Il dibattito concitato di questi giorni e le critiche al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, anche di una parte della maggioranza, rivelano uno stato di ansia che attraversa tutte le istituzioni repubblicane. Ieri, al Senato, questa ansia, forse per un calcolo politico, è stata usata da Matteo Renzi, esponente di maggioranza, per lanciare una sorta di ultimatum, di ultimo avviso al Premier.



E oltre agli scontati interventi contrari di Matteo Salvini al Senato e Giorgia Meloni alla Camera, anche il deputato del Pd, Andrea Orlando, ha sviluppato un intervento di affiancamento a Conte, ma anche di pungolo e di precisazioni.

Si può dire che quando c’è un dibattito parlamentare, sembra che si avvicini sempre di più una sorta di “ora x”, cioè il ricambio del Governo, o forse solo del Premier, in coincidenza di una sorta di “principio della fine” dell’emergenza causata dalla tragedia della pandemia.



Detto questo, cerchiamo di trovare un senso al significato della giornata di ieri e della situazione complessiva. La data del 4 maggio, la parziale fine del lockdown, sembra avere un doppio impatto psicologico: un sospiro di sollievo da un lato e il timore di fare un salto nel buio dall’altro, cioè di essere travolti dalla seconda ondata della pandemia che potrebbe essere devastante. Ma c’è in più anche una serie di scelte di chiarezza da intraprendere nella possibile convivenza con il virus.

In sintesi, l’emergenza per il flagello non è affatto finita, si scalpita per un ritorno alla normalità e nello stesso tempo c’è la legittima paura che le “regole di distanziamento sociale” siano difficili da rispettare e quindi si possa ripiombare nell’incubo del mese di marzo e della prima quindicina di aprile.



Alla luce degli ultimi dati di contagio e di guarigione, c’è uno sfondo di carattere scientifico, che è compito degli scienziati descrivere in tutti i suoi aspetti. Ma poi ci sono le misure di carattere politico da prendere e qui sembra che tutti i nodi vengano al pettine.

Al momento si presentano, com’è ormai noto, tre altre emergenze che vengono prese in considerazione con ansia dal Quirinale: nell’ordine si parla di una questione sociale, una questione politica e una questione economica. Così almeno e in questo ordine sono le voci che arrivano dal Colle. Il Presidente della Repubblica, preoccupato, non ha comunque alcuna intenzione di intervenire com’era invece un tratto caratteristico nella presidenza di Giorgio Napolitano.

Le tre emergenze, con proteste che intanto si accumulano in vari strati della società italiana, sono esplose nel dibattito parlamentare di ieri in un intreccio aggrovigliato della politica italiana, che attraversa maggioranza e opposizione, con divisioni al loro interno. A questo punto si può dire che il coronavirus segni una svolta epocale di questi anni in tutti i settori della vita italiana.

Nei giorni scorsi, pur godendo di una fiducia accettabile da parte degli italiani secondo i sondaggi, Conte è stato messo sotto accusa per un’approssimazione negli interventi e per la sua mancanza di visione della cosiddetta “fase 2”, per il suo continuo ricorso alla decretazione, “sospendendo” in questo modo la funzione del Parlamento. Poi sono sorte una serie di questioni di carattere costituzionale e c’è l’accusa di incertezze nello stabilire i passi verso il ritorno alla riapertura completa delle società, pur nella convivenza con il virus.

Pensare, in una simile situazione di contrapposizioni diverse e articolate. a una politica di unità nazionale, di convergenza costruttiva per affrontare la forzata convivenza con il virus e le scelte per affrontare la crisi economica e sociale sembra veramente un’utopia.

Scontata la contestazione durissima di Salvini e Meloni, ma che cosa dire di fronte alla frase di Renzi: “Non abbiamo negato i poteri a Salvini per darli a lei”. E poi: “Glielo diciamo in faccia: siamo a un bivio. È stato bravo a rassicurare gli italiani, è stato molto bravo. Il punto però è che nella fase 2 della politica non basta giocare su paura e preoccupazione. C’è una ricostruzione da fare che è devastante e richiederà visione e scelte coraggiose”. Un invito sopra le righe o una “sveglia” ultimativa?

Le precisazioni che fanno anche esponenti del Pd e di Leu segnano il momento difficile del Premier di governo e rivelano che avanza sempre di più il riflesso più inquietante della tragedia della pandemia, cioè la crisi economica e sociale.

Non ci sono solo i problemi gravissimi delle stime sul crollo del Pil e la crescita del debito pubblico. Non esistono solo le nuove condizioni emerse dall’accettazione dell’ormai famoso Mes. Non ci sono le contrapposizioni tra Regioni, tra Nord e Sud del Paese, tra Regioni e Governo. Si allunga sempre di più la protesta delle piccole imprese, dei ristoratori, dei baristi, degli addetti al turismo. C’è un palese, a volte clamoroso, ritardo nei fondi da stanziare, ci sono incognite sulle promesse fatte e non ancora onorate. C’è quindi la consapevolezza che sta preparandosi un dopo pandemia con uno sconfinamento pericoloso in un’autentica rivolta di vari strati sociali.

Quello che più inquieta gli analisti è questa domanda: ma quante piccole imprese, di tutti i tipi, possono riaprire oppure morire? I calcoli approssimativi fanno venire i brividi e quindi se in poco tempo non ci sarà un intervento di aiuto concreto, c’ è la paura scontata di quella che Giuseppe De Rita ha detto recentemente: “Attenzione all’ira dei miti”.

Tutto questo agita la politica italiana e mette continuamente in discussione maggioranza di governo e Premier. In un clima del genere, ogni previsione è al contempo azzardata e possibile. Deduzione: la politica sembra diventata figlia dell’irrazionalità e segna il trionfo definitivo della vera antipolitica.

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