In una giornata di passione per tutte le cancellerie occidentali, all’opera perché l’incendio in Medio Oriente non si propaghi, c’è un aspetto molto rilevante che riguarda l’Italia che merita di essere evidenziato. Paradossalmente è un’assenza: non c’era l’ambasciatore italiano fra quelli convocati dal governo di Teheran per protestare contro la reazione all’attacco iraniano contro Israele. C’erano i rappresentanti diplomatici di Francia, Gran Bretagna e Germania. L’Italia no.



Non è che il nostro governo sia stato meno netto degli altri nel condannare l’operazione iraniana, ma questa assenza è frutto di un intenso lavoro diplomatico. Venerdì pomeriggio, alla vigilia dell’annunciatissimo attacco, ad esempio, il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani ha avuto una conversazione telefonica di quasi un’ora con il suo omologo iraniano Hossein Amir-Abdollahian. Ha dovuto fermarsi in un’area di servizio sull’autostrada fra Verona e Milano per parlare. Se vano è risultato lo sforzo di far cambiare idea rispetto alla rappresaglia, Tajani ha comunque ottenuto una rassicurazione fondamentale: che sarebbe stata in ogni caso salvaguardata l’incolumità dei 1.100 militari italiani dell’UNIFIL, i caschi blu che presidiano la frontiera bollente fra Libano e Israele, e che vedono sulle loro teste passare i missili di Hezbollah e le risposte di Tsahal.



Sono gli indicatori di un rapporto solido e antico fra Roma e Teheran. Il nostro Paese è stato per anni il primo partner commerciale dell’Iran in Europa. Oggi non lo è più, ma in numeri sono in netta salita, 750 milioni di interscambio, export in crescita, import in calo, saldo positivo a nostro vantaggio.

Italia interlocutore credibile, quindi, per di più presidente di turno del G7. Una leadership che Giorgia Meloni ha esercitato convocando su input USA una riunione virtuale d’emergenza del G7. Un summit dall’esito scontato: ferma condanna dell’attacco, pieno sostegno alla sicurezza di Israele, necessità di evitare che il conflitto si allarghi. È l’escalation l’incubo dell’Occidente, la Casa Bianca non è certa di riuscire a tenere a freno Netanyahu a tempo indeterminato. E l’Iran ha innescato troppi proxy, troppe milizie alleate, da Hezbollah ad Hamas, dagli Houti yemeniti agli sciiti iracheni. Il tempo è poco, c’è un gran bisogno di mediatori e di canali di dialogo. Per la Meloni questo può essere un’opportunità. Con i piedi ben piantati nel campo occidentale, e per di più con rapporti eccellenti con Netanyahu, la premier italiana può provare ad accorciare le distanze, oggi in apparenza siderali. Potrebbe addirittura contribuire a sbloccare la partita di Gaza, scenario quasi paradossale, ma non impossibile.



Certo serviranno coraggio, costanza e sagacia. Ma gli scenari opposti fanno rabbrividire. Lo ha descritto bene l’ex segretario generale della Farnesina, Giampiero Massolo: a suo giudizio l’Iran ha puntato più sulla visibilità che non sull’efficacia del suo attacco. Una guerra in primo luogo di comunicazione, per non perdere la faccia, dopo l’attacco al consolato di Damasco del 1° aprile. Teheran ha dimostrato di avere amici, ma anche Israele ha dimostrato di averne, anche di insospettabili, come la Giordania. Oltre naturalmente a Stati Uniti e Gran Bretagna. A Tel Aviv c’è chi sogna già una coalizione mediorientale anti-iraniana. Del resto, lo Stato ebraico ha dato una prova di forza, abbattendo il 99% degli ordigni lanciati verso il proprio territorio. Ecco perché secondo Massolo una reazione eccessiva da parte israeliana potrebbe davvero portare all’allargamento del conflitto.

Oggi Tajani ha convocato gli ambasciatori dei Paesi arabi in Italia. Il possibile sforzo diplomatico non potrà che cominciare da lì. Poi ci sarà il G7 dei ministri degli Esteri a Capri, preceduto da un faccia a faccia con il segretario di Stato americano Blinken. La posizione italiana per una serie di circostanze è favorevole. Difficile capire oggi quale contributo possa essere dato dal nostro governo alla causa della pace. Ma se c’è anche solo una possibilità di un piccolo contributo, sarebbe imperdonabile perdere l’opportunità.

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