Wolfgang Ischinger, già ambasciatore tedesco a Washington, ha parlato chiaro nell’intervista concessa a La Stampa il 25 gennaio scorso. La sostanza che se ne trae è cruda e diretta: gli Usa non possono porre a repentaglio il loro potenziale nucleare per difendere le città europee. Esse sono sotto il tiro dei missili russi e questo perché solo la Russia possiede in Europa una forza nucleare sufficiente per scatenare un’offensiva vittoriosa. Quindi, il destino tedesco è intimamente legato a quello statunitense, nel senso che la Germania deve diventare nuovamente una grande potenza militare, accanto, diciamo noi, al Regno Unito e alla Francia.



È la stessa narrazione di Macron, quando ha spiegato che la Francia “per difendersi”, sottolineo: per difendersi, ha la necessità di riarmarsi in una misura superiore a quella che consentì a De Gaulle di raggiungere la potenza nucleare. E questo perché il mondo è sempre più pericoloso.

Non c’è più traccia dell’esercito europeo; appare, invece, il dramma di potenze nazionali europee che si armano sotto lo sguardo vigile degli Usa e non soltanto, ecco il punto, sotto l’ombrello della Nato, ombrello sempre più largo e sempre più minaccioso nei confronti dell’imperialismo russo che ha raggiunto la fase bellica, ma disgraziatamente, non ancora il suo culmine. Una narrazione e una situazione, questa, che fanno tremare: si ricordano come in un incubo gli anni lontani di gioventù, quando si studiavano le missive dei diplomatici inglesi che assistevano al crescere della potenza navale tedesca prima della Grande Guerra, mentre il fronte balcanico metteva a repentaglio il potere austroungarico e la Casa Savoia e gli alti gradi dell’esercito italiano meditavano di abbandonare la Triplice per schierarsi a fianco dell’Intesa, così da incanalare nell’irredentismo le tensioni sociali sempre più forti, come dimostrò, poi, l’ascesa filo-Intesa del mussolinismo.



Lo scontro tra Usa e Germania è al centro dell’ampliarsi del disordine internazionale. Un punto archetipale di verifica risiede nell’unilatelarismo commerciale che gli Usa pongono in atto, prima con Trump e poi, oggi, con Biden nei confronti della Wto, impedendone di fatto il funzionamento e rifiutandone i verdetti che condannano la loro politica protezionistica e di dumping che si è elevata prima in funzione anti-cinese e che è continuata poi anche in funzione anti-Ue: dai dazi sull’alluminio e sull’acciaio si è giunti ai sussidi sulle fonti tecnologiche e materiali delle transizioni digitali ed ecologiche in corso. Per cui i cicli Kondratiev oggi si presentano di fatto come un rifiuto del multilateralismo economico, che i tedeschi, invece – dal tempo di Genscher -, hanno costruito come una vera e propria ideologia accanto a quella dell’ordoliberismo, per avere mano libera nei confronti della Cina e della Russia, per espandere così il loro vitale spazio economico, tanto da abbandonare il vestito troppo stretto delle relazioni franco-tedesche come unico modus vivendi in Europa e nel mondo.



Oggi questo dissidio economico profondissimo, che ricorda quelli dell’età dell’imperialismo su cui Wolfgang Mommsen (nel suo Der europäische Imperialismus. Aufsätze und Abhandlungen edito nel 1979 e che ci illumina ancora oggi) scrisse pagine indimenticabili, si è ripresentato nelle vesti dell’imperialismo russo e della sua guerra imperiale. Guerra che proprio perché tale non è più di potenza, ma – secondo l’ideologia dominante in Russia – guerra di sopravvivenza.

Il pericolo di una guerra nucleare in Europa è, quindi, reale. È necessario riflettere profondamente e smetterla di raccontare favole pericolose. Il cessate il fuoco deve essere raggiunto a ogni costo.

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