Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, stupisce alcuni “sprovveduti” di questa classe politica, italiana e non solo, che ha sostituito analisi, programmi, visioni, identità di partito con una sorta di europeismo acritico, in tutti i momenti, in ogni circostanza e per qualsiasi evenienza.
La lunga storia dell’Europa, nonostante una prima parte del Novecento disastrosa con due guerre mondiali e il seguito di una guerra fredda sempre sullo sfondo, è comunque stata una culla di diritti e anche dello sviluppo economico, considerando l’apporto inglese, quello francese e la grande rivoluzione sociale con il varo del welfare state, nel luglio 1948, da parte del governo laburista quando la Gran Bretagna, uscita vincitrice dalla guerra, aveva pur sempre accumulato un debito del 200 per cento rispetto al Pil. Fu una scommessa vincente, confermata dal successivo governo conservatore. Una simile rivoluzione fu anche l’idea della costruzione dell’Europa fatta dai “padri fondatori”. Fu un passaggio decisivo ed esaltante per un nuovo assetto geopolitico mondiale.
Mario Draghi è un uomo di grande cultura e intelligenza, coniugate a un grande pragmatismo. In più Draghi è veramente un europeista, non nominale, ma realistico, e quindi giudica, critica e decide. La sua prima conferenza stampa, quella di venerdì, mentre le forze politiche del governo dibattevano, in modo furente, sulle “cartelle esattoriali” è stata contrassegnata da una precisione e da un realismo che facevano a pugni con le prediche noiose, imprecise, autoreferenziali, tutte “promesse e lacrime” che l’impareggiabile Rocco Casalino confezionava per Giuseppe Conte. Draghi ha risposto alle domande dopo aver parlato per quattro minuti!
Andiamo alla sostanza. Mario Draghi, vero europeista (occorre ripeterlo), è quello che ha salvato l’euro con la sua famosa frase “whatever it takes” e combattendo per anni, dal suo posto di presidente della Banca centrale europea, contro le lamentele dei tedeschi e degli “austeri”, cioè dei “tirchi”, che hanno provocato spesso un anti–europeismo dilagante nei paesi che aderiscono all’Unione.
Nella conferenza stampa, Draghi ha persino stabilito la data (8 aprile) dei cosiddetti ristori, ma si è pure soffermato con alcune considerazioni sull’Unione Europea, soprattutto nella campagna vaccinale e anche su quello che ormai si può chiamare “l’affaire AstraZeneca” dopo varie consultazioni telefoniche.
Si può proprio dire che nella conferenza stampa (tanto attesa dalla nostra “grande” stampa che si era offesa perché il primo ministro non parlava), Draghi ha pronunciato un altro “whatever it takes” all’insegna del pragmatismo, sia per quanto riguarda la campagna vaccinale, sia per quando riguarda l’intervento economico di sostegno.
Partiamo dagli interventi economici. Da un anno Mario Draghi parla di un “debito buono”, quello che innesta e aiuta la ripresa e che i suoi “maestri”, da Federico Caffè a Franco Modigliani (in linea con quando avevano appreso dalla lezione di John Maynard Keynes) gli avevano insegnato sui banchi di università.
Oggi, il livello economico di insegnamento, la Bocconi soprattutto, esclude gli insegnamenti keynesiani e persino quelli di Piero Sraffa, mentre abbraccia il neoliberismo, quello che a livello mondiale ha portato a un disastro e a una recessione ancora prima che scoppiasse la pandemia del Covid–19.
Che cosa ha detto Draghi venerdì? “È necessario accompagnare le imprese nell’uscita dalla recessione. Questo è un anno in cui non si chiedono soldi, si danno soldi”. E ancora: “Non è in queso momento che si deve guardare al debito. Verrà quel momento, ma non adesso, non è questo il momento, in cui l’economia è in recessione, circondata da altre economie che sono in recessione per colpa della pandemia. (…) Non è questo il momento di pensare al Patto di stabilità. Le regole del Patto di stabilità verranno discusse e mi pare difficile restino uguali dopo la situazione che si è creata. Tutti i paesi stanno aumentando il debito. È di oggi la notizia che la Germania ha chiesto un aumento del debito al Parlamento tedesco, (…) la Francia e la Spagna anche”.
A parte qualche possibile “suicidio” di qualche bocconiano o di qualche “austero”, sarebbe un bene divulgare qualche “bignami” della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di Keynes e magari un altro bignamino de La dignità del lavoro di Federico Caffè. Quindi distribuirlo, non solo alla destra, ma anche alla nuova e forse (ex) sinistra europea, sopratutto a quella italiana.
Come non abbiamo risparmiato a Draghi le critiche, dopo il 1992, per la campagne di privatizzazione senza liberalizzazione, oggi non possiamo astenerci dai suoi convincenti ripensamenti su come affrontare a livello europeo e nazionale la gravissima crisi economica, di cui non si conosce ancora quale sarà la vera portata.
Ma se in questa considerazione di Draghi sta il nuovo “whatever it takes” in campo economico, la stessa formula si può usare in campo sanitario e nella campagna vaccinale. Ha detto il nostro presidente del Consiglio: “Se il coordinamento europeo funziona, bene. Altrimenti sulla salute, bisogna essere pronti a fare da soli. Questo ha detto Angela Merkel e questo è quello che dico io”.
Chissà se il riferimento alla Merkel è un pensiero condiviso, oppure un rabbuffo scherzoso, come quando si è lamentato degli inglesismi di chi trascrive i suoi discorsi?
Difficile dirlo dopo. Non è il “caso”, ma appunto “l’affaire AstraZeneca”, tra telefonate incrociate, contratti con dimenticanze, ritardi ingiustificati e un forte odore di “guerre commerciali” a lasciare perplessi sulla funzionalità del coordinamento europeo.
Lasciamo perdere comunque questa vicenda, che prima o poi dovrà essere chiarita in Parlamento europeo anche dalla signora von der Leyen, e soffermiamoci invece su quello che potrebbe apparire il “paradosso” di Mario Draghi.
C’è qualcuno che critica l’azione di questo governo, che ha appena 70 giorni di vita e sta colmando i vuoti di un governo che per un anno ha fatto solo promesse e neppure un vaccino: non ci poteva pensare a maggio del 2020, l’abilissimo Giuseppi? Lo hanno fatto persino quei “ritardati” degli inglesi, dei russi, dei cinesi e degli americani! Non si poteva usare la strategia israeliana, trattando con i soldi e con la formula dell’esperimento su un intero popolo? Forse era troppo complicato.
Draghi, con la sua azione incalzante, con le sue sostituzioni in alcuni punti chiave della campagna sanitaria ed economica, non rappresenta affatto un paradosso rispetto all’europeismo. Lui resta un grande europeista che vuole un’Unione Europea che funzioni, non una sorta di vaga comunità monetaria, appesantita anche da un notevole fardello burocratico, che pretendo soprattutto dei fans e non dei cittadini consapevoli di partecipare a una grande comunità che in questa situazione non si è realizzata.
Ma ci vuole Mario Draghi, ex presidente della Bce, a farlo comprendere?
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