volta fine all’ipotesi di un’unità sindacale.
Una parte dei sindacati che proclama lo sciopero generale, le critiche di Confindustria e le spaccature crescenti nella stessa maggioranza stanno a significare che il Governo è vicino al capolinea?
A me sembra che già ora il presidente del Consiglio abbia un potere molto ridotto al di fuori dell’emergenza pandemica e del Pnrr, che sono gli unici due temi su cui Draghi sta raccogliendo risultati positivi, anche se con qualche crepa. Il suo ministro dell’Economia non ha invece alcuna autorevolezza, visto che la Legge di bilancio che presenta viene riempita di emendamenti da tutti i partiti. Anche la riforma fiscale pare scontentare tutti.
I partiti, oltre a mettere in discussione l’autorevolezza di Franco, sono in grado di far cadere il Governo o aspettano che Draghi si logori e se ne vada?
Ciascuno di essi tira la corda, ma fino a un certo punto, perché nella maggioranza sono divisi su tutto, ma restano uniti nel ritenere che far cadere il Governo sarebbe un gioco pericoloso, perché c’è il rischio di elezioni anticipate. C’è da dire, però, che è difficile immaginare un altro esecutivo di unità nazionale che non sia questo o intravvedere una maggioranza alternativa a quella attuale senza passare prima dalle urne.
Dunque non si può pensare a un Governo guidato da Franco o da Cartabia?
No. Una maggioranza come quella attuale può stare in piedi solo se a palazzo Chigi rimane Draghi.
E se l’attuale Premier fosse eletto come successore di Mattarella?
Credo che a Draghi non converrebbe andare al Quirinale, rischierebbe di trovarsi poi in una situazione difficile che, vista l’alta litigiosità presente tra i partiti, metterebbe a rischio la credibilità di tutto il Paese e indirettamente anche la sua.
Che senso ha allora questo continuo tirare la corda da parte dei partiti?
I partiti hanno bisogno di battere un colpo, di dare segni di vita e alcune delle loro scelte sono anche determinate dalle divisioni presenti al loro interno, come pure tra le coalizioni. Non hanno, dunque, una vera strategia di medio termine. Non è comunque da escludere che le Camere trovino il modo di consentire ai parlamentari di prima nomina, magari tramite un riscatto contributivo poco oneroso, di vedersi riconosciuto il diritto alla pensione senza dover aspettare settembre. A quel punto ci sarebbe un ostacolo in meno per il ritorno anticipato alle urne.
(Lorenzo Torrisi)
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