Con uno scrupolo degno della peggiore abitudine della cosiddetta “Storia confidenziale dell’editoria italiana”, quasi tutto l’apparato mediatico italiano (stampa, televisione e i new media tanto di moda, tranne rarissime eccezioni) si è ovviamente dimenticato che giovedì 19 gennaio cadeva il 23esimo anniversario della morte in esilio ad Hammamet, in Tunisia, di Bettino Craxi.
Sembra giusto che i “nuovi leader” della cosiddetta seconda, terza o quarta repubblica (quando la definiranno sarà sempre tardi) non debbano allestire nessun ricordo apologetico del leader che hanno contribuito a combattere e a far condannare. Lasciandolo però in Tunisia fino alla morte, senza mai (fatto veramente strano, quasi inspiegabile) fare una formale domanda di estradizione e poi, dopo la morte, allestirgli nella cattedrale di Tunisi addirittura un funerale di Stato italiano.
Di queste contraddizioni, almeno ogni anno, si dovrebbe fare anche solo un breve cenno, dare una spiegazione sommaria, anche perché, notoriamente, la memoria italiana ha una forza molto limitata per riconoscimento unanime mondiale. Per specificare meglio la memoria della classe dirigente italiana basterebbe far fare dei paragoni con coloro che, negli anni Ottanta, erano al mondo in Italia e si ricordano molto bene di quello che Bettino Craxi era stato capace di fare per l’ Italia in politica interna e in politica internazionale.
Sarebbe addirittura interessante oggi il risultato di un sondaggio su questo argomento: l’Italia degli anni Ottanta era meglio o peggio di quella partorita dal 1992 e arrivata ai nostri giorni dopo quattro “governi tecnici” (anomalia tutta italiana) e ora con un governo che non si sa se definire di destra-centro o di centrodestra, una situazione economica difficile e un ruolo internazionale o geopolitico, per usare un termine alla moda, che non sembra brillare nel panorama mondiale? Diciamo che è solo una curiosità.
Possiamo sbrigare il risultato di politica interna citando il sorpasso del Pil italiano rispetto a quello della Gran Bretagna, con il raggiungimento del quarto posto nella graduatoria mondiale e la riduzione dell’inflazione dal 15 al 4% durante i due governi del leader socialista. Forse sono stati scambiati per piccoli successi. Tuttavia non si veniva da anni Settanta gloriosi, ma da una cadenza tragica del terrorismo, da una crisi cominciata nel 1977 e soprattutto dalla fine del “bipolarismo imperfetto”, come diceva Giorgio Galli, seguita dalla doppia crisi di Pci e Dc dopo il balzo del Pci nel 1975-76 e la successiva crisi del compromesso storico. Tanto è vero che l’Italia diventa un problema che viene posto sul piano internazionale.
In occasione del secondo summit del G7 a Puerto Rico il “problema italiano” viene affrontato dalla quattro maggiori potenze occidentali: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Repubblica federale tedesca. I punti sono importanti. Il Pci, nell’orbita di fatto della “fratellanza ideologica sovietica” e nella dipendenza economica dell’Urss, può sorpassare la Dc e modificare le alleanze in senso anti-occidentale? È il primo interrogativo drammatico.
Ma nel 1977, durante il vertici atlantico di Guadalupa, il cancelliere tedesco Helmuth Schimdt denuncia un pericolo mortale: “I russi hanno alterato l’equilibrio militare tanto profondamente che non possiamo stare fermi… Hanno piazzato gli SS20 capaci di colpire qualsiasi punto dell’Europa e di mettere gli Stati Uniti di fronte alla tentazione di abbandonarla pur di proteggere il santuario americano…”.
È da quel momento che si apre una battaglia anche in Italia sull’installazione dei missili Cruise e Pershing come difesa contro gli SS20. Ma saranno anni tribolati che Craxi risolverà in modo definito con il suo primo governo nominato il 4 agosto 1983 e con il discorso di presentazione del 10 agosto.
Secondo alcuni analisti fu l’atteggiamento determinato di Craxi contro “pacifismi di diverso tipo” a far vincere all’Occidente la Guerra fredda. È un giudizio forse esagerato, ma certo per gli alleati atlantici il “problema Italia” con Craxi al governo non esisteva più. Era stato rispettato dal leader socialista che, di fatto, governava circondato da democristiani e repubblicani non sempre in accordo con lui.
Comunque a ben vedere è questa la partenza che conferirà all’Italia un ruolo a livello internazionale di primo piano che viene stranamente sottovalutato, dimenticato, mai riproposto dal nostro grande “apparato della comunicazione”.
Forse c’è una spiegazione. Nell’Italia di quel periodo l’economia si riprende ma i cosiddetti “capitani di sventura”, i capi delle più grandi imprese italiane, sono giudicati in tutto il mondo dei capitalisti avidi che pensano più alla famiglia che all’azienda e sono dediti soprattutto alla speculazione finanziaria. Inoltre hanno l’abitudine di farsi la guerra tra di loro. Ci sono storie impensabili come quella raccontata dall’avvocato Vittorio Chiusano, che spiegava come a metà degli anni Settanta Carlo De Benedetti, diventato amministratore delegato e secondo azionista della Fiat, avrebbe tentato di scalare tutta la Fiat nell’interesse della “lobby giudeo-massonica di Torino”. Gli Agnelli vengono colti da furore.
Probabilmente parole in libertà o voci interessate per arrivare al licenziamento di De Benedetti per “divergenze strategiche” sull’azienda. Ma di queste anomalie dei pochi grandi imprenditori italiani, soprannominati appunto “capitani di sventura”, si può scrivere un’antologia e verificare che la classe dirigente imprenditoriale italiana ha perso di fatto la battaglia per l’innovazione e il ruolo internazionale che doveva avere l’Italia in campo economico.
Per una sorta di provincialismo da strapaese, proprio questi “capitani di sventura” si sono trovati alleati alla “stampa” da loro posseduta e al potere inconsueto in un democrazia dei pubblici ministeri, in un partito trasversale affaristico e di potere, per screditare la politica che invece, proprio in quegli anni, riusciva a far diventare l’Italia un Paese che contava nel contesto internazionale.
Per ricordare il ruolo che Craxi ebbe nella politica internazionale non basta ricordare solo la questione dei missili e l’azione di Sigonella, dove ribadì l’autonomia italiana ma sempre nell’ambito dell’Alleanza atlantica.
L’azione di Craxi che sembra completamente dimenticata è quella del suo “terzomondismo umanistico”, per cui si adoperò fin dai tempi della guerra in Libano tra diversi Paesi del Medio Oriente. In quel periodo contattò i palestinesi, re Hussein di Giordania, il presidente egiziano Mubarak in continuazione per arrivare a una soluzione del rapporto tra palestinesi e Israele che provocava continue fibrillazioni gravissime in in tutto il Medio Oriente. È di quel periodo ad esempio che i suoi rapporti sia con Arafat sia con il premier laburista israeliano Shimon Peres gli avevano fatto guadagnare il soprannome del “palestinese più filoisraeliano e dell’ebreo più filopalestinese”.
In realtà, Craxi si muoveva con tutti i leader dei Paesi del Medio oriente e del Nordafrica, tra cui Libia, Tunisia, Algeria, Egitto e Marocco per guadagnare all’Italia il ruolo di grande mediatore sulle sponde del Mediterraneo, favorendo un processo di pace e garantendo un mercato di import ed export ad aziende italiane e a una grande azienda pubblica come l’Eni un ruolo decisivo nell’estrazione del petrolio.
Non faceva solo questo Craxi. Agiva, attraverso l’Internazionale socialista di cui era vicepresidente, nella costruzione di un’Europa che funzionasse, allargandola alla Spagna e al Portogallo, diventati paesi con leader socialisti (Gonzalez e Soares) dopo la caduta definitiva del franchismo. È evidente che i migliori rapporti Craxi li aveva con la Spd tedesca, con il Labour inglese più ancora che con i francesi. Spesso polemizzava duramente con il liberismo e la politica di Margaret Thatcher, ma è sorprendente come, dai documenti britannici, la Thatcher spiegava al suo governo che Craxi aveva una personalità che non si poteva liquidare facilmente.
Non si fermava a questo l’azione di Craxi: il cosiddetto “terzomondismo umanistico” che gli veniva attribuito andava di pari passo con l’aiuto ai Paesi in via di sviluppo, ai Paesi africani che dopo la decolonizzazione soffrivano più di prima.
È per tutte queste ragioni, che richiederebbero più spazio per essere spiegate, che nel dicembre del 1989 Craxi fu nominato rappresentante personale del segretario generale dell’Onu per la “Questione del debito” nei Paesi del terzo mondo. Il 7 luglio 1990 Craxi presentò a Ginevra il rapporto su sei mesi di consultazione con i maggiori leader internazionali. Avrebbe poi ricevuto da Perez De Cuellar il nuovo incarico di consigliere speciale per i problemi dello sviluppo, della pace e della sicurezza, che gli sarebbe stato rinnovato da Boutros Ghali nel marzo del 1992, quando l’Onu sembrava recuperare una centralità nell’ordine internazionale post Guerra fredda.
Il piano di Craxi di cancellare il debito dei Paesi del terzo mondo era già stato votato all’unanimità. Parliamo del marzo 1992. Craxi aveva ormai raggiunto l’acme del prestigio internazionale, proprio mentre in Italia la politica veniva attaccata su tutti i fronti.
Intanto il partito trasversale dei “capitani di sventura” e la loro stampa, uniti ai magistrati cresciuti con il Codice Rocco mussoliniano, preparavano “Tangentopoli”. E non si capisce ancora bene se quella fu la fine della prima repubblica o la fine dell’Italia come grande Paese.
Si, forse è meglio che i “grandi commentatori e giornalisti” oggi in voga e anche una parte di quelli che li hanno preceduti non ricordino e analizzino nulla. In questo modo risparmiano a tutti noi una serie di catastrofici commenti che purtroppo siamo costretti a sentire o leggere ogni mattina.
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