Come se non bastassero i tanti fronti aperti, Giorgia Meloni ha deciso di aprirne un altro, decisivo e scivoloso insieme: il cantiere delle riforme istituzionali. Si tratta di uno dei punti cardine del programma elettorale del centrodestra, ma è anche un terreno maledetto, su cui si sono distrutte maggioranze di ogni colore politico, nella prima come nella seconda repubblica. Le bicamerali di Bozzi, di De Mita e Iotti, di D’Alema, il tentativo del centrodestra e quello di Renzi: sin qui tutti i tentativi di rivedere in profondità il funzionamento della macchina dello Stato sono falliti, finiti insabbiati in Parlamento o bocciati dal corpo elettorale.
Per il centrodestra targato Meloni riprovarci è quasi un obbligo e fra le promesse di settembre c’era una riforma presidenziale da coniugare con l’autonomia regionale differenziata. Ma di presidenzialismi ce ne sono tanti, si può eleggere il capo dello Stato, o quello del governo, con infinite sfumature intermedie.
All’atto della nascita del governo, la Meloni ha creato un ministero per le Riforme, affidato all’ex presidente del Senato Casellati. L’impressione è che abbia prodotto poco: un testo organico in cui si riconoscano tutti i partiti della maggioranza ancora non si è visto. Forse uscirà soltanto dopo il giro di consultazioni con le opposizioni che da domani, martedì, la Meloni condurrà in prima persona.
Si tratta di un invito di quelli che non si possono rifiutare, ma gli invitati si accostano al tavolo con notevole diffidenza. Lo dicono chiaro sia Schlein che Conte: il timore è che si tratti di un confronto di facciata. Del resto le voci della vigilia della maggioranza sono perentorie: pronti, ma nessuno ponga veti (Foti, Fratelli d’Italia), altrimenti avanti lo stesso (Tajani, Forza Italia).
Di apertura positiva da parte della Meloni ha parlato il presidente del Senato, La Russa: “Bisogna provare a fare in modo che ci sia uno spazio per riforme condivise”, ha detto. Il rischio concreto è però che sia muro contro muro sin dal principio. Starà all’acume politico della Meloni cercare qualche sponda nella parte più dialogante dell’opposizione, magari nel terzo polo di Calenda e Renzi. Azione e Italia viva si siederanno davanti alla Meloni pronti a discutere di un premier più forte, di monocameralismo e di una revisione del federalismo. Non proprio pochissimo.
Per il governo i rischi di un cammino parlamentare tutto di scontro sono alti, anche perché la compattezza della maggioranza in questa materia è tutta da dimostrare. La Lega, ad esempio, è il partito più restio a prendere posizione, e preferisce supportare il lavoro di Roberto Calderoli, il ministro impegnato nell’attuare l’autonomia differenziata, che nella Costituzione c’è già, da vent’anni. Un lavoro poco appariscente, ma costante. Una politica di piccoli passi sin qui piuttosto efficace, nonostante l’opposizione crescente, anche di chi ha cambiato idea, come i governatori del Pd, Bonaccini in testa, che nel 2017 si erano accodati alle richieste di Lombardia e Veneto.
I due piani, autonomia differenziata e riforma presidenzialista, prima o poi si intersecheranno. E potrebbe non essere un incrocio indolore. In più, al termine del percorso parlamentare il nuovo assetto costituzionale sarà sottoposto al voto popolare. E in uno scontro trasformato in un referendum su di lei la Meloni ha tutto da perdere. Renzi docet.
C’è poi un altro tema, in apparenza slegato, che potrebbe agganciarsi alle riforme: il lavoro, con i segnali di una crescente pressione sindacale, che si trascina a rimorchio Pd e M5s. Certo, non sarà facile convincere a scioperare lavoratori che in base al decreto approvato il Primo maggio si troveranno più soldi in busta paga, almeno temporaneamente. Ma il tentativo del leader Cgil e della Schlein appare evidente: costruire uno zoccolo duro di opposizione al governo, qualunque cosa esso faccia, anche buona. Una massa critica almeno del 25%, che costituisca l’ideale trampolino a medio termine del futuro assalto a Palazzo Chigi, costringendo Conte ad allinearsi.
Tocca alla Meloni divincolarsi da questo disegno che intende intrappolarla. Con le opposizioni lo scontro è nella natura stessa della democrazia. Ma trovare il modo di dividere il campo avverso è la maniera migliore per prolungare la vita del governo e la propria permanenza a Palazzo Chigi.
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