La questione della crisi imperialistica inizia a farsi evidente anche nelle politiche nazionali, imprimendo alle vicende governative nuove dinamiche interpartitiche. La guerra di aggressione russa ha unificato militarmente le borghesie europee e i Governi che ne sostengono gli Stati nazionali. Ma questa unificazione ha assunto dimensioni stratificate e instabili, frattaliche, per il costrutto pattizio internazionale di trattati che regge l’impalcatura ordoliberistica dell’Ue.
Sulle impalcature si deve camminare – lo vogliano o no le distinte élites partitiche ancora circolanti secondo strutture clanistiche nazionali, e non transnazionali o federal-europee che dir si voglia – seguendo le linee di condotta scritte dai rapporti funzionalistici di forza generatisi in tempi pre-pandemici e pre-bellici.
È vero che nel tempo si è prodotta la trasformazione del finanziamento mutualistico che ha dato vita al Pnrr e a una serie di strumenti specifici di sostegno anti-crisi. Ma le regole sono rimaste intatte per quel che attiene al debito, anzi ai debiti e allo statuto della Bce, che tutto continua a essere ma non una vera e propria banca centrale modello Fed, con le conseguenze disastrose sotto gli occhi di tutti.
Insomma, la crescita non è prevista nei trattati e tanto meno nei regolamenti, e anche gran parte dei finanziamenti copiosi del Pnrr hanno regole e controlli para-sovietici che nulla hanno a che fare con politiche di crescita.
Il Mes continua a essere una trappola per topi come sempre: non vi è nulla di nuovo. Nuova è la divisione politica che la sua incombenza sta già provocando. È prevedibile che si invocherà la ratifica del Meccanismo sulla base di ragioni politiche realistiche – cioè non scatenare crisi relazionali che indebolirebbero il Governo per l’opposizione delle borghesie frugali europee, strette dagli incubi dei debiti di guerra che la Nato e quindi gli Usa impongono al mondo –; assicurando, nel contempo, di non farvi ricorso.
Ma conosciamo la fragilità di questo argomento: il Mes riformato farà un monitoraggio preventivo del nostro debito, autoavverando, quando vorrà, la profezia dell’intervento. Non saremo noi a deciderne l’attivazione.
La novità è che chi si fa portatore in un passaggio così delicato dei rapporti italici tra nazione e internazionalizzazione sia il ministro più importante del Governo cioè quello dell’Economia e delle Finanze. Qualcosa si è mosso proprio in quel nesso tra nazione e internazionalizzazione.
Ma il presidente del Consiglio non ha forse il sostegno della cuspide dell’anglosfera? Ma pare che sia proprio questo il problema…
Insomma, la storia ritorna con i dissidi eterni tra i cugini inglesi e nordamericani.
Solo la storia futura ci consentirà di comprendere queste mosse che certo inconsulte non sono.
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