Le indiscrezioni sulla candidatura a sindaco di Milano di Mario Calabresi – ex direttore di Stampa e Repubblica – non sono state smentite dall’interessato e sono state subito commentate favorevolmente da Beppe Sala, sindaco in carica. Il mandato di quest’ultimo scade però non prima di due anni e questo ha incuriosito qualche osservatore, che si è chiesto se Sala non stia meditando un ritiro anticipato (e verso quale possibile nuovo impegno). Il maturare dell’ipotesi si tradurrebbe evidentemente in un voto anticipato per il Comune di Milano, forse già l’anno prossimo: uno scenario che già sul piano teorico si presenta ricco di suggestioni. A maggior ragione con il pre-riscaldamento a bordo campo di una figura come quella di Calabresi.



Solo Sala – che sabato ha inaugurato la linea 4 del metro milanese fianco a fianco con il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini – potrà confermare o no le sue intenzioni di lasciare palazzo Marino prima delle Olimpiadi invernali del 2026 (a chiusura ideale di un ciclo avviato con l’Expo 2015). Certamente già nel 2021 si rincorsero le voci di un suo relativo disinteresse per la rielezione, che infatti avvenne con un minimo storico di affluenza e al ballottaggio con un candidato di centrodestra non competitivo. Lo stesso canovaccio politico del Sala 2 – che si presentò con una lista personale colorata di verde europeo – non sta conoscendo sviluppi: ormai inservibile – a maggior ragione dopo l’ultimo voto europeo – come trampolino per un tentativo politico di scala nazionale.



Proprio sullo scacchiere nazionale, nelle ultime ore, sta invece facendo qualche rumore la polemica di Sala con il sindaco Pd di Napoli, Gaetano Manfredi, per la presidenza dell’Anci. L’ex ministro del Conte 2 è stato eletto – come Sala – nell’ottobre del ’21, da una coalizione fra dem e M5S, la stessa che aveva sostenuto l’Esecutivo prima dell’avvento di Mario Draghi. Se il “campo largo” a sinistra sembra oggi attraversare una fase problematica, Sala non sembra invece stanco di recitare da candidato “federatore” di uno schieramento d’opposizione addirittura più esteso rispetto ai partiti guidati di Elly Schlein e Giuseppe Conte. Ed è su questo sfondo che si pone il gioco d’anticipo di Sala e Calabresi – almeno nell’ effetto-annuncio – attorno a palazzo Marino.



Sembrano esservi pochi dubbi che un voto anticipato a Milano scuoterebbe l’albero della politica nazionale: che sulla carta – dopo la duplice affermazione del centrodestra di Giorgia Meloni alle politiche del 2022 e alle ultime europee – traguarda ora la scadenza ordinaria della legislatura nel 2027. Una possibile campagna Milano 2025 terrebbe invece alta la tensione, anzitutto all’interno del centrodestra. È dal 2011 che la metropoli ambrosiana è governata dal centrosinistra, rimasto maggioritario a ogni consultazione nella città di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi prima e dei suoi figli oggi. Milano è di gran lunga il più grande e importante dei capoluoghi-piazzaforte del centrosinistra in un Nord largamente dominato dal centrodestra. E proprio le comunali di tre anni fa – in occasione della candidatura di Luca Bernardo – furono palesi i dissidi locali fra Salvini e Meloni. Quest’ultima, fra l’altro, continua a voler imporre da Roma – con esiti spesso non positivi – i suoi primati numerici elettorali come diritto di candidatura FdI ovunque (il test più importante sarà proprio l’anno prossimo alle regionali in Veneto, finora retto dal leghista Luca Zaia).

Nel frattempo la più rilevante dinamica politica recente rimane il relativo distacco di Forza Italia dalla maggioranza parlamentare di centrodestra (e dalla FI berlusconiana sono venuti i sindaci vincenti del centrodestra a Milano: Gabriele Albertini e Letizia Moratti). Si tratta di una dialettica finora centrata su temi valoriali (simbolico l’impegno sullo ius scholae): fatti però propri personalmente da Marina Berlusconi – prima erede del Cavaliere – e aziendalmente dal fratello Piersilvio, nel riorientare Mediaset. Ora, se c’è un personaggio pubblico capace di incarnare questi atteggiamenti politico-culturali questo è certamente l’ex direttore di Stampa e Repubblica (fra l’altro avendo come editore un tycoon come John Elkann, erede dell’Avvocato Agnelli).

Calabresi è peraltro milanese di nascita, figlio di un personaggio che ha segnato la storia nazionale come servitore dello Stato e difensore della legalità, per questo assassinato dal terrorismo estremista all’inizio degli anni di piombo. Un profilo – quello del commissario Luigi Calabresi – ormai assimilato nella memoria ambrosiana  a figure come Giorgio Ambrosoli o Carlo Alberto Dalla Chiesa. La pre-candidatura di Calabresi figlio è stata non a caso preceduta da quella di Nando Dalla Chiesa (a sindaco di Milano, nel lontano 1993) e di Umberto Ambrosoli – ancora senza successo – a governatore della Lombardia nel 2013. Come per entrambi – e forse più ancora di quanto accaduto per Sala – il giornalista si presenterebbe come candidato della società civile meneghina, in particolare del suo cuore riformista, capace di far circolare sangue di natura diversa (da quello socialista fino a quello liberale, laico o cattolico).

Difficilmente, comunque, un voto Milano 2025 – con chance reali di vittoria per il centrosinistra – sarebbe laterale rispetto alle vicende politiche nazionali. Potrebbe invece trasformarsi in laboratorio per un riassetto dell’intero schieramento d’opposizione, dove d’altronde la leadership di Elly Schlein nel Pd non appare al momento in discussione dopo il risultato delle ultime europee. Tuttavia, la segretaria dem – bolognese, romana, cittadina del mondo con passaporto Usa – a Milano non è mai stata “di casa”: e non a caso Sala le è distante, come altri ambienti ambrosiani importanti, anche nel mondo finanziario e imprenditoriale. Su questo versante parla invece da solo l’attuale impegno di Calabresi: imprenditore digitale (produzione di podcast) basato a Milano, anche con l’appoggio di un finanziere come Guido Maria Brera.

Ma su uno sfondo più ampio, non è casuale che fra i “critici costruttivi” più attivi di Schlein via sia Romano Prodi, che nonostante l’accento emiliano è almeno per metà un milanese d’adozione, fra università, grandi imprese e istituzioni finanziarie. E nelle prese di posizione di Prodi è impossibile non sentire l’eco di qualche pensiero del vero “capo dell’opposizione” in Italia: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Per battere la maggioranza Meloni c’è bisogno di un progetto nuovo, con volti nuovi e – si sarebbe detto nella Prima Repubblica – di “operazioni politiche” impegnative, lontano dall’istantaneità mediatica.

Ci sarà tempo per osservare se l’opzione-Calabresi a Milano si tradurrà in progetto concreto e a quali esiti sarò eventualmente capace di approdare.

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