Passata la pandemia si è riaperta a Berlino la conferenza internazionale sulla Libia, tenutasi l’ultima volta a gennaio 2020, proprio poco prima che il Covid iniziasse la sua drammatica avanzata. Ieri, con un parterre notevolmente allargato, proprio a voler significare i tanti passi avanti compiuti sul tema Libia, hanno partecipato i ministri di 17 paesi, tra cui per la prima volta gli Stati Uniti, e poi quattro organizzazioni internazionali di importanza assoluta come l’Onu, l’Unione Africana, l’Unione Europea e la Lega Araba.
Tutto bene? Non proprio. Come ci ha detto il corrispondente di guerra de Il Giornale e di altre testate Gian Micalessin, alla fine sono emerse tante buone intenzioni, ma pochi atti concreti. “Il problema maggiore su cui ci si è incagliati è la presenza di almeno 20mila tra soldati e mercenari turchi, russi, ma anche del Sudan e mercenari siriani filo-turchi, che non si possono cacciare da un giorno all’altro. È necessaria una iniziativa diplomatica come quella inaugurata da Biden e Putin, che riconosca a questi paesi il ruolo che hanno avuto fino a oggi, altrimenti a pagarne le conseguenze saremo noi italiani”.
Il nodo più intricato della Conferenza di Berlino e che non si è riusciti a sciogliere è la presenza in Libia di milizie filo-turche e filo-russe. Come mai questo intoppo?
Il rischio di questo nodo ricade soprattutto su noi italiani, che rischiamo di perdere quel ruolo guida riconfermato da Biden a Draghi. In secondo luogo, si rischia di consegnare alla Turchia di Erdogan il ruolo di principale arbitro e controllore dei flussi dei migranti, non solo sulla rotta balcanica, ma anche su quella del Mediterraneo. Perché dare mano libera a Erdogan oltre ad averlo premiato con 3,5 miliardi di euro che gli verranno consegnati su proposta della Merkel dal Consiglio europeo, significa anche rischiare che in Liba ci minacci, magari chiudendo e aprendo i rubinetti della migrazione.
Secondo molti esperti, questa situazione non si risolve in Libia, ma nelle capitali delle varie potenze implicate, da Ankara a Mosca e a Washington. È così?
Sicuramente bisognerebbe rimettere in piedi una trattativa con Mosca. È chiaro che se a Mosca non si concede niente sulla Siria e gli Stati Uniti non sono pronti a negoziare garantendo un via libera sulla ricostruzione, sarà molto difficile che la Turchia si ritiri dalla Libia in modo spontaneo. È chiaro che deve esserci un negoziato globale come quello iniziato a Ginevra tra Biden e Putin. Bisogna vedere se all’incontro seguiranno negoziati effettivi.
In questo quadro la presenza degli Usa quanto è importante?
Il ruolo degli Stati Uniti è molto relativo, perché per Washington la Libia è sempre stata un paese di poca importanza, nonostante il petrolio. Non hanno mai avuto l’intenzione di impegnarsi nel Mediterraneo, tanto meno in Libia, ciò che conta per loro è il sud del Pacifico e il rapporto-scontro con la Cina, è questo il tema principale in agenda. Marginalmente lo è anche lo scontro con la Russia. L’impegno nel Mediterraneo è stato delegato all’Europa, cui è stato assegnato il compito di ricostruire la Libia. Avviare cioè un dialogo con la Libia che spiazzi economicamente la Turchia e che renda Ankara inutile per gli stessi libici. Ma se questo ruolo non viene esercitato, è chiaro che una soluzione non si troverà.
Se non si risolve questa questione, ci saranno ripercussioni sul voto in Libia del 24 dicembre?
È un’altra questione rimasta sostanzialmente aperta a Berlino. Non si sa neanche di che tipo di voto si tratti, se presidenziale o parlamentare. Sono grosse incognite che la conferenza di Berlino non ha risolto neanche questa volta.
Il generale Haftar è recentemente tornato attivo, che peso ha nella Libia in transizione?
Haftar resta dal punto di vista militare la forza più importante, anche se è frammentata, visto che non è alla guida di un vero esercito, ma solo di varie milizie. Controlla il 60% del paese, però è una forza spiazzata e delegittimata. Anche i russi lo hanno emarginato politicamente.
Come valuti il documento finale della Conferenza di Berlino?
I soliti buoni propositi non finalizzati da atti concreti.
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