In Italia, come spesso è accaduto in passato (ma mai in termini tanto paradossali), esiste un Governo ufficiale suffragato da un voto parlamentare di fiducia e, poi, un “governo ombra”.

Non, però, il tradizionale governo ombra dell’opposizione quale proposta politica alternativa. Bensì un esecutivo nell’esecutivo: un “governo ombra” interno al Governo ufficiale (primo paradosso), guidato dal più importante dei ministri del Governo legittimamente costituito (secondo paradosso), che opera indisturbato, secondo la prassi istituzionale (convocazioni e conferenza stampa ufficiali), all’interno degli stessi palazzi governativi (terzo paradosso).



Una “matrioska istituzionale” emblema di una maggioranza dalla doppia realtà: quella dei numeri parlamentari e quella dei sondaggi.

Così l’incontro ufficiale del vicepremier legista con le 43 sigle sindacali, non curante dei ruoli e delle funzioni degli altri colleghi di Governo, appare la prova provata di un Matteo Salvini in un cul de sac, costretto a fare i conti da un lato con un ruolo sempre più marginale rispetto al Governo dell’asse Di Maio-Conte-Mattarella-Tria e, dall’altro, con l’impossibilità di ottenere le elezioni anticipate in caso di apertura della crisi.



Del resto il dettato costituzionale appare chiaro: in caso di crisi, prima di sciogliere le Camere, il Presidente della Repubblica è tenuto a verificare con proprie consultazioni o direttamente in Parlamento l’esistenza di una maggioranza. Solo dopo tale verifica la Carta costituzionale, all’art. 88, concede al Quirinale la facoltà di sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni.

Ed è su questo grave scoglio che la nave leghista rischia di fare “Caporetto”. Infatti, al di là delle dietrologie su fantomatici accordi Pd-M5s a livello europeo, in Parlamento non ci sono i numeri per un ritorno alle urne.



In altre parole: se Matteo Salvini dovesse togliere la fiducia a Conte, un eventuale Conte bis (o un “Governo Fico”, con il presidente della Camera eletto – è sempre bene ricordarlo – anche con i voti di Forza Italia) troverebbe quasi sicuramente i numeri per una consistente fiducia.

Figuriamoci se i renziani (la maggioranza dei parlamentari Pd tanto al Senato quanto alla Camera), adesso che le liste sono in mano a Zingaretti, penserebbero sul serio a mollare l’osso di uno scranno parlamentare sicuro. E figuriamoci se – sulla sponda opposta – tra i più “navigati” azzurri vi sia qualcuno disposto a sacrificare il posto con la quasi certezza di non poter più tornare in Parlamento. E così per molti dei 5 Stelle già al secondo mandato o per molti dei “centristi” eletti (per il rotto della cuffia) nelle varie compagini e poi confluiti nel Gruppo Misto.

Morale: le elezioni sono un miraggio… per tutti!

Così quella che dopo il 26 maggio, con il grande successo alle europee, sembrava essere un’inarrestabile cavalcata trionfale verso un “Governo Salvini” si sta rivelando un vero e proprio “Calvario”: Russiagate, rafforzamento del Governo Conte, protagonismo di 5 Stelle a livello europeo (e chissà, forse italiano) e solchi profondi con il Cav ed il Colle.

Il logoramento è servito!