Oggi se ne parlerà nella riunione del gabinetto di sicurezza nazionale, anche se diverse fonti israeliane riferiscono di un sì di massima del governo Netanyahu a un cessate il fuoco in Libano. I media arabi, inoltre, parlano di un imminente annuncio congiunto da parte di Macron e Biden relativo a una tregua di due mesi. Secondo la tv pubblica Kan, l’accordo prevederebbe tre fasi: una tregua con il ritiro di Hezbollah sopra il fiume Litani, il ripiegamento dell’IDF dal sud del Libano e un negoziato per definire il confine tra Israele e Libano.



Anche se venisse firmata si tratterebbe comunque di un’intesa precaria, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente. Ben Gvir, ministro ultranazionalista dell’esecutivo Netanyahu, la definisce un grave errore, e secondo il Times of Israel critiche sono giunte anche da sindaci del nord di Israele, territorio evacuato in seguito alla guerra con Hezbollah.



Tutto dipende anche dall’evoluzione della situazione con l’Iran, che, oltre a sostenere Hezbollah in Libano, promette una risposta all’ultimo attacco israeliano e fa richiesta, tramite la guida spirituale Khamenei, di un’esecuzione capitale per Netanyahu. In realtà, tutti attendono l’entrata ufficiale di Trump alla Casa Bianca. Il nuovo presidente USA, tuttavia, potrebbe anche avallare un attacco a Teheran.

Si riparla di tregua vicina in Libano. Solo parole?

Israele ha una priorità: far tornare decine di migliaia di cittadini del nord nelle loro case. Se raggiungerà questo obiettivo, si riterrà soddisfatto. Non credo che gli interessi una guerra prolungata con Hezbollah. Combattere su due fronti, questo e quello di Gaza, è impegnativo. L’ultima volta, nella guerra in campo aperto con il gruppo filoiraniano, le perdite furono consistenti.



Secondo il quotidiano Asharq Al-Awsat, Macron e Biden dovrebbero annunciare una tregua in Libano per 60 giorni. Cosa significa?

Se si raggiunge un accordo, sarà comunque una tregua precaria, in attesa di cosa decideranno gli altri protagonisti dell’area, Iran in primis. Guarda caso, la durata sarebbe di due mesi, proprio il periodo precedente all’insediamento di Trump. Poi, succeda quel che deve succedere.

Ben Gvir, intanto, ministro del governo Netanyahu, ha detto che questa proposta di cessate il fuoco va respinta. Anzi, che è un grave errore. Può influire sull’attuazione dell’accordo?

Che ci siano posizioni più intransigenti all’interno del governo israeliano non è certo un mistero. Fosse per Ben Gvir e altri, andrebbe occupato tutto il Libano e forse anche qualcosa d’altro. Certo, la loro opinione durante la guerra ha finito per contare sempre di più. È un gioco in cui hanno tutto da vincere o tutto da perdere. Di vittorie, finora, non se ne sono viste: né gli ostaggi sono tornati a casa, né gli sfollati del nord di Israele hanno fatto ritorno nelle loro abitazioni.

Il piano, così come lo conosciamo, comporterebbe la libertà di azione per Israele in caso di violazione dell’accordo. Un po’ sbilanciato verso Tel Aviv?

Questo potrebbe essere il motivo per cui, quando una delle parti accetta, l’altra non è disposta a farlo. Assomiglia molto agli accordi che hanno portato al ritiro di Israele anni fa e all’interposizione delle forze dell’UNIFIL, che in questo momento sembrano il bersaglio preferito dei contendenti, senza riuscire a separare le due parti. A meno che l’obiettivo sia dichiarare una tregua con Teheran. Ma Khamenei ha appena detto che Netanyahu dovrebbe essere giustiziato.

Intanto, mentre si parla di accordo, le bombe israeliane continuano a cadere su Tiro e Beirut.

L’agenda militare israeliana è sempre andata avanti a prescindere da tutto, così è successo dal 7 ottobre in poi. E non bisogna dimenticare che, comunque, l’Iran lancia segnali, sostenendo che sta ancora preparando una risposta all’ultimo attacco di Israele.

Alcuni funzionari israeliani hanno rivelato al Jerusalem Post che Israele non ha rinunciato a un attacco ai siti nucleari iraniani. Resta anche questo pericolo?

Credo che Israele voglia attaccare l’Iran almeno dal 2003. Dopo aver eliminato la prima minaccia nell’area, quella irachena, la seconda era questa. Gli israeliani sono stati a malapena tenuti a bada dagli americani: traditi da Obama, spalleggiati da Trump ma non a sufficienza. Con il ritorno di Trump, si sentono un po’ più pronti a portare a termine questa missione: l’eliminazione del loro grande nemico nell’area. Non riusciranno a farlo in questi due mesi, perché Biden è ancora in carica.

Trump però si è presentato come il grande pacificatore: vuole chiudere la guerra tra Kiev e Mosca, ma è disposto ad aprirne un’altra con l’Iran?

Trump vuole mettere fine alla guerra in Ucraina perché ha un conto in sospeso con l’Europa, che ritiene non abbia pagato abbastanza per usufruire dell’ombrello difensivo degli Stati Uniti. E perché ha una personale ammirazione per Putin. Riguardo all’Iran, le sue posizioni sono sempre state chiare: sta con Israele senza se e senza ma. Se c’è una guerra che vorrà ingaggiare, quella sarà sicuramente contro l’Iran.

La richiesta di Khamenei di giustiziare Netanyahu fa parte della guerra di propaganda combattuta a parole da più di un anno o l’escalation nella comunicazione prepara l’ampliamento della guerra nei fatti?

L’escalation c’è già stata, quando Hezbollah con i suoi droni ha raggiunto la casa di Netanyahu. Il premier israeliano, per sua fortuna, non c’era, ma il tentativo di colpire direttamente il leader del paese nemico c’è stato. Israele, da parte sua, ha colpito diversi generali molto vicini alla guida suprema dell’Iran.

In conclusione, qual è lo scenario che ci si para davanti, almeno a breve?

Vedo almeno due mesi di bombardamenti a Gaza e poi probabilmente un attacco più sostenuto in caso di risposta iraniana, soprattutto se Trump sarà già in carica. Per quanto riguarda il futuro del Libano, tregua o meno, dipenderà molto da come andrà con l’Iran. Se c’è un’escalation, Hezbollah non può stare a guardare, né impegnarsi in accordi di tregua, a meno che non ci sia una rottura con il suo principale sponsor. Posso capire che si sgancino dalla causa di Gaza, ma tenersi fuori da un conflitto con l’Iran lo vedo più difficile.

L’Iran, intanto, come continua a dire, sarebbe davvero disposto a un nuovo attacco nei confronti di Israele. Che convenienza ne avrebbe? Stavolta potrebbe scatenare un conflitto su vasta scala.

Ogni controrisposta comporta il rischio di un’escalation. Ma è anche una questione di immagine: non vogliono passare per chi è stato attaccato senza reagire. Se l’Iran vorrà rispondere, comunque, dovrà farlo mentre Biden è ancora in carica.

(Paolo Rossetti)

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