In Russia il non-detto da Putin nel discorso del 9 maggio è stato forse più importante delle parole pronunciate. Nessuna mobilitazione generale, nessuna dichiarazione di guerra, e pochi riferimenti strategici. Un discorso volontariamente sobrio, e ciò è di per sé una strategia, che ha riaffermato l’origine del conflitto in Ucraina nello “sfortunato fallimento del dialogo Russia-Nato nel trovare una soluzione per una nuova architettura di sicurezza in Europa”.
Questa affermazione, non nuova, dovrebbe essere presa in seria considerazione da chiunque pensi di voler raggiungere una tregua e poi una pace. È un punto di partenza essenziale nonostante la realtà atroce della guerra sia andata ben oltre.
Il secondo punto detto in più passaggi tocca la dignità della nazione russa, che non può essere delegittimata, come la cancel culture occidentale sta facendo da ben prima del 24 febbraio, perché sarebbe un’umiliazione inaccettabile. Il riferimento di Putin era, nel discorso, al ruolo svolto dall’armata rossa per liberare l’Europa dal nazifascismo. Un ruolo che, nonostante la Guerra fredda, è sempre stato riconosciuto alla nazione russa, tant’è che siede a pieno titolo al Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’umiliante voto per l’esclusione della Russia dal Consiglio Onu per i diritti umani e prima dal Consiglio d’Europa, fortunatamente non è stato seguito, nonostante i tentativi anglosassoni, da un voto per l’esclusione della Russia dal Consiglio di sicurezza dell’Onu (anche perché era proceduralmente poco probabile).
E questo è il secondo punto essenziale per chi ha a cuore una tregua e poi la pace: la Russia sconfitta e umiliata non conviene a nessuno. Non conviene agli atavici antirussi dell’Europa orientale e del Baltico, non conviene all’Europa occidentale, e neppure agli Stati Uniti, nonostante le dichiarazioni bellicose degli Austin e Nuland.
In Occidente, finora, solo Macron e il papa sembrano aver capito, il primo forse per opportunismo nazionale, che la Russia va sì fermata per riportarla al tavolo negoziale ma non sconfitta né umiliata. Chi si farebbe carico di una Russia a pezzi con 6mila testate nucleari a disposizione dei gruppi più fanatici? Chi eviterebbe la frammentazione di centinaia di nazionalità che cercherebbero di crearsi una loro repubblichetta anche nel vasto spazio ex sovietico?
Nel suo discorso, Putin ha richiamato il ruolo di “avanguardia permanente” della Russia da almeno un secolo: prima le rivoluzioni, poi la guerra al nazismo, negli anni 80 la sconfitta del regime comunista interno, e, oggi, la sconfitta del regime imperialistico liberale. L’importanza di questa affermazione, al netto della dose di messianismo, sta nel riconoscere un obiettivo che non è l’Ucraina ma un sistema, quello dell’imperialismo liberale, che la Russia percepisce come un nemico.
Anche in questo caso, chi crede di lavorare per raggiungere una tregua e poi una pace farebbe bene a tenerlo a mente. Il problema non è l’Ucraina o gli ucraini, come la propaganda di Zelensky incessantemente ci racconta, ma il perché l’Ucraina e gli ucraini sono diventati un problema per la Russia. Nell’intervista di Edward Luce a Henry Kissinger pubblicata il 10 maggio dal FT, Kissinger dice chiaramente che la contrapposizione autocrazia-democrazia e l’annessa pretesa occidentale di regime change nelle autocrazie è un grave errore: “Dobbiamo essere consapevoli delle differenze di ideologia e di interpretazione che esiste. Dovremmo usare questa coscienza per applicarla nella nostra analisi dell’importanza di problemi man mano che sorgono, piuttosto che farne il principale problema di confronto, a meno che noi siamo pronti a fare del cambio di regime l’obiettivo principale della nostra politica. Data l’evoluzione della tecnologia e l’enorme distruttività delle armi che ora esistono, [cercare un cambio di regime] può esserci imposto dall’ostilità degli altri, ma dovremmo evitare di generarlo con i nostri atteggiamenti”.
Riguardo alle conseguenze di questa guerra “nata probabilmente da un “errore di calcolo di Putin convinto da una sorta di fede mistica nella storia russa” che lo ha fatto “sentire offeso non da qualcosa che noi occidentali abbiamo fatto, ma dall’enorme divario che si è aperto tra la Russia e l’Europa. L’offesa si è materializzata in minaccia perché la Russia ha visto l’assorbimento di tutta l’area dell’Europa orientale nella Nato”.
Tutto questo non può scusare quel che la Russia ha fatto, aggredendo un Paese la cui sovranità era riconosciuta internazionalmente, ha aggiunto Kissinger. Ormai quel che è stato non può essere disfatto, per cui “tutti devono tener conto che quando si arriverà al momento di un accordo non stiamo tornando alla relazione precedente ma a una posizione per la Russia che sarà diversa, non perché lo esige l’Occidente ma per la loro stessa scelta”.
In conclusione, dice ancora Kissinger, “la strategia dell’escalation deve essere calcolata con estrema attenzione alle linee rosse interne della parte opposta. Ciò per evitare scelte estreme che comunque non devono essere tollerate”.
Mentre il tono pacato di Putin, apparentemente rivolto ai russi, può anche essere diretto a dividere il fronte transatlantico, facilitando il compito di Macron e Scholz, “l’Europa deve capire cosa è, oppure nel mondo multipolare sarà schiacciata”, dice lo storico Andrea Graziosi.
Per capirlo, l’Europa ha scelto una consultazione popolare attraverso un approccio partecipativo “attivo” dei cittadini, cioè dal basso verso l’alto. La Conferenza sul futuro dell’Europa ha avuto l’obiettivo di rilanciare il progetto democratico europeo e dell’Unione Europea, andando a coinvolgere tutti i cittadini europei e la società civile, non precludendo una revisione dei trattati fondanti la stessa Ue. La partecipazione alla Conferenza è stata aperta a tutti i cittadini europei che si registravano sula piattaforma partecipativa. Dai 45mila utenti registrati, 14mila idee condivise e 5.500 eventi organizzati, sono state estratte le parole chiave che hanno composto il rapporto sottoposto alla plenaria conclusiva (composta da un mix di istituzioni europee e nazionali, cittadini e società civile) del 30 aprile 2022 che ha approvato 49 proposte e 300 raccomandazioni in 9 aree tematiche (Cambiamento climatico e ambiente, Salute, Un’economia più forte, giustizia sociale e occupazione, L’Ue nel mondo, Valori e diritti, Stato di diritto, Sicurezza, Trasformazione digitale, Democrazia europea, Migrazione, Istruzione, cultura, gioventù e sport).
Accanto a molti sogni sono state approvate idee concrete “per un’Ue più efficiente” che hanno convinto il presidente di turno del Consiglio europeo, Emmanuel Macron, il 9 maggio scorso a sostenere la riforma dei trattati convocando un’apposita Conferenza che dovrebbe essere decisa dal Consiglio europeo del prossimo giugno. Ma da giugno la Francia passerà il testimone alla Repubblica Ceca, che insieme a quasi metà dei Paesi membri dell’Ue (13) si oppone all’avvio di una procedura per cambiare i trattati che regolano il funzionamento dell’Unione, particolarmente la questione del voto all’unanimità in aree chiave del meccanismo decisionale europeo: “Non sosteniamo tentativi sconsiderati e prematuri di avviare un processo di modifica del Trattato di Lisbona”, si legge nel testo firmato da Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania, Slovenia e Svezia.
Sul tavolo, nonostante l’apparente unità dell’Ue, restano le tensioni provocate dalla guerra in Ucraina, dalla gestione dei flussi di sfollati e di migranti, di un ulteriore allargamento dell’Unione a Ucraina, Moldova, e Georgia, oltre alla conclusione di quello avviato con i paesi dei Balcani occidentali e di quello congelato con la Turchia.
Macron, oltre all’improbabile riforma dei trattati, ha aggiunto la fumosa proposta di creare una nuova “Comunità politica europea” , una sorta di confederazione “del cuore” che permetta ai Paesi “membri e non membri dell’Ue” che lo desiderano di sentirsi parte della condivisione di valori comuni. Un’offerta estesa anche a “chi se ne è andato”, ha aggiunto Macron. Un escamotage per disinnescare le pericolose dichiarazioni a favore di procedure d’adesione accelerate avanzate dalle presidenti del parlamento europeo, Roberta Metsola, e della Commissione, Ursula von der Leyen.
Alla conferenza stampa conclusiva della festa del 9 maggio era palpabile l’imbarazzo dei rappresentanti istituzionali europei, che temono lo stallo dell’Unione oltre all’aggravarsi di tensioni dovute alle conseguenze economiche e sociali delle misure sanzionatorie adottate contro la Russia. A giusto titolo, Macron ha scongiurato che la guerra aumenti in intensità e che possa allargarsi oltre l’Ucraina. Probabilmente era a conoscenza delle notizie che provengono dalla Moldova, dove secondo Limes sarebbe in corso un golpe bianco pro-russo. Nonostante i soliti editoriali euro-ottimisti che vedono “una festa con qualcosa da celebrare”, lo stallo nelle riforme dei trattati, la guerra, l’imminente crisi energetica e la crisi economico-sociale rischiano di travolgere l’intera Unione Europea.
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