Entro dieci, quindici giorni i giochi per la nuova giunta lombarda dovrebbero essere fatti. Dal 6 marzo la Corte d’appello di Milano potrebbe procedere alla proclamazione degli eletti e da quella data il meccanismo si mette in moto inesorabilmente: tre giorni per l’insediamento della giunta, quindici giorni al massimo per la prima seduta del consiglio in cui si eleggeranno il nuovo presidente e l’ufficio di presidenza. I pezzi del puzzle però sono ancora drammaticamente lontani dall’essere composti. Siamo ancora agli annunci, alle forzature, alle autocandidature a mezzo stampa.
Intanto vediamo la composizione del nuovo consiglio: ricambio profondo con 46 volti nuovi e solo 34 riconfermati. Tra gli esclusi almeno per ora i recordman di preferenze di Forza Italia, i milanesi Gallera e Altitonante, ma anche i “ciellini” Giovanati, Barucco e Carzeri e 14 consiglieri della Lega che vede dimezzare la sua rappresentanza rispetto al 2018, così come la stessa Forza Italia. A sorpresa il Pd conquista due consiglieri in più del 2018: tra gli eletti dentro il cattolico Cova sostenuto discretamente da Piazza Fontana, successone per il giovane Paolo Romano che viene dalle periferie e al congresso sostiene la Schlein, primo degli eletti con oltre 9mila voti.
Non ce la fa invece il medico Michele Usuelli, di +Europa ma traslocato nella civica di Majorino in dissenso con i vertici nazionali. Da notare che Majorino fa meglio di Gori (34% contro 29% del sindaco di Bergamo cinque anni fa), a riprova che il teorema del “candidato centrista che vince” non sempre funziona.
Tra gli eletti del terzo polo passano il gran navigatore Manfredi Palmeri (nella civica) e la milanese Laura Noja che lascia al palo gli uscenti Elisabetta Strada e Gianmarco Senna fuoriuscito dalla Lega, ma anche il giovane Filippo Campiotti nonostante i 2mila voti di preferenza. Delude la Moratti con meno del 10% complessivo. La ex sindaca vince solo a Fortunago, piccolo comune del pavese di soli 381 abitanti, dove ottiene il 61% dei consensi: troppo poco per chi era partita con tante ambizioni e dopo una campagna elettorale molto dispendiosa.
Ma la sorpresa assoluta del voto è la Lista Fontana, che triplica i voti rispetto al 2018 e conquista ben 5 consiglieri. Voti di stima personale verso il presidente uscente? Certamente, ma c’è anche un certo voto cattolico identitario che fa eleggere due consiglieri: il milanese Carmelo Ferraro e il brianzolo Jacopo Dozio che già definiscono “il miracolato” perché eletto con soli 93 voti di preferenza mentre restano fuori candidati con migliaia di voti. Stranezze della legge elettorale su base provinciale.
Come sarà la nuova giunta Fontana? Difficile dirlo oggi. I giochi a incastro dipendono dal nodo sanità: se resterà Bertolaso, tecnico in quota alla Lista Fontana, Fratelli d’Italia chiederà almeno un posto in più dei sei o sette assessori di cui è accreditato ora. Quasi certa per i meloniani la presidenza del consiglio regionale che potrebbe andare agli uscenti Lucente o Mazzali mentre al recordman di preferenze Garavaglia (area Mantovani) potrebbe andare un posto da sottosegretario. Pressoché impossibile un posto in giunta per il cattolico Matteo Forte, entrato per ultimo. Più chance per Raffaele Cattaneo nonostante sia rimasto fuori sia a Milano che a Varese con quasi 2mila voti di preferenza. Sempre che la mina vagante Sgarbi non preferisca Milano a Roma.
È proprio di Cattaneo un accorato appello all’unità di chi si rifà agli insegnamenti di don Giussani. “Un’unità non calata dall’alto ma desiderata da tutti e costruita dal basso altrimenti siamo condannati all’insignificanza”. Caustico il commento di Luigi Patrini, già sindaco di Gallarate e da sempre fautore della riaggregazione dei cattolici. “Ma chi tra noi si vorrà candidare alle elezioni – scrive sulla Prealpina di oggi (ieri, ndr) – accetterà di avviare altri più giovani su un percorso che lo porterà ad essere sostituito? Avrà il coraggio di ritirarsi senza pretendere di restare sempre in carica perché ‘lui è il più bravo e il più esperto’? E chi farà le liste?” (tradotto, chi avrà l’autorità di dire: tu sì, tu no, tu qui, tu là?).
In sintesi, per fare l’unità ci vuole il desiderio di farla ma anche un metodo per “gestire la convivenza” e le legittime aspirazioni di ciascuno.
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