Ieri il Corriere della Sera ha anticipato il piano di politica migratoria del governo giallorosso: si parla di “superamento di Dublino” mediante una “distribuzione preventiva” negli altri paesi europei dei migranti che arrivano. All’Europa M5s e Pd chiedono “garanzie” sulla ricettività degli altri Stati europei. Il dossier migratorio però si complica per tutti, perché la Turchia ha minacciato di riaprire il corridoio orientale.
L’Italia, paese a sovranità debole, è soggetta più di altri alle strette condizionalità europee, dice Paolo Quercia, docente di studi strategici nell’Università di Perugia e direttore del Cenass. Ma anche l’Ue deve stare attenta perché la pressione migratoria potrebbe avere sull’Unione effetti più rapidamente deflagranti di quanto si possa immaginare.
Come valuta il piano del governo, per quanto è dato di sapere?
A me pare che questo governo non abbia ancora un piano di politica migratoria, come in ultima analisi non l’avevano quelli precedenti. Un piano di politica migratoria si può avere quando c’è il controllo dei confini, cosa che nessuno dei tre Paesi della frontiera meridionale dell’Unione Europea (Spagna, Italia e Grecia) è sostanzialmente in grado di fare qualora navi di migranti o di Ong decidano di forzarli.
Eppure sarebbe il primo interesse dei paesi nordeuropei quello di tutelare le frontiere esterne.
Il paradosso è che i Paesi del Nord Europa, pur avendo rimosso le frontiere con i paesi dell’Europa meridionale, hanno un controllo maggiore del proprio spazio perché possono obbligare i Paesi di frontiera come noi al rispetto degli accordi di Dublino. In questo strano sistema le frontiere tra Paesi Ue appaiono meno permeabili che quelle tra Paesi Ue ed extra Ue, che invece dovrebbero essere più rigide di quelle interne.
Per questo l’Italia continua a chiedere il superamento di Dublino.
Ma è proprio per questo non lo avrai mai. Perché aumentare i flussi verso i Paesi del Nord non è un metodo per ridurre i flussi da Sud. Potrà avere dei meccanismi di solidarietà e di distribuzione dei migranti, ma a patto che essi sbarchino formalmente in Italia e l’Italia ne assuma la “paternità” Schengen.
Qual è la sua previsione?
Ogni disponibilità ad assorbire un parte dei migranti sbarcati riguarderà piccoli contingenti ed è già attuata come una deroga di carattere politico che viene temporaneamente concessa all’Italia. O meglio un patto che l’Europa è pronta a fare con un governo italiano di gradimento europeo. E come può essere fatto, tale patto può essere tolto. Sostanzialmente è un palliativo sul piano migratorio ma che può comunque produrre qualche effetto sul piano politico.
Ieri alla Camera Conte ha detto che il decreto sicurezza (Salvini, ndr) va rivisto alla luce delle osservazioni critiche formulate dal presidente della Repubblica. Che ne pensa?
Ripeto, il decreto sicurezza – nella prima o nella seconda versione Salvini – così come il codice di condotta di Minniti sulle Ong, sono solo alcuni tasselli di una politica migratoria. Più che modificarli più volte in pochi anni si dovrebbe aggiungere tutto quello che manca: gli accordi con i Paesi terzi, le azioni di politica estera, gli accordi con i Paesi di origine, i rimpatri internazionali, la costituzione di centri di accoglienza nei paesi terzi sicuri – e ce ne sono diversi nelle rotte verso l’Europa -, le sanzioni contro le organizzazioni criminali, la condizionalità economica degli aiuti verso i Paesi che creano artificialmente flussi migratori, l’assistenza tecnica nel controllo delle frontiere, la cooperazione allo sviluppo mirata ad arginare le partenze e favorire i rientri, eccetera.
Una lista lunghissima… E per quanto riguarda le osservazioni del Colle?
Per quanto riguarda i due rilievi del presidente, onestamente mi permetto di dire che non mi sembrano così sostanziali e chiari. In uno di essi si sostiene che le sanzioni previste contro le navi delle Ong sarebbero sproporzionate, ma non si capisce in base a quale parametro lo sarebbero; ad esempio, rispetto ai valori economici mossi dalle Ong, alla loro capacità di finanziamento o ai costi operativi giornalieri delle loro navi onestamente non apparirebbero sproporzionati.
E l’altro rilievo, quello dell’obbligo di salvare le vite umane?
Non mi pare sia messo in discussione dai decreti, che intervengono sul diritto di accesso nelle acque italiane. Il salvataggio in mare è un atto che va tenuto distinto dall’identificazione del luogo di sbarco. E dove uno dei numerosi porti sicuri del Mediterraneo non è disponibile, fa sempre fede la bandiera battente la nave su cui sono i migranti. È quella a determinare il porto di sbarco dove concludere il salvataggio.
Trova una correlazione tra formazione del nuovo governo, flessibilità chiesta dall’Italia a Bruxelles in materia di bilancio e politiche migratorie europee?
Temo di sì. In passato c’è stata. È una mia opinione personale, ma ritengo che allentare la rigidità del bilancio per avere in cambio politiche migratorie meno rigide sia uno dei motivi meno saggi per cui indebitare ulteriormente il Paese.
Stiamo parlando di un vero e proprio ricatto politico da parte degli Stati egemoni verso quelli periferici guarda caso a sovranità più debole. Si stenta a crederlo, eppure…
Diversamente che per l’Italia, il teorema “meno severità per il bilancio di Roma, più migranti accolti in Italia”, per i Paesi del Nord Europa ha perfettamente senso. Le società multiculturali europee sono a rischio implosione e hanno necessità di arginare i flussi. Dopo 30 o 40 anni di politiche multiculturali conoscono benissimo i costi altissimi della gestione ed integrazione dei migranti e dei numerosi fallimenti collaterali di queste politiche di ingegneria sociale eurocentrica. D’altronde non hanno concesso alla Turchia 6 miliardi di euro per tenere i profughi siriani? Non è paradossale per l’Italia accettare queste politiche in cambio non di contributi economici bensì del… diritto di indebitarci ulteriormente?
Lei ha affermato che sarà il comportamento delle Ong a far capire quale sarà la strada intrapresa dal governo. Per quale motivo?
Perché il governo Conte 2 si muove su un delicato filo rosso, come si intravede dalla prudenza del nuovo ministro degli Interni. Da un lato, se riprenderanno gli sbarchi può essere tentato di rispolverare il modello Alfano sull’accoglienza; ma la maggioranza parlamentare sa di essere diventata minoranza nel Paese e ciò proprio a causa del tema migratorio e della strumentalizzazione che ne ha fatto Salvini. Per cui potrebbero essere tentati dal modello Minniti sul contrasto dei flussi. La scelta dipenderà molto da cosa chiederà l’Europa, se temerà di più nuovi flussi migratori o un ritorno politico di Salvini. In questo le Ong possono essere un’informale cinghia di trasmissione delle preferenze europee su come pilotare il dossier migratorio verso l’Italia.
La Turchia freme e minaccia di riaprire le porte ai migranti verso l’Europa centrale. Cosa può dirci?
Si è riaperta la rotta balcanica che attualmente rappresenta il primo canale di accesso all’Europa. Ci sono circa 70mila migranti intrappolati tra Balcani Occidentali e Grecia, che appare essere al collasso. Ai tre milioni e mezzo di profughi siriani in Turchia che premono sulla Grecia e sulla Germania come una spada di Damocle, vi sono quelli che Ankara teme arrivino dalla Siria come conseguenza dell’avanzata dell’esercito di Damasco, in particolare dalla zona di Idlib, dove sono asserragliate diverse migliaia di jihadisti.
Secondo lei Erdogan cosa vuole?
Erdogan questa volta non chiede soldi per accogliere i rifugiati in Turchia, come nel 2015, ma il supporto dell’Europa a creare una zona di sicurezza in Siria, dove far rientrare i profughi siriani. Un sostegno che difficilmente otterrà. Se non saranno negoziate altre opzioni il rischio di una nuova crisi è significativo.
In un’altra occasione lei si è detto convinto che la pressione migratoria possa avere sull’Unione Europea conseguenze più deflagranti delle disparità introdotte dai Trattati, dalle politiche fiscali e dall’euro. Perché?
Perché l’Europa ha degli strumenti di governo della moneta unica, politiche di bilancio, regole economiche e finanziarie in teoria condivisibili e comprensibili tra tutti i Paesi; pur con le disuguaglianze in competitività esistenti nelle diverse zone dell’area euro, il progetto della moneta unica è ancora un progetto che lega, almeno sulla carta, i Paesi europei ad interessi comuni. La pressione migratoria verso l’Europa invece non è il risultato di un progetto europeo, ma il frutto di una serie di debolezze ed in alcuni casi di una visione utopistica del mondo e delle relazioni internazionali che rischia di mettere gli uni contro gli altri i Paesi dell’Europa. L’Europa ha degli strumenti – pur criticabili – di governo dell’economia e della finanza, mentre non ne ha alcuno per mettere in sicurezza le proprie politiche migratorie e per proteggere il continente dagli squilibri demografici provenienti da Africa, Medio Oriente ed Asia.
(Federico Ferraù)