La crisi energetica è in pausa, non è superata. E l’Italia si trova molto esposta, nonostante i passi avanti compiuti per ridurre la dipendenza dal gas russo. Adesso c’è bisogno di un serio intervento europeo. Ma la discussione s’è impantanata. Il price cap? Ammesso che sia una buona idea e che funzioni, poteva essere efficace a primavera.



L’acquisto comune di metano? È una buona idea e può funzionare, ma ce n’era bisogno in estate quando è cominciata la corsa agli stoccaggi che ha portato il prezzo sopra i 300 euro a metro cubo. Oggi i prezzi sono scesi sotto il teorico tetto del quale si discute e Paesi come l’Italia hanno stretto accordi alternativi per sostituire la Russia con l’Algeria, con il Qatar, con Paesi africani e mediorientali. Dunque, si rischia di cadere nella trappola del troppo poco troppo tardi. In ogni caso, l’Unione europea resta incerta e divisa, ciascun per sé e tanto gelo per tutti.



Ha colpito senza dubbio la copertina dell’Economist che mostra un’Europa congelata, in seria difficoltà energetica e geopolitica, sostanzialmente accerchiata. L’arma del gas usata da Vladimir Putin in modo sempre più spregiudicato non fa vittime solo in Ucraina. Secondo una stima del settimanale britannico, potrebbero morire di freddo ben centomila persone in Europa. L’America che ha raggiunto l’autosufficienza pensa soprattutto a se stessa, l’onda nazionalista e protezionista sollevata da Donald Trump ha raggiunto anche Joe Biden e i democratici. Mentre il modello economico europeo basato su energia dalla Russia a basso prezzo, delocalizzazione, esportazioni verso la Cina, è ormai “obsoleto” come ha ricordato Fabio Panetta membro del comitato esecutivo della Bce, e va ripensato.



I singoli Governi si muovono da soli su due fronti: garantire che il gas non manchi durante l’inverno e tamponare l’impatto del caro prezzi con sostegni monetari pubblici di ogni genere e tipo. Chi ha più risorse potrà spenderle, lasciando indietro chi ha limiti stringenti al bilancio pubblico. L’Italia sta meglio della Germania quanto a forniture energetiche, molto peggio per quel che riguarda i conti pubblici: il Governo tedesco s’impegna a spendere 200 miliardi di euro, mentre Roma riesce a racimolarne appena una trentina. Berlino chiede aiuto a Parigi promettendo una sorta di scambio: gas ai tedeschi e ai francesi l’elettricità che loro manca perché molte centrali nucleari sono ferme per revisione o funzionano a basso regime. Ne parlano i giornali senza fornire particolari, in ogni caso è il cieco che aiuta lo zoppo, non una strategia energetica.

Di fronte alla crisi scatenata dall’invasione dell’Ucraina, vengono a cadere, così, quei vincoli di solidarietà che erano stati stretti per affrontare la pandemia. Sembra che l’obiettivo comune sia quello di svernare senza troppi scossoni, passare la nottata, arrivare a primavera e poi si vedrà. Una tattica forse inevitabile, ma solo perché manca qualsiasi strategia. Alcuni segnali positivi possono alimentare la linea del mese per mese: il picco dei prezzi appare superato e non solo per il gas, ma per le materie prime e l’inflazione in generale. Il rallentamento economico è consistente, però non siamo ancora in recessione e lo dimostrano anche gli ultimi dati della Germania.

C’è una sorta di calma dopo la tempesta, nessuno capisce se cova una nuova bufera. Il Financial Times ha raccolto i pareri dei top manager di grandi gruppi industriali: la convinzione comune è che la crisi energetica durerà ancora, forse meno virulenta, ma tale da minare le aspettative economiche e tosare i redditi dei consumatori. L’Europa sta pagando una tassa che nessuno le può togliere e solo essa stessa, tutta insieme, può attenuare, riducendo almeno le tendenze peggiori.

Il Governo italiano è con le spalle al muro. Non avendo margini, ha deciso una Legge di bilancio (ancora da definire in ogni sua parte anche non marginale) che assomiglia in realtà all’ennesimo decreto aiuti. Ben 21 miliardi di euro sui 30 o 35 stanziati (il conto preciso lo si farà solo alla fine) servono a colmare almeno in parte le perdite del passato. Per il futuro non c’è molto spazio. Si sta profilando il rischio di mettere mano alle risorse del Pnrr per affrontare l’emergenza, sarebbe non solo uno stravolgimento del piano, ma finirebbe per bruciare nella fornace della spesa corrente risorse destinate a investimenti strutturali,. Non resta altra strada che negoziare con Bruxelles non solo qualche margine di indebitamento aggiuntivo, ma un cambio di passo, ricorrendo a risorse comuni per affrontare una crisi comune destinata a trascinarsi tra alti e bassi finché non viene compiuto il salto verso una maggiore indipendenza energetica e verso l’impiego massiccio di fonti alternative a quelle fossili.

Un percorso interrotto dalla guerra in Ucraina, che va ripreso sapendo che si tratta di un lungo cammino. Nell’immediato, nonostante il tempo perduto o la loro natura limitata e contraddittoria, il tetto flessibile ai prezzi e gli acquisti coordinati sono aspirine da usare comunque, mentre si prepara la vera medicina: una politica energetica comune che va finanziata non dai singoli Paesi, ma dall’Unione europea con risorse europee.

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