Calogero Mannino, ex ministro Dc, in Parlamento per 7 legislature, una lunga odissea giudiziaria ormai alle spalle – 31 anni passati nei tribunali della Repubblica per complessive 14 assoluzioni – è molto preoccupato per l’andamento del Covid. È vero che il governo ha chiuso le zone rosse sulla base di dati vecchi e insufficienti, “ma i dati nuovi potrebbero essere più gravi e portare conseguenze più severe. La situazione è difficile e complessa, i dati di oggi (ieri, ndr) fanno spavento”. Il problema, dice Mannino, è che il governo è totalmente inadeguato, e l’opposizione anche”. E adesso? “Non potrà chiamarsi comitato di salute pubblica, lo si chiami in un altro modo, ma bisogna trovare una soluzione di larga corresponsabilità”.
Non crede che vadano valutati tutti gli aspetti?
Mi rendo conto che le regioni facciano valere gli interessi più immediati che sono sacrificati dal blocco delle attività commerciali sopratutto, ma non vedo quale altro rimedio vi sia, in questa situazione. Perché la salute e la vita delle persone è compito ed impegno politico primario. Peraltro riguarda anche responsabilità e competenze regionali. È assurdo il balletto del disimpegno di fronte ad un problema così drammatico.
Ci sono molte anomalie. Il colore giallo della Campania; il divieto di circolazione, salvo per gli sbarchi in Sicilia.
Sono due delle tante contraddizioni. Vorrei però dire una cosa. Stiamo scontando un problema di cui si ha ancora timore a parlare: la destrutturazione del nostro sistema sanitario. Per affrontarlo negli aspetti delle urgenze immediate e, in prospettiva, nella riconsiderazione di tutta la disciplina e l’organizzazione sanitaria.
Sulla crisi della medicina territoriale si sono versati ormai fiumi di inchiostro.
Ma non si dice che questa destrutturazione viene da lontano, dal momento in cui le sinistre, soprattutto il Pci, imposero un modello di sanità centralizzata, cioè socialista. Il nuovo fulcro divenne l’ospedale. E da quel momento si determinò una corsa verso l’accentramento negli ospedali di tutta l’attività sanitaria e verso la frammentazione delle specializzazioni.
A che cosa è stato dovuto quel cambio di modello?
Alla volontà della sinistra di realizzare un modello politico che stava uscendo fuori dalla storia. Si ricorda Alberto Sordi nel film Il medico della mutua? Al di là del grottesco, l’idea era che la struttura territoriale andasse smantellata perché era una base clientelare della Dc. La centralizzazione ospedaliera apparve la soluzione più direttamente riconducibile al socialismo reale.
E la prima vittima è stata la medicina territoriale.
In conseguenza della centralizzazione ospedaliera avrebbe dovuto vedere una riforma ordinata. Poi è stata soppressa ogni preoccupazione che nel vecchio sistema si riconduceva alle malattie sociali o epidemiologiche. Al livello più immediato, sul territorio, presso ogni singolo Comune operava la strutta del medico ufficiale. È da qui che bisogna riconsiderare la riorganizzazione del sistema sanitario, del quale certamente l’ospedale è parte centrale ma non esclusiva, anzi necessitata dell’integrazione verso il basso.
Come?
Mediante la diffusione sul territorio di studi medici, non per il rilascio di ricette e autorizzazioni farmaceutiche, ma variamente strutturati ed anche specializzati, in modo da rappresentare il servizio medico sanitario di primo livello e quindi essere il filtro per l’ospedale. Poi fino a 30 anni fa in Italia c’erano sul territorio strutture che rispondevano a determinate esigenze sanitarie, in primis a quelle epidemiologiche, a quelle per il contrasto alla tubercolosi, alla malaria e al tracoma. Che oggi non hanno più la medesima portata, mentre l’epidemia è diventato un problema che si ripresenta in forme e tempi diversi. Con l’ingresso della sanità nella filosofia ospedale-centrica quelle strutture sono scomparse.
Come giudica un sistema misto pubblico-privato come quello lombardo?
Meriti e demeriti si bilanciano a vicenda. Il privato ha raggiunto grandi eccellenze e grandi eccellenze sono rimaste nel pubblico, ma la sanità è diventata tutta ospedale e tutta farmacia. Forse non è un caso che anche in Lombardia si stia molto discutendo di medicina territoriale.
Siamo di nuovo in lockdown. Dove ha sbagliato il governo?
Durante la curva discendente ha cominciato a credere al proprio miracolo e a parlare di modello italiano nella risposta al Covid. A palazzo Chigi non si badava alle cose da fare ma all’indice di popolarità del presidente del Consiglio. Nel frattempo il ministro della Salute scriveva un libro per auto-celebrarsi. Sappiamo dov’è finito. Le inadempienze le ha messe nero su bianco con una testimonianza diretta, molto drammatica, Massimo Giannini, direttore della Stampa, quando era in reparto Covid. Ma c’è stato un altro errore grave.
Quale?
Non aver posto a Bruxelles, fin da febbraio scorso, il problema della dimensione europea del contagio. Questo ha indotto Francia e Germania a ritenere che fosse al più un problema italiano, mentre la prima urgenza era quella di coordinare il livello degli istituti sanitari per confrontare e concordare per esempio il trattamento terapeutico. Esigenza assoluta.
Il primo contagiato pare sia arrivato in Italia proprio dalla Germania…
Ma la struttura della sanità tedesca non ripete i limiti di quella italiana. Le sue articolazioni territoriali le hanno consentito finora di dominare il problema.
Tornando al governo?
La sua inadeguatezza previsionale, programmatica e operativa è totale.
L’ultimo Dpcm è stato concepito e varato in un marasma senza precedenti. Quanto può durare tutto questo?
Qui tocchiamo un altro problema. Chi doveva rappresentare l’alternativa ha giocato al minimalismo.
Dunque veniamo all’opposizione.
Salvini e Meloni hanno minimizzato il problema, prima, durante e dopo la prima emergenza. Perché non hanno messo alle strette il governo sulla linea dell’efficienza? In questo modo non hanno rappresentato un’alternativa realistica al Governo Conte e gli hanno fornito un alibi. Salvini, dopo avere lasciato passare il negazionismo, è stato costretto ad ammettere che a Milano e in Lombardia il problema è grave. L’economia non può morire: verissimo. Ma è anche vero che il virus sta colpendo.
Può spiegare meglio dove sta il punto?
L’opposizione ha giocato la partita dell’accusa al governo per il ricorso a strumenti giuridici finalizzati ad un rafforzamento del premier e dell’esecutivo di indole autoritaria.
E non è così?
Sì che lo è. Forse i limiti della Costituzione sono stati oltrepassati. Ma non basta. L’opposizione deve sempre caratterizzarsi per una proposta. Gli italiani devono sapere che cosa faresti tu, che ti candidi a governare il paese, al posto di chi lo sta governando adesso.
In che modo?
Serviva innanzitutto una sollecitazione del massimo livello istituzionale, il presidente della Repubblica, a considerare il limite dell’impostazione scelta dal governo. I governi della Dc non ricorsero mai al Dpcm, nemmeno nelle emergenze più gravi. Usammo sempre il decreto legge.
Lo strumento è ben noto, ma come inchiodare il governo alle sue responsabilità?
Per affrontarne l’esame di un decreto urgente non si faceva l’esame sezionato per competenze, Bilancio, Finanze, eccetera. I rappresentanti delle commissioni erano riuniti in una commissione speciale. La proposta del governo non ci piace? Formuliamo la nostra proposta e si tratta. E garantiamo che in 48 ore si approva il decreto legge.
Lega, FdI e FI hanno dato via libera tre scostamenti di bilancio.
È stato il segno più importante del buonsenso che deve sussistere in un momento così difficile. Doveva continuare su questa linea.
Se il governo non ci sta?
Allora si presenta agli italiani una proposta alternativa. Alternativa significa che l’opposizione scrive i contenuti diversi per il decreto legge! Deve farlo perché anch’essa è governo. L’opposizione a livello nazionale è governo a livello locale. Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli, Marche, Calabria… chi le governa? Senza la capacità di articolare e rappresentare proposte alternative, non semplicemente emulative, non c’è opposizione che possa diventare maggioranza.
Il Quirinale può fare da spettatore come sta facendo adesso?
Ha tenuto una linea molto sobria, nella quale ha garantito al governo gli spazi che il governo ha occupato e usato. Adesso però ho visto che si è posto un problema più stringente.
In che senso?
Non potrà chiamarsi comitato di salute pubblica, lo si chiami in un altro modo, ma bisogna trovare una soluzione di larga corresponsabilità, anche in forme diverse, se si vuole procedere.
Significa una soluzione extra-costituzionale, l’ennesima?
Per nulla. L’extra-costituzionalità è data soltanto dall’uso ed abuso del Dpcm, da procedure che sembrano volere esibire una forma diretta e personale dell’esercizio del potere che, invece, deve essere esercizio della responsabilità.
Così torniamo al balletto maggioranza-opposizione.
Muoversi tocca al governo, ma l’opposizione deve stargli alla pari. Gli italiani devono poter dire: la soluzione non è quella del governo, ma quella dell’opposizione. Perché, attraverso una stretta collaborazione delle regioni con il ministero della Salute e l’Iss, non si arriva ad un protocollo unitario in cui si definiscono le linee terapeutiche possibili da affidare alle responsabilità delle singole entità ospedaliere? Occorre agire subito, perché non c’è molto tempo per evitare il peggio. Oggi giustamente si dice che non si deve morire per Covid ma che non si deve morire per il crollo dell’economia. Il rischio reale è che si avverino i due casi.
Il lockdown differenziato funzionerà?
È un tentativo di procedere con le possibili differenze. Ma è difficile ritenere che Campania e Lazio non diventino entro pochi giorni regioni rosse. Se così non fosse, sarebbe un’assurdità e una grave corresponsabilità.
Quanto dura Conte?
Questo è un governo che si avvale di circostanze irripetibili. Una di queste è la mancanza di alternativa. E non può esserci alternativa che non sia anch’essa di matrice armonica con l’Europa. La contraddizione è data dalla posizione sul Mes. La Lega è contraria, ma anche il M5s, partito asse della maggioranza con il Pd.
(Federico Ferraù)