Puro trasformismo. Un’alchimia, quella del governo giallorosso, cui manca però la dignità delle operazioni giolittiane. L’ex ministro Dc Calogero Mannino passa in rassegna i principali snodi del quadro politico, dal tatticismo renziano alla legge elettorale, dove Violante – dice Mannino – ha fatto una proposta che potrebbe accontentare quasi tutti. Ma per ora nessuno muoverà un dito, perché modificare il sistema di voto vorrebbe dire liquidare in un attimo il Conte 2. M5s? Mattarella e Napolitano sono gli artefici della sua progressiva scomparsa. E Salvini? Secondo Mannino, se vuole tornare in partita e scongiurare una crisi interna, deve parlare col Ppe. Così proteggerebbe anche se stesso.



La mossa di Renzi è stata un imprevisto per M5s, Pd e governo. Qual è il suo obiettivo?

Io credo che prima ancora di darsi un obiettivo, Renzi abbia preso atto di uno stato di necessità. Pur sapendo di mostrarsi in contraddizione con se stesso, ha lanciato l’idea del governo Pd-M5s per evitare lo scioglimento delle camere.



E quindi per evitare di essere ridimensionato in Parlamento.

Certo. Se si fosse andati al voto, Zingaretti avrebbe fatto le liste. Non solo: in un’eventuale battaglia elettorale, Zingaretti avrebbe potuto cogliere il risultato politico più importante: il ridimensionamento di M5s.

Questo lo stato di necessità. E l’obiettivo?

Ha rapidamente compreso che con la costituzione di una maggioranza Pd-M5s, il Pd a guida Zingaretti, ispirato da Bettini, avrebbe riconquistato spazio a sinistra. Che vuol dire recupero del rapporto con Leu e ripetizione di una classica costante nella storia del Pci e del dopo-Pci: nessun nemico a sinistra. Versione contemporanea del Lenin-gramscismo.



Perché se hai un nemico a sinistra, non sei la sinistra. E Renzi?

Renzi ha capito che si veniva a creare uno spazio al centro e che tale spazio non necessariamente deve giocare contro il Pd, ma addirittura gli può essere indispensabile. In questo modo l’ex premier taglia le gambe a tutte quelle forze centriste che in questi ultimi 25 anni hanno visto gli ex Dc, di sinistra e non solo, aiutare la sopravvivenza del partito post-comunista.

Però queste forze o questi esponenti, quando Renzi era segretario del Pd, stavano con lui.

Allora sì, ma adesso sono diventati sue avversari, da Franceschini a Gentiloni. E quindi, ha ragionato, se il Pd si schiaccia a sinistra avrà bisogno di me al centro. Un ruolo alla La Malfa, per capirci.

Cosa manca a Renzi per governare?

Un progetto per il paese e il consenso necessario.

M5s e Pd devono ringraziare Salvini?

Salvini avrebbe potuto dialogare con il Ppe ma non l’ha fatto, mettendosi in una posizione ostile e confusa. Questo ha costretto i tedeschi ad assecondare il progetto della sua cacciata. Evidentemente l’operazione ha avuto anche altro apporti: penso a certi ambienti della Chiesa e al ruolo, risolutivo, del presidente della Repubblica, peraltro svolto in modo assolutamente corretto.

Nel 2016, dopo la sconfitta al referendum costituzionale, Renzi avrebbe voluto lo scioglimento delle camere ma Mattarella disse no. L’ex premier si è vendicato tre anni dopo, spaccando il Pd dopo il varo del Conte 2. 

Mattarella ha assolto le sue funzioni di presidente della Repubblica con molta correttezza. Il capo dello Stato scioglie le camere quando non c’è una maggioranza alternativa a quella in crisi. Può anche svolgere un’azione di tipo didattico-magistrale rivolta ad agevolare la composizione della nuova maggioranza; e così è stato.

Adesso però il Conte bis, creatura di Mattarella, è totalmente esposto al tatticismo di Renzi.

Credo che Mattarella lo abbia messo in conto. Che Renzi avesse in animo di uscire dal Pd lo capiva chiunque. Mattarella non poteva illudersi che Renzi stesse nel Pd a servire la cadrega di qualcun altro, quella, oltretutto, di chi ha un disegno che lo esclude.

Di Maio vuole il taglio dei parlamentari e contestualmente si parla di un ritorno al proporzionale. Il Pd però ha frenato. Perché?

Perché se si fa una nuova legge elettorale subito dopo cade il governo. Innanzitutto però il Pd ha frenato perché Zingaretti si muove nella prospettiva della sinistra, vagheggia cioè quello che volevano Occhetto, D’Alema e anche Violante, in quel tempo, cioè il maggioritario. Ma un sistema prevalentemente maggioritario c’è stato e porta il nome di Mattarella cioè il Mattarellum.

Salvini vuole il maggioritario, Zingaretti anche. Va bene pure a Berlusconi. Come va a finire questa partita?

Verrà decisa da M5s, che ad oggi non ha idee chiare tranne che su un punto, per mera coerenza: il taglio dei parlamentari. M5s capisce che con una legge maggioritaria diventerebbe un partito vassallo del Pd; per questo non gli va bene, perché vuole mantenere la sua identità.

Qual è questa identità?

Ad oggi è quella impersonata soprattutto da Di Battista. Oggi si è messo da parte, non si sta scagliando né contro Di Maio né contro Grillo, ma lo farebbe. L’altra ipotesi identitaria è quella di Conte. Ma è tutta da vedere.

Che cosa si sta muovendo all’interno dei 5 Stelle?

Conte è alla ricerca di una maggiore valenza politica in termini parlamentari e politici. Vorrebbe diventare il leader dei 5 Stelle. Di Maio difende disperatamente il proprio ruolo. Conte ha avuto l’appoggio di Grillo, ma adesso Grillo è out, e deve stare “garbato” perché al momento giusto bisogna sempre fare i conti con qualche procura. 

E in prospettiva?

M5s, taglio dei parlamentari a parte, ha le idee confuse. Credo che finirà inevitabilmente per preferire il sistema proporzionale. 

Si andrà dunque in questa direzione?

Violante, che nel ’92-94 sosteneva il maggioritario, più funzionale alla “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto e D’Alema, adesso ha un’altra posizione: “a mio avviso – ha detto – un sistema proporzionale con liste brevi e bloccate e con uno sbarramento del 4% è la cosa migliore”. Andrebbe bene a Renzi, a M5s e paradossalmente allo stesso Pd, perché in questo modo Zingaretti, in contraddizione con la linea Prodi, se l’accettasse manterrebbe la sua proiezione a sinistra e potrebbe tornare a dialogare con il partito renziano.

Alla luce di tutto questo, qual è la sua previsione?

Quella di un futuro travagliato. Mattarella ha mostrato di volere fermamente le elezioni a scadenza. Salvini insegue il voto anticipato. Se si fa una legge proporzionale con sbarramento al 4%, il giorno dopo Renzi vuole il voto e il Pd anche. 

Allora si conferma che per allungare la vita al governo è meglio non toccare il sistema elettorale.

È sufficiente discuterne molto, dire che la nuova legge è in gestazione, presentare progetti di modifica, eccetera. Chi vorrà arrivare alla fine della legislatura farà il temporeggiatore. Però tutte queste cose non fanno i conti con un problema.

Quale?

È evidente: il governo di un paese che non cresce mentre cresce spaventosamente il suo debito pubblico. Questo governo è un’operazione trasformista che ha il suo corrispondente speculare nell’operazione trasformista del fu governo gialloverde. Due alchimie cui manca però la stessa dignità delle creazioni giolittiane e mi perdoni Salvemini che lo definiva ministro della malavita. Ma il governo giallorosso è ancor più limitato di quello che lo ha preceduto. Per M5s è una bastonatura. Cosa conta nel governo? Nulla, direi: gli esteri sono presidiati dal presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio, come ha dimostrato la visita di Macron; l’economia è in mano al Pd e a Bankitalia. Le leve principali sono controllate dalle forze europee di maggioranza.

Vuole vedere che l’unico modo di sgonfiare M5s è tenerlo al governo?

Certo. Basterà un anno, un anno e mezzo.

Di chi è questa strategia?

Può essere innanzitutto del Pd. 

Non anche di Mattarella o, perché no, di Napolitano?

Nel profondo della loro mente, sì. La funzione della presidenza Napolitano, pur con stile e modo diverso da quella attuale, non è stata quella di svolgere una funzione pedagogico-educativa verso i 5 Stelle?

Ovvero: istituzionalizzatevi il più possibile. A patto di non rimanere quelli che eravate. 

Non c’è questo rischio: stanno di fatto cambiando e perdendo consistenza.

Non così la Lega.

No, la Lega è un’altra cosa, totalmente diversa. Esposta, però, a un grande rischio. Il ceto produttivo che è la sua base elettorale nel Centro-Nord contesta l’Ue e si lamenta dell’euro, ma investe in euro, vive di relazioni con i sistemi bancari interni all’euro, esporta in euro. Vogliono una politica di sviluppo, sempre nel quadro europeo. Questi ceti non vogliono un Salvini “borghizzato”, preferiscono un Salvini “giorgettizzato”. 

Evoca una crisi interna alla Lega?

Potenzialmente si potrebbe aprire. Salvini dovrebbe abbandonare l’alleanza con Orbán e fare oggi, tardivamente, quello che avrebbe potuto fare l’anno scorso e comunque subito dopo le elezioni europee.

Dialogare con il Ppe?

Sì. A cominciare dalla Csu bavarese. La Cdu avrebbe interesse ad una riconversione della Lega, perché ha perso molte forze dopo che Berlusconi si è ridimensionato. Eppure, Berlusconi si è potuto difendere in questi anni proprio perché ha aderito al Ppe. Ed è stato anche ben remunerato, no?

(Federico Ferraù)

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