Rilancio sì, ma sotto stretta sorveglianza europea. Può essere questa la sintesi della prima giornata degli “Stati generali dell’economia” aperti da Giuseppe Conte nella villa Doria Pamphili. L’appuntamento serve a predisporre un piano di rilancio tale da mettere l’Unione in condizione di fidarsi dell’Italia e di essere sicura di come saranno spesi i soldi. Proprio questi ultimi sembrano però allontanarsi, perché l’intesa a 27 non fa progressi: “sul Recovery Fund non credo che il Consiglio Ue sarà risolutivo ma faremo in modo che sia importante” ha dovuto ammettere ieri Conte.
Il premier è in sella a un’Italia economicamente e politicamente bloccata. E a bloccarla è innanzitutto il Pd, insieme ai tanti che puntano al Colle nel 2022 inseguendo “la propria ipotesi personale senza preoccuparsi di un progetto politico”, dice Calogero Mannino, politico Dc più volte ministro.
Onorevole Mannino, due battute su questa giornata di inaugurazione degli “Stati generali”.
Lo spettacolo apparentemente seducente, le falle in scena molteplici e visibili, a partire dall’assenza delle opposizioni. Quindi il tutto si riduce alla selezione degli argomenti che Conte farà del piano Colao.
Che cosa farà secondo lei il presidente del Consiglio?
Ma cosa potrà fare… Se invece di tentazioni alla Luigi non XIV ma XVI, che evidenziano una scivolosa deriva già fatale a tutti gli uomini della Provvidenza, con maggiore semplicità e realismo Conte avesse presentato il suo catalogo, non quello di Figaro, aprendo la discussione sul ventaglio di proposte da portare nelle sedi istituzionali competenti, sarebbe stato meglio.
Ma qual è la sede istituzionale“competente”?
Quella decisiva è a Bruxelles, perché è là che saranno prese le decisioni di finanziamento. Ormai avanza l’eurocentrsmo…
Certo le parole di Visco sono un macigno: “spero che ora arrivino atti concreti”.
Il governatore è stato anche più severo. Ha richiamato alla realtà di un’economia che inevitabilmente fatica a riprendersi e sarà anche peggio se non verrà sostenuta in modo adeguato ed efficace. Il tempo delle parole termina.
L’equilibrio che finora ha tenuto in piedi il governo Conte tiene ancora?
Soffiano un po’ di venti, ma non mi pare ancora che diventino tempesta perché chi soffia dopo un po’ si ferma.
Non c’è alternativa, giusto?
No, non c’è. La vita di questo governo è legata alle decisioni del Pd, ma il Pd di Zingaretti, che è quello della larga maggioranza del partito, compreso Franceschini, è un Pd che ha scelto di stare in questo governo.
Nonostante i provvedimenti presi siano inadeguati e si avvicini una crisi economica senza precedenti.
Ci dev’essere un disegno non so se ingenuo o cinico. Temendo di perdere in caso di voto, il Pd preferisce differire la data della sconfitta. Ma invece la data della sconfitta si avvicina, perché questa questa crisi economica negli effetti politici investirà fondamentalmente il Pd.
Forse nello stato maggiore dei dem si pensa che investirà Conte e la sua squadra di governo.
Sarebbe un grave errore di valutazione, perché la gente ha capito il gioco. La reazione dell’elettorato sarà contro il Pd in quanto ha tenuto in vita questo governo, in quanto “è” questo governo.
Come vede i rapporti Pd-M5s?
Il Pd vede nei 5 Stelle o un partito alleato, o una formazione da riassorbire. Ma è un’illusione. Come quella di chi – ad esempio Serra – dice che nel Pd parla il partito di centro. Questo luogo non lo può occupare l’ex Partito comunista italiano.
E perché no?
Perché è un’impossibilità ontologica; illudersi del contrario è ripetere un errore di cui abbiamo già visto i risultati. È la riproposizione costante, lungo trent’anni, dell’idea di Berlinguer che il Pd possa mettersi al centro in compagnia di un alleato minore con cui prendere i voti dei moderati senza rinunciare a fare la sinistra. Per di più come dimostra l’esperienza di questi 30 anni non più anticapitalismo, anzi in un passaggio liberista.Nel 1992 questa teoria D’Alema e Violante l’hanno elaborata nella forma della spaccatura della Dc e della liquidazione del Psi. Si sono ritrovati Berlusconi. Gli italiani vogliono un partito di centro, ma non subordinato all’ex Pci.
Dove sta l’inghippo?
Nel Pd non riescono a capire che possono essere il partito della sinistra solo se si ripensano radicalmente, non come partito post-comunista ma come partito neosocialista. Il fatto è che il socialismo non si improvvisa, né basta sfogliare un po’ di Thomas Piketty, e magari venisse letto…
Viene in mente la socialdemocrazia.
A sinistra la linea di maggiore accostamento alla democrazia liberale è stata storicamente rappresentata proprio dalle socialdemocrazie. Altrimenti si fa un’operazione di corto respiro o – peggio – un imbroglio.
Conte nega di voler fare un suo partito, anche se le stime lo accreditano di un potenziale 14%. Cosa farà?
A Conte non difetta l’intelligenza e dovrà scegliere se poter ripetere l’errore di Monti, oppure rimanere come ponte tra Di Maio e il Pd. Sa che alla fine controllerà M5s nonostante i possibili giochi di Di Maio, e si espanderà togliendo voti al Pd.
Qual è il problema maggiore di Conte?
Sarà chiamato a rispondere della crisi.
Colao formalmente è stato chiamato da Conte, ma è evidente che ha fatto tutto con il beneplacito di Mattarella. Come si colloca nel quadro politico?
Come l’annuncio di una possibile alternativa a Conte largamente superata dai fatti. Da parte sua, Colao non ha presentato altro che un catalogo di proponimenti, di buone intenzioni, non sempre riconducibili a logiche unitarie.
Ad esempio?
Gli elementi di politica fiscale son tutti estremamente discutibili. Non puoi aprire al rimpatrio di capitali e mettere una tassa sui prelievi di conto corrente. Così colpisci i consumi della classe lavoratrice e dei ceti medi.
Cosa manca di più?
Un sistema fiscale che dia la certezza che tutto cammina in regola. Dalla riforma tributaria di Vanoni è venuto lo sviluppo dell’Italia degli anni 50. Visentini e chi è venuto dopo di lui hanno complicato un impianto disegnato con estrema linearità. Cosa potrà venire da Colao e Conte?
Ha detto che il problema maggiore di Conte è la crisi economica. Non crede che la logica sia chiara? Se la crisi spazza via Conte, c’è Colao.
Questo è il punto che non permetterà mai di risolvere la crisi, non solo economica ma anche politica: andare ancora verso una soluzione extraparlamentare.
Non crede che Mattarella possa volere proprio questo?
Mattarella può volere questo e magari vorrà questo, ma, se così fosse, non è quello che serve al paese.
Che cosa serve all’Italia?
Con l’euro gli stati nazionali hanno ceduto la loro sovranità monetaria alla Bce; con il Recovery Fund necessariamente trasferiamo alla Ue la sovranità sulla spesa per investimenti. È l’Unione Europea che lentamente si va costruendo. L’Italia è al bivio: o vi contribuisce da Stato vassallo, o da Stato che concorre a farla bene.
Vi contribuiremo da paese ricco o da paese povero?
La Merkel si è convinta che senza l’Europa non esiste più la Germania stessa. E che l’Europa si può fare non solo con la Francia ma anche e sopratutto con l’Italia. Non solo. Gli Stati Uniti possono resistere alle tentazioni egemoniche che la Cina va sviluppando solo attraverso un rafforzamento del rapporto con l’Europa.
In febbraio abbiamo parlato di Lorenzo Guerini (Pd) come possibile premier in caso di crisi. Qualche giorno fa lo ha fatto anche La Stampa. È una possibilità?
Se si aprisse una crisi di governo e i 5 Stelle accettassero di rimanere in maggioranza, Guerini potrebbe essere il presidente del Consiglio. È l’unica ipotesi che ragionevolmente si può fare, anche perché il Pd non avrebbe altro da offrire. E Guerini ha credibilità e qualcosa da spendere. Ma il M5s ci sta a cambiare la presidenza del Consiglio?
Lei ne dubita, mi pare.
Bisogna fare i conti col comico. Se ne sta in silenzio ma controlla il partito.
Quanto pesano nel quadro politico i calcoli in vista del rinnovo della presidenza della Repubblica nel 2022?
Stanno tenendo bloccato il paese. Sono sempre memore di una grande lezione di Moro: si ritirò per lasciar passare Leone. Oggi i tanti pretendenti al Quirinale si occupano di questa loro ipotesi personale senza preoccuparsi di un progetto politico.
Compreso chi cerca la riconferma?
Questo io non l’ho detto e non lo penso, anzi credo che Mattarella abbia esclusivamente la preoccupazione del presente. E che comprenda i gravi rischi che il Paese sta correndo.
(Federico Ferraù)
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