La Turchia serve a Donald Trump per realizzare il suo piano sull’Ucraina e all’Europa per gestire la ricostruzione nel dopoguerra e dare solidità alla difesa del continente. Il nuovo presidente USA non ha molto a cuore le sorti dell’Alleanza Atlantica, ma gli interessa mettere la parola fine al conflitto tra Kiev e Mosca per evitare ulteriori spese al suo Paese. E allora viene buona anche la sua amicizia con Recep Tayyip Erdogan, che in questo modo potrebbe assumere un ruolo ancora più di rilievo nel Patto Atlantico. Il presidente turco è stato il secondo capo di Stato cui ha reso visita il nuovo segretario generale della NATO, Mark Rutte, che si è recato da lui dopo essere stato a Mar-a-Lago da Trump.



Ankara, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, può capitalizzare il ruolo svolto da mediatore tra Russia e Ucraina venendo in aiuto a Trump, ma serve anche a Bruxelles, che rischia di essere abbandonata proprio dagli Stati Uniti nella gestione del dopoguerra e nella ricostruzione.



Rutte ha reso visita a Erdogan. Come si colloca la Turchia nella NATO dell’era Trump?

Erdogan e Trump hanno sempre avuto buoni rapporti, diretti e franchi, cosa che non c’era con Biden. C’è simpatia reciproca, anche se tra USA e Turchia rimangono nodi da sciogliere. Da quello che trapela, la visita di Rutte a Erdogan si è svolta in un clima cordiale. Entrambi si sono mostrati sorridenti. Il segretario generale della NATO ha pubblicato anche un video nell’azienda aerospaziale che era stata attaccata recentemente dai terroristi. Ha esaltato l’apparato difensivo della Turchia ribadendo che è un partner di valore inestimabile per l’Alleanza.



L’atmosfera degli incontri con la NATO anche in precedenza era di questo tenore?

Il precedente segretario generale, Jens Stoltenberg, ogni volta sottolineava l’importanza dell’alleato turco per le minacce che arrivano dal fianco sinistro e meridionale dell’Alleanza. All’incontro, però, stavolta hanno partecipato pure il ministro della Difesa, Yasar Guler, e quello degli Esteri, Hakan Fidan. Questo fa pensare a un rafforzamento della complementarità NATO-Turchia dal punto di vista della difesa. Ankara è un partner importante anche perché investe più del 2% del PIL nelle spese militari.

Qual è il contesto nel quale è avvenuta la visita di Rutte?

La visita di Rutte è avvenuta il giorno dopo una telefonata Erdogan-Putin. I turchi sono preoccupati per un’escalation del conflitto in Ucraina. Erdogan stesso ha fatto riferimento al rischio nucleare. Alla Turchia viene riconosciuto il ruolo di mediatore storico fra Mosca e Kiev, anche in vista di una possibile soluzione del conflitto in Ucraina o quanto meno di una de-escalation. Ankara, comunque, come riconosciuto da Rutte, ha aiutato l’Ucraina fornendo da subito droni di ultima generazione, e la fornitura di armi è continuata anche in seguito. Una circostanza che ha indispettito Putin.

La Turchia ha un ruolo di mediatore anche in Medio Oriente?

La Turchia viene riconosciuta come mediatore importante sia in Ucraina sia in Medio Oriente, anche se nel secondo caso l’approccio della NATO è diverso da quello di Erdogan. Rutte vuole che la Turchia faccia pressione su Hamas per liberare gli ostaggi. Ankara, però, che non qualifica l’organizzazione palestinese come terroristica, ma come movimento di resistenza, potrebbe caldeggiare un riconoscimento della stessa Hamas. Un’asperità da superare.

I rapporti della Turchia con gli USA, invece, a che punto sono?

A livello bilaterale, il rapporto personale di Erdogan con Trump aiuta, ma rimangono delle questioni aperte. Ci sono sanzioni che gravano sulla testa della Turchia, che era stata espulsa dal programma F-35 e ha acquisito il programma degli aerei F-16 dopo la luce verde all’entrata della Svezia e della Finlandia nella NATO. C’è poi la questione del sostegno americano alle milizie curde in Siria. Se è vero che l’America di Trump mirerà a un disimpegno dai teatri di guerra, probabilmente si arriverà a una soluzione anche su questo: alla fine i curdi, come succede sempre, vengono mollati da tutti.

Rimane poi la questione dei rapporti con la Siria di Assad: il processo di normalizzazione si è fermato?

Hakan Fidan ha dichiarato che la Turchia è per la normalizzazione dei rapporti. Non le interessa un cambio di regime, ma vuole delle garanzie. Non vuole avamposti curdi in Siria, motivo per cui mantiene delle truppe oltre il confine, né che Paesi stranieri come gli USA forniscano armi ai curdi. E neanche che Assad sia connivente con loro.

Che ruolo si può immaginare per la Turchia nella NATO da ora in poi?

Trump non ha mai espresso grande simpatia per la NATO, ma la Turchia rimane un attore fondamentale per far fronte alle minacce del fianco sud e ovest dell’Alleanza e il secondo esercito della NATO. Ankara resterà fedele al suo ruolo, anche se resta da risolvere la questione del sistema missilistico S-400, acquisito dalla Russia quando gli USA, durante la presidenza Obama, avevano messo il veto sui Patriot. Credo però che con la presenza di Trump si possa risolvere tutto, magari vendendo il sistema missilistico all’Azerbaijan.

Al di là del ruolo da sempre ufficialmente riconosciuto di baluardo della NATO, di cerniera tra Europa e Asia, tra Est e Ovest, alla Turchia verrà riconosciuto un peso superiore al solito in vista della soluzione dei due grandi conflitti che si svolgono proprio in questa area di confine tra i due mondi?

Una delle priorità di Trump è la fine della guerra tra Russia e Ucraina. Erdogan, che parla con Putin e ha sempre tenuto i contatti anche con Zelensky, potrebbe agevolare il processo. Tra l’altro conosce già benissimo i dossier. Nello scenario Israele-Palestina le cose sono meno definite, anche perché la squadra di governo di Trump mi sembra appiattita su posizioni oltranziste e filoisraeliane. Trump, però, è molto pragmatico, non vuole avere troppe situazioni ingarbugliate di cui occuparsi. La sua attenzione è soprattutto sulla Cina e non tanto sul Medio Oriente. Sull’Ucraina, però, ci sarà non dico un’asse, ma un’interlocuzione fra Erdogan e Trump.

E i rapporti con l’Europa come si svilupperanno?

Sul fronte russo-ucraino anche la UE avrà bisogno della Turchia: l’Europa rischia di essere la più danneggiata dal piano di Trump per pacificare l’area. Trump non è mai stato filoeuropeo e la UE già è preoccupata per l’annunciata imposizione di dazi, così come per la richiesta americana di spendere di più per la propria difesa. Non solo, con il nuovo presidente USA la Russia verrebbe reintegrata nelle logiche regionali e internazionali. Trump, infine, pensa che il costo della ricostruzione debba pesare sull’Europa. In un contesto del genere, Bruxelles avrà bisogno della Turchia, per cercare di mettere delle pezze e non rimanere isolata.

L’Europa, più “lontana” dagli Stati Uniti, avrà bisogno di altri interlocutori per non affrontare da sola il dopoguerra in Ucraina?

Ne avrà bisogno per la ricostruzione, ma anche per quanto riguarda gli apparati di difesa. Nel momento in cui Trump dice che la NATO esiste ma ognuno deve guardare i propri affari, credo che la Turchia diventi un interlocutore fondamentale.

Stiamo parlando di industria militare o di posizionamento e forza della Turchia dal punto di vista strategico?

Dal punto di vista dell’industria militare Ankara sta già fornendo droni a diversi Paesi europei, anche dentro la NATO: Polonia, Ungheria e altri ancora. C’è già una complementarità. Ci sono pure consorzi di difesa, in cui è inclusa anche l’Italia. Ma anche dal punto di vista strategico la Turchia rimane importante: ha fatto da mediatore in Ucraina, ha sostenuto Kiev e ha colmato con il suo pragmatismo una lacuna evidente della UE.

(Paolo Rossetti)

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