Questo governo di Mario Draghi per motivi interni e internazionali non è e non può essere una parentesi dopo la quale tutto ritorna come prima o quasi. Né la nomina di Draghi a presidente del Consiglio risolve con un colpo di spugna anni di pasticci ed errori.
Draghi infatti è arrivato perché c’è una situazione interna e internazionale senza precedenti nel mondo per primo e poi in Italia. Se non è chiara la situazione generale ogni azione particolare nel paese rischia di essere sbagliata.
Brevemente: c’è stato e ci sarà un grande aumento di tensione tra Stati Uniti e Cina che ha ridefinito e ridefinirà sempre più profondamente i contorni della politica internazionale e interna di tutti i paesi del mondo. È già cominciata e diventerà sempre più importante un’ondata di inflazione dopo quarant’anni in cui l’aumento dei prezzi era stato domato. Non è ancora chiaro quale impatto economico globale e nazionale questa inflazione avrà nei prossimi anni, ma certamente sarà profondissima.
L’attenzione del mondo si è spostata verso l’Asia, patria di oltre il 60% della popolazione mondiale e di gran parte della crescita economica globale. La crescita economica dell’Asia ha messo in moto anche la crescita economica e demografica in Africa con conseguenze dirette in Europa.
Inoltre in questo orizzonte ci sono i cambiamenti prossimi annunciati in Italia. La linea ferroviaria veloce fino a Reggio Calabria e la possibilità del ponte sullo stretto di Messina cambiano la geografia italiana, europea e quindi globale.
Con un treno che già oggi può viaggiare oltre i 300 km all’ora, Reggio Calabria diventa vicino a Roma quanto Milano, Catania e Palermo sono distanti dalla capitale quanto Torino. Più di ogni altra cosa questi collegamenti ferroviari stringono a coorte il paese e aprono infinite possibilità di crescita per il Mezzogiorno ancora arretrato.
Il piano di Recovery, prima ancora che per la distribuzione dei soldi, sarà importante perché creerà semplificazioni burocratiche e liberalizzazioni di mercato che dovranno dare l’abbrivio al mercato italiano e renderlo più coerente con quello dell’Unione Europea; a sua volta l’Unione sarà sempre più in linea con il mercato americano.
Per il rilancio dell’economia globale gli Usa hanno annunciato un megapiano di stimolo di 4mila miliardi di dollari. La Ue ha annunciato un altro piano di circa mille miliardi di dollari. Altri piani di stimolo economici sono in serbo nel resto del mondo. Tutto questo unito all’effetto leva dello stimolo ci porta probabilmente a decine di migliaia di miliardi che arriveranno nell’economia. È un’iniezione di liquidità senza precedenti nella storia globale destinata a ridisegnare economia, rapporti sociali e politici ovunque.
Tutto ciò comporta che probabilmente l’inflazione diventerà un elemento costante per alcuni anni e riconfigurerà anche i rapporti economici e commerciali.
Non è chiaro infatti come si comporterà la Cina in questo scenario, con la sua moneta non pienamente convertibile. Pechino resterà parte del sistema economico commerciale globale come lo è stata fino a ieri o cambierà, e come?
La possibilità che Pechino resti fuori da questi sommovimenti economici non è minima e non è chiaro che impatto ciò avrà nella catena di produzione e distribuzione del valore globale.
Si tratta di una tempesta enorme e in tale contesto la questione italiana prende una nuova dimensione.
Fino a ieri l’economia italiana, che vale circa 2mila miliardi di dollari, era troppo grande per fallire. Ma in un orizzonte dove per esempio l’economia cinese, che vale circa 10mila miliardi di dollari, si può forse escluderla in tutto o in parte, l’inciampo di 100 o 200 miliardi del debito italiano può non essere fondamentale.
Se l’Italia sgarra nell’applicazione del cronoprogramma che durerà sei anni, se fra un anno o due i politici italiani vorranno ritrattare con Bruxelles o Wall Street i termini degli accordi siglati in passato, nel contesto del sommovimento complessivo potrebbe essere più facile tirare una riga sull’Italia, perché al confronto le questioni italiane sono molto meno importanti di quelle asiatiche e cinesi, pur essendo magari più complicate.
Nella prima guerra fredda l’Italia era importantissima perché terra di confine con l’impero sovietico, perché terreno di battaglia tra comunismo e forze democratiche. Se l’Italia fosse caduta, tutta l’Europa sarebbe stata più debole e l’Urss avrebbe conquistato uno spazio insostituibile.
Oltre che dal punto di vista economico, lo spostamento dell’asse di attenzione globale in Asia muove anche priorità geopolitiche.
Oggi se l’Italia non si comporta in linea con le esigenze (giuste o sbagliate che siano) europee e americane, potrebbe essere più facile saltarla o “aggiustarla” radicalmente in qualche modo.
Questo è l’orizzonte entro cui si muove la politica italiana; in questo orizzonte i politici italiani devono capire il loro spazio, e non possono oltrepassarlo.
In teoria l’Italia, per contare e conquistarsi spazi di manovra interni, dovrebbe riuscire a dare contributi in questo senso a livello globale. Onestamente i politici italiani, che fanno fatica a capire cosa succede oltre confine, hanno possibilità minime o nulle di dare tali contributi, ma è vitale per loro stessi capire il senso del proprio limite.
Il punto vero oggi in Italia è che questo quadro internazionale non c’è nel dibattito interno. Durante la prima guerra fredda le questioni internazionali grandi, di direzione erano parte del dibattito interno, con ingenuità o meno. Oggi sono spesso descritte con tratti caricaturali.
Qui si ritorna a Draghi. “Mario Draghi has given Italy a stature in Europe unparalleled in recent times. But his immediate success in becoming a guarantor for Italy in the eyes of Brussels and international investors masks a longer-term peril: Italy’s fractious national politics, and the rise of the country’s far right”.
L’Economist nel suo ultimo numero fa eco a Bloomberg. “The commission has been broadly satisfied by the promises Mr Draghi has made about how he will spend the money, and the reforms to Italy’s sclerotic government that he will aim to undertake. So far, then, so good. Yet Italian politics remain unpredictable”.
Tranne Draghi oggi non c’è alcuno nella politica italiana che abbia rilievo e credibilità internazionale. Questa assenza non può essere colmata in pochi giorni o pochi mesi.
Inoltre un successo della destra radicale e populista in Italia apre scenari pericolosi per l’Europa. Potrebbe legittimare Marine Le Pen in Francia e magari incoraggiare populismi radicali nel resto d’Europa. Questa destra italiana deve riposizionarsi prima di arrivare al governo, e l’esperienza con Draghi può essere utile.
Ma avere Draghi ora al governo risolve automaticamente ogni situazione. Bisogna farlo lavorare. Inoltre, avere avuto Draghi e poi toglierlo dall’orizzonte, in questo quadro internazionale è forse peggio che non averlo promosso affatto. In concreto Draghi oggi deve poter fare le nomine alle aziende statali e parastatali in piena libertà perché da queste nomine deriva l’applicabilità pratica del futuro cronoprogramma.
Se emergesse che Draghi non ho avuto sufficiente indipendenza in queste nomine si minerebbe già oggi il futuro dell’Italia. Quindi da una parte Draghi deve poter fare il suo lavoro con le mani libere, dall’altra parte il “fronte Draghi” deve potersi allargare per poter dare solidità al paese in questo frangente. Se le due cose non avvengono contemporaneamente e rapidamente si compromette il futuro della nazione.
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