L’ingegneria istituzionale europea finora evoluta fa convivere due modelli diversi: confederale e di alleanza tra nazioni sovrane. Tale configurazione è rispecchiata dal fatto che le istituzioni comunitarie mostrano un tavolo intergovernativo (con potere di veto da parte di una nazione) come ultimo decisore e la Commissione, con forma più confederale, come organo esecutivo subordinato, il Parlamento europeo con poteri ambigui.
Il tema è ben noto, ma a ridosso del negoziato per la riforma del Patto di stabilità e nella pressione oggettiva di turbolenze globali che richiede la compattazione e l’efficienza dell’architettura politica europea, si fa urgente una chiarificazione: unione confederale o migliore strutturazione delle relazioni tra nazioni sovrane?
Attualmente l’Ue è molto meno di un’unione, ma molto più di un’alleanza. Le analisi mostrano che nessuna nazione europea sia disposta a cedere sovranità oltre il livello finora conferito. La storia dell’integrazione europea mostra l’esercizio di un potere dominante, dal 1963, da parte della diarchia franco-tedesca che, anche se più o meno coesa, crea un problema nei conferimenti di sovranità: questa non viene ceduta a un agente europeo condiviso, ma alla diarchia via autoannessione. Il metodo europeo attutisce questo aspetto imbarazzante, ma non lo elimina. D’altra parte tutte le alleanze hanno un nucleo ordinatore con un potere differenziale per non dissiparsi: chi ha questo potere non ha interesse a farlo condizionare entro un’architettura confederale. Ma anche chi a meno potere ed è nazione più piccola non ha interesse a trasformarsi da nazione sovrana in regione subnazionale di uno Stato europeo.
Infatti, la bozza di Costituzione europea, pur annacquata, del 2005 fu bocciata: solo l’idea costituzionale trovò dissensi. Il tentativo di costruirla come prassi comuni nel Trattato di Lisbona fallì anch’esso. Tuttavia, l’Ue riesce ad essere, pur spugnoso, un organo deliberativo intergovernativo dotato di condizionalità giuridica. In tal senso c’è l’evidenza che l’Ue sia molto meno di un’unione, ma molto più di una semplice alleanza. Quindi, appare sensato concentrare la ricerca su un miglioramento del modello di Europa delle nazioni che non su quello confederale.
Chi scrive sta sviluppando un modello di “sovranità nazionali convergenti e reciprocamente contributive” al posto dell’infattibile confederazione, proprio basandosi dell’evidenza che l’Ue è “più di un’alleanza”. Da dove cominciare?
Appare salutare iniziare dalla collaborazione tra nazioni in caso di crisi grave, cioè da un regime d’eccezione che genera una configurazione temporanea. Come? Con un trattato che a seguito di dichiarazione d’emergenza condivisa faccia prendere all’Ue una configurazione verticale/collaborativa temporanea per la gestione dell’emergenza stessa: un incidente nucleare, un disastro con proporzioni europee, una guerra, una pandemia, ecc. Tale configurazione dovrebbe essere predisposta sul piano legale-architetturale e oggetto di esercitazioni comuni.
Un’Europa con certezza di avere un garante collettivo di ultima istanza sarebbe un passo integrativo sia forte, sia rispettoso delle sovranità nazionali in situazione ordinaria. Poi tale ingegneria dovrebbe continuare al riguardo dell’euro: dare alla Bce il mandato di prestatore diretto di ultima istanza, senza troppi meccanismi laterali, tipo il Mes. L’area monetaria dell’euro è subottimale non solo perché manca una politica fiscale europea che sostenga la moneta unica, ma, soprattutto, perché non è chiara la funzione di garante di ultima istanza in caso di guai. Aggiornamenti.
www.carlopelanda.com
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