“Non sono tra quelli che pensano possa esserci una caduta del governo sul nodo della riforma della prescrizione. Ma se fino a ieri puntavo secco su una vittoria del Conte 2, in virtù delle capacità di mediazione del premier, oggi vedo una partita da tripla, aperta a qualsiasi risultato. E questa situazione, incerta e confusa, preoccupa anche il Capo dello Stato”. Così vede l’attuale congiuntura politica Fabrizio D’Esposito, notista politico del Fatto Quotidiano, secondo il quale il fatto rilevante è la decisione di Di Maio di portare il M5s in piazza, riaffermando con forza la scelta identitaria.



Le dure schermaglie sulla prescrizione sono un ostacolo vero sulla strada del governo? C’è un rischio deragliamento?

Il pensiero generale è che il governo non possa cadere, perché si regge sulla paura che torni al potere Salvini e sulla voglia di rimanere in Parlamento di tanti deputati e senatori. E tutto questo farebbe pensare a un esito non traumatico di questa vicenda. A mio avviso, però, l’elemento nuovo è il ritorno di Di Maio che invoca la piazza.



Perché?

Questa decisione porta a un inasprimento dello scontro. Più che a una mediazione, ci troviamo di fronte, da un lato, a Di Maio, a Bonafede e ai Cinquestelle che dicono “non si tocca nulla”; dall’altro, Italia Viva a cui non va bene qualsiasi proposta di mediazione – e ora, se non vado errato, siamo al lodo Conte bis – che non preveda il rinvio, il congelamento della misura. Stento a immaginare una soluzione pacifica. Poi se questo può comportare una crisi di governo, al momento non lo so.

Si confida ancora nelle capacità di mediazione di Conte?

Fino a ieri pensavo che queste capacità trovassero sostegno nei Cinquestelle, mi pare invece di capire che la piazza di Di Maio possa esacerbare il confronto. Se prima avrei puntato secco sulla vittoria del Governo e sul fatto che non si sarebbe andati alla crisi, adesso vedo una partita da tripla, aperta a qualsiasi risultato.



Di Maio porta i Cinquestelle in piazza per difendere i tagli ai vitalizi e per manifestare contro chi vorrebbe una restaurazione votando contro le leggi grilline. Prova di forza per serrare i ranghi su temi identitari o segnale di debolezza?

Non dimentichiamoci che lui si è dimesso 15 giorni fa, probabilmente approfittando di un momento di debolezza generale. Non vedeva competitor in grado di insidiare la sua leadership e, come confermano alcuni all’interno del Movimento, lo ha fatto per non perdere la leadership morale del M5s.

Qual è ora il suo disegno?

Ritornare in sella dopo aver spiazzato tutti con le sue dimissioni. Nel frattempo non sono emerse candidature alternative, anche se per me c’è un solo competitor vero per Di Maio, ed è Conte, ma il premier non può scendere in pista solo per fare il capo del M5s. Inoltre Di Maio sembra intenzionato a imporre la sua linea dura anche alle prossime regionali: i Cinquestelle sono sempre più rinserrati su una posizione isolazionista. Di Maio vuole incentivare la spinta identitaria, scavalcando anche il reggente Crimi.

Non rischia di essere una mossa suicida? Finora i grillini sono stati spolpati da destra, se continueranno a correre da soli non finiranno con l’essere mangiati anche da sinistra?

Premesso che ancora non sappiamo se poi veramente alle regionali correranno da soli o meno, io penso che il 5% conquistato in Emilia-Romagna – dove si giocava un’elezione win-win, in cui ha prevalso la capacità di attrarre voti da parte del candidato più forte in grado di battere Salvini – corrisponda al 14-15% a livello nazionale. Le regionali quindi possono essere un test, ma anche qui non so come andrà a finire. La sensazione è che la guerra intestina nei Cinquestelle tra chi vuole un accordo riformista a sinistra e chi si batte per una scelta isolazionista avrebbe dovuto essere l’argomento degli Stati generali, ma poi questi Stati generali sono stati rinviati e per adesso a prevalere è la piazza invocata da Di Maio.

Navigheremo a vista ancora per un po’, anche a livello politico?

Siamo alle prese con una fase politica alquanto incerta e confusa. E tornando sul nodo della prescrizione, penso che il duello si inasprirà fino al punto in cui uno dei due tra M5s e Italia Viva ripiegherà le carte perché ha bluffato.

Più M5s o più Italia Viva?

Penso più a Italia Viva, a meno che non voglia scomparire del tutto.

In questo scenario, che cosa fa il Pd? Riuscirà a dettare la linea e a sfruttare la debolezza dei Cinquestelle?

Il Pd vuole sì rilanciare la linea del governo, ma per quanto si possa parlare di fase 2 e di cronoprogramma siamo tutti impiccati a questo nodo della prescrizione. Comunque, come ad agosto, i due soggetti che più hanno da guadagnare da tutto questo sono Salvini, che può vincere in caso di elezioni anticipate, e Zingaretti. Chiaro che, senza un’alleanza ampia anche con il M5s, il suo centrosinistra non va da nessuna parte e tanto meno il Pd ha recuperato una posizione maggioritaria, visto che viaggia nei sondaggi intorno al 20% o poco sopra. Detto questo, Zingaretti non ha mai nascosto di non aver paura delle elezioni anticipate.

La partita della prescrizione è l’ultimo treno su cui può saltare Renzi per conservare un po’ di visibilità politica?

Renzi sta costruendo il partito che aveva già in mente nel 2012: quando cominciò la sua scalata al Partito democratico, disse che voleva conquistare i voti dei berlusconiani delusi. Da otto anni è fermo lì. Renzi ha in testa un centro che parli a tutti, ma per il momento è un centrino.

C’è chi dice che lo scontro sulla prescrizione sia solo uno specchietto per le allodole, perché la partita vera si sta giocando sotto traccia sulle 400 nomine pubbliche, una partita che si chiuderà in primavera. Che cosa ne pensa?

La partita delle nomine esiste, certo, e non viene mai persa di vista, però quando una battaglia, oggi sulla prescrizione come ieri sulla Tav, assume i contorni di una affermazione identitaria tutto il resto finisce in secondo piano.

Nel centrodestra sta emergendo una competizione tra Salvini e Meloni. Con quali riflessi sulle prospettive del centrodestra?

In una logica elettorale che va verso il proporzionale, nel centrodestra ci sono tre leader che non si sopportano tra di loro, ma sono costretti a stare insieme. Fratelli d’Italia è in crescita, ormai a doppia cifra, perché ha assorbito completamente la diaspora di An.

E Salvini?

Salvini populista non ha ottenuto la spallata e già quando è stato varato il governo giallo-verde era il “populista cattivo” da tenere sotto controllo. Ancora oggi è una sorta di oggetto oscuro per tutte le cancellerie internazionali e per i poteri forti di questo paese. È però forte nel consenso popolare e andrà avanti per la sua strada, anche se l’onda dei consensi sta rallentando. La partita nel centrodestra va guardata con occhiali nuovi, perché Berlusconi non è più centrale. E dobbiamo chiederci: perché Giorgetti torna in pista accreditando una Lega più moderata? Salvini vuole certamente andare a Palazzo Chigi, tuttavia la strada è ancora lunga.

E se si andasse a votare solo nel 2023?

Bisognerà capire se e come resisterà il consenso di Salvini. Per lui sarà una lunga traversata nel deserto.

Dopo il referendum del 29 marzo sul taglio dei parlamentari, la maggioranza giallo-rossa andrà avanti sul suo progetto di legge elettorale proporzionale?

Penso proprio di sì, non vedo alternative.

(Marco Biscella)

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