Negli ultimi giorni da Cina, Europa e Stati Uniti sono arrivate notizie politiche, con ricadute economiche, importanti. La più recente è il ritiro di Joe Biden dalla corsa per la Casa Bianca. Resta da capire chi tra i Democratici affronterà a novembre Donald Trump, che ha già spiegato come intenda perseguire la reindustrializzazione degli Stati Uniti. E mentre la settimana scorsa l’Ue decideva di andare avanti con il Green Deal targato von der Leyen, a Pechino si concludeva la riunione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista cinese, che nel comunicato finale ha posto l’accento sull’importanza della transizione ecologica per gli investimenti e la politica industriale. Come sottolinea Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «lo scenario cambia sempre più rapidamente. Vedremo come evolverà negli Stati Uniti e in Europa. Per quanto riguarda la Cina, penso che stia in realtà cercando di cambiare tutte le carte in tavola, per esempio tramite la creazione di una moneta del Sud del mondo, in antagonismo col dollaro, per la quale ha di fatto tutte le infrastrutture del caso pronte, nonché molte riserve auree, considerando quelle di tutti i Paesi Brics».
La Cina sta aspettando di capire come andranno le presidenziali Usa, tenendo conto che a Taiwan si teme di non essere più così “protetti” da Washington nel caso di vittoria di Trump?
Credo che Trump porterà avanti la sua linea di isolazionismo, secondo la quale chi vuole la difesa americana la deve pagare. Del resto non viene ricordato mai abbastanza che per l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale erano state previste delle contropartite, che non vennero allora rivelate, ma che comprendevano basi militari americane nelle isole dei Caraibi a protettorato inglese, oltre che la cessione di alcuni brevetti industriali.
Quindi, l’atteggiamento di Trump non rappresenta una novità per gli Stati Uniti…
No, si tratta di una vecchia linea americana. Trump non nutre un interesse particolare per l’Europa in quanto tale, semmai è più interessato al raggiungimento di una sorta di accordo con Russia e Cina per fare in modo che il Sud del mondo non si espanda troppo.
Per la Cina sarebbe, quindi, meglio che vincesse Trump, ma per l’Europa no.
Probabilmente per Pechino sarebbe preferibile una vittoria di Trump, che per l’Europa comporterebbe quanto meno la necessità di cercare di raggiungere al più presto una pace con la Russia, dal momento che da sola non sarebbe in grado di portare avanti un conflitto di lunga durata, sia dal punto di vista dell’arsenale militare che delle risorse finanziarie necessarie.
Trump ha già illustrato un piano di reindustrializzazione americana ancora più forte dell’Inflation reduction act di Biden. Un problema in più per l’Europa?
Diciamo che se ci sono grandi gruppi europei che prevedono di fondare il loro sviluppo dei prossimi 10-15 anni sulla domanda americana dovranno calibrare al meglio la loro strategia, perché probabilmente gli verrà chiesto di spostare oltreoceano il proprio quartier generale.
Pensa che von der Leyen abbia trascurato troppo i temi economico-industriali nel suo discorso programmatico?
Forse sì, anche perché ha dimostrato già di non essere particolarmente sensibile alle questioni economiche. L’Europa ha perso il primato in molti settori negli ultimi 20 anni, penso, per esempio, all’industria farmaceutica. L’ultima industria di punta rimasta è quella automobilistica che però, a causa delle scelte della stessa von der Leyen e della Commissione uscente, sembra destinata a soccombere di fronte alla concorrenza cinese nell’elettrico. Ci si è accorti troppo tardi dell’errore compiuto e si è provato a rimediare introducendo i dazi alle auto elettriche cinesi.
Bastano questi dazi?
No, anche perché non pare esserci ancora un vero mercato per l’elettrico in Europa. Banalmente mi sembra difficile che si possa costruire una rete efficiente e capillare per la ricarica delle batterie nei tempi che sono stati imposti dallo stop alle vendite di auto a motore endotermico.
Quello che ha definito un errore non è stato quindi corretto e, anzi, con il discorso programmatico di von der Leyen della scorsa settimana sembra confermata la volontà di proseguire sulla strada intrapresa.
È così. Penso che probabilmente la nuova Commissione si troverà prima o poi costretta a spostare il traguardo più avanti di qualche anno o ad apportare dei correttivi o a stabilire delle nuove deroghe.
I singoli Paesi, pensiamo alla Germania, sembrano in difficoltà nel rilanciare l’industria. Se l’Europa non metterà a punto una strategia industriale chi ci penserà?
Verrebbe da rispondere che non ci penserà nessuno, resta questo buco e devo anche dire che al momento sembra che in Europa siamo felicemente orientati alla crescita dello zero virgola, che è più grave nei Paesi del Nord che in quelli del Sud. La sensazione generale è che il nostro continente sia, quindi, una delle parti deboli nello scacchiere globale.
Tra l’altro la Germania sembra non voler usare il bilancio pubblico per investimenti che potrebbero tornare utili non solo a se stessa…
Si parla tanto delle nostre difficoltà con il Pnrr, ma la Germania, purtroppo, non è amministrativamente in condizioni tanti migliori delle nostre per realizzare investimenti efficaci.
(Lorenzo Torrisi)
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