In una settimana la Borsa americana ha registrato la peggiore perdita dalla crisi del 2008, il 10% del suo valore. Né molto probabilmente il crollo si fermerà questa settimana. Tale elemento, già da solo senza pensare al coronavirus che si sta diffondendo a gran velocità ovunque, trascina giù tutte le Borse del mondo.
Poi c’è appunto il virus, e la tensione geopolitica e strategica tra Stati Uniti e Cina. È lo scenario della crisi perfetta.
Infatti, al di là della confusione che si sta accumulando in queste ore a Washington, giustamente spaventata per le conseguenze inimmaginabili della diffusione del contagio nel paese, ci sono vari vantaggi strategici dall’epidemia in atto.
Il prezzo del petrolio che cade mette in difficoltà la Russia, la cui economia ruota intorno ad esso. Senza soldi dalle entrate petrolifere ci sono meno fondi per finanziare le ambizioni di Mosca in Siria, per esempio, dove la Turchia sta facendo pressioni dirette sul governo a Damasco, filorusso.
Inoltre, l’economia cinese e globale ferma mette in difficoltà Pechino, ormai da qualche anno il principale avversario strategico degli Usa. Washington già aveva cominciato a fare pressioni per la delocalizzazione delle imprese industriali dalla Cina, ora la diffusione del virus oggettivamente la aiuta. In pochi mesi una parte importante della produzione industriale dalla Cina potrebbe emigrare in altri paesi.
Ciò potrebbe indurre gli Stati Uniti a mettere in moto il piano per una nuova guerra fredda contro la Cina e la Russia.
Sull’ultimo numero dell’autorevole rivista americana Foreign Affairs, Graham Alison, che già cinque anni fa aveva avvertito di come uno scontro tra Usa e Cina fosse inevitabile, oggi spiega che bisogna passare da una guerra fredda latente e non dichiarata a una guerra fredda aperta. Occorre chiamare tutti i paesi del mondo a decidere di schierarsi apertamente se con Usa o con Cina creando un perimetro intorno alla Cina e forse anche intorno alla Russia, sostiene Alison.
Il virus non aiuta il presidente in carica Donald Trump e le sue chance di rielezione a novembre, ma questo è un altro discorso, perché tutto è in movimento e da qui a novembre, quando si voterà tante cose potrebbero cambiare.
Solo affastellando questi elementi lo scenario che si delinea è di una crisi economica come quella del 2008 più una crisi geopolitica. L’una poi nutre l’altra in una spirale.
Inoltre, anche fuori dalle tensioni strategiche, in occidente ci sono due ordini di problemi in più rispetto alla crisi del 2008. La Fed e le altre banche centrali hanno margini molto limitati per intervenire e spingere una ripresa economica, visto che i tassi di interesse sono già vicini allo zero.
Inoltre c’è una profonda fragilità politica ed economica nell’eurozona. Essa non ha ancora digerito l’uscita ancora in fieri della Gran Bretagna dall’Unione e ci sono divisioni profonde sul futuro prossimo dell’Ue. Tali divisioni sono per ora sopite, ma potrebbero essere esasperate se non si trova una linea comune, ma anche una sponda positiva oltre Atlantico, visto che l’America comunque è il partner politico ed economico più importante della Ue. Dopo il 2008 la crisi della Grecia arrovellò per anni Bruxelles. Oggi gli scenari potrebbero essere peggiori.
L’Italia come si inserisce attivamente e non passivamente in questo grande disegno che va a crearsi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi? Quanto ci metterà lo spread del debito pubblico italiano ad andare fuori controllo? Una settimana? Due? Tre?
Che potrebbe e dovrebbe fare l’Italia ora?
Nel 2011, quando l’allora governo Berlusconi andò in crisi perché lo spread sul debito italiano andò fuori controllo, c’era una “maggioranza alternativa” e forze all’estero che volevano con chiarezza qualcosa di diverso per l’Italia.
Oggi nessuno all’estero ha tempo di pensare all’Italia e in Italia non c’è chiarezza. Né, con il virus per le strade, si può andare al voto.
Una sola cosa pare chiara. Occorre forse dare un segnale all’interno e all’esterno che in Italia si cambia senso di marcia prima di essere travolti.